I CPR: gran paciugo nazionale?Il governo italiano, di fronte all’emergenza migranti, sembra aver deciso di adottare l’ennesima soluzione pasticciata: i Centri di permanenza per i rimpatri, noti come CPR.
di Antonio Rossello
Questa decisione è stata presa dal Consiglio dei ministri lo scorso 18 settembre, ma l’operazione di apertura delle strutture è già iniziata da qualche settimana, seguendo l’indicazione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di aprire un CPR in ogni regione.
Attualmente ci sono nove CPR attivi, mentre quello di Torino è stato chiuso per i danneggiamenti causati dai suoi stessi ospiti e deve essere ristrutturato. Ci sono quindi ancora 12 CPR che devono essere realizzati. Serviranno?
Ma chi sarà trattenuto in questi CPR? Secondo le direttive, vi saranno accompagnati gli stranieri irregolari considerati una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica, quelli condannati per gravi reati e i cittadini di Paesi terzi con cui esistono accordi in materia di cooperazione o rimpatri. Anche coloro che hanno richiesto asilo in Italia potranno ritrovarsi in un CPR, ma solo se in situazioni specifiche, come problemi con la legge o pericolosità potenziale.
Ma dove si trovano attualmente i CPR e dove saranno costruiti gli altri 12? Attualmente, i CPR sono situati in diverse città italiane, come Bari, Brindisi, Caltanissetta, Roma, Palazzo San Gervasio, Trapani, Gorizia, Macomer e Milano. Gli altri 12 dovranno essere costruiti in varie regioni, come Calabria, Molise, Campania, Marche, Abruzzo, Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta. Le strutture saranno individuate dal ministero della Difesa e poi adattate dal Genio militare. E il contribuente pagherà il conto salato.
Ma c’è una domanda che sorge spontanea: per quanto tempo i clandestini rimarranno nei CPR? Attualmente, il periodo massimo di trattenimento è di 90 giorni, con la possibilità di una proroga fino a 45 giorni. Tuttavia, il governo ha stabilito che i CPR potranno trattenere i migranti per un massimo di 18 mesi, partendo da sei mesi prorogabili ogni tre mesi. Questa decisione si basa sulla normativa europea per gli stranieri che non hanno fatto domanda di asilo e per i quali esistono specifiche esigenze, come il mancato collaborare al rimpatrio o ritardi nell’ottenimento della documentazione necessaria dai Paesi terzi. Tuttavia, i richiedenti asilo non potranno essere trattenuti per più di un anno. Nulla di nuovo sotto il sole.
Ma chi gestisce questi CPR? C’è pure il sospetto che si trasformino in una fabbrica di carriere e mangiatoie. Un classico. Ma che cosa si fa per ora? Ogni struttura è attualmente di competenza del prefetto, massima autorità provinciale dello Stato, che affida la gestione dei servizi interni a soggetti privati tramite bandi di gara. Le forze dell’ordine si occupano della vigilanza esterna e possono entrare solo su richiesta dei gestori in caso di necessità ed emergenza. Gli stranieri trattenuti possono presentare istanze e reclami al Garante nazionale e ai Garanti regionali delle persone detenute o private della libertà personale.
Gli italiani sono abituati a vedere pasticci quando si tratta delle soluzioni governative. I CPR non sembrano fare eccezione. Le decisioni prese dal governo in merito a queste strutture appaiono confuse e poco efficaci. Inoltre, l’apertura di un CPR in ogni regione sembra essere una scelta dettata più da motivi politici che da reali necessità. Non è chiaro perché gli stranieri irregolari vengano trattenuti per così tanto tempo, mentre i richiedenti asilo non devono superare l’anno. È necessario fare chiarezza sulla gestione dei CPR e analizzare attentamente le loro potenziali conseguenze sulle persone coinvolte.
In conclusione, l’ultima delle soluzioni pasticciate all’italiana di fronte all’emergenza migranti è rappresentata dai CPR. Queste strutture, se gestite in modo inefficiente e poco chiaro, rischiano di creare più problemi di quelli che risolvono. È fondamentale rimandare al mittente questa soluzione pasticciata e cercare invece soluzioni più efficaci ed umane per affrontare l’emergenza migranti.
Antonio Rossello