HIC SUNT LIGURES. Qui abitano ‘I Ligures’
di Tiziano Franzi
Non è facile delimitare con certezza i confini delle terre dove all’epoca dell’antica Roma abitavano i Ligures, un popolo fiero e difficile da domare che erano stanziati a sud delle Alpi, nella parte nord ovest dell’odierna pianura padana, ma anche oltre gli attuali confini della nostra penisola, nelle regioni meridionali della Gallia di allora. Infatti i Ligures anticamente si erano stanziati ben oltre i confini della Liguria, come oggi la intendiamo territorialmente quale regione.
Notizie sui Ligures sono presenti nei testi di molti scrittori antichi, anche se chi ne ha trattato ha riferito notizie e fatti di cui non è stato direttamente testimone.
Nella ricerca di queste testimonianze si sono impegnati alcuni anni or sono diversi ricercatori e studiosi universitari dell’ateneo genovese, che hanno composto una interessantissima silloge di tali attestazioni. A questa ricerca mi sono rifatto per tracciare una mappa ideale della “Liguria” nell’antichità, secondo le fonti che ne trattano .
La Liguria e i Ligures
Sotto il nome “Liguria” si intende un’entità geografica o amministrativa di estensione variabile. Nell’epoca più antica il termine, peraltro scarsamente in uso, designa genericamente il territorio abitato dalle popolazioni di stirpe ligure; a partire da Augusto e fino a tutto il III secolo corrisponde alla IX Regio italiana, delimitata a nord ovest dalle Alpi sud-occidentali e dal Varo, a sud dal mar Ligure e ad est dal Magra e dalla parte più orientale dell’Appennino ligure. Dopo la sistemazione amministrativa dioclezianeo-costantiniana, indica, infine, la provincia di Liguria, con capitale Milano, che mentre da una parte si estende a nord del Po fino a comprenderela precedente, perde, in successive riprese, gran parte del territorio della Liguria augustea, comprese le principali città della costa.
Nella Tabula Peutingeriana, una mappa stradale che prende il nome da Konrad Peutinger (1465-1547) antiquario di Augsburg che possedeva appunto questo “itinerario” dell’Impero Romano, il cui originale si fa risalire al III Sec. d.C., la rappresentazione della Liguria occupa il secondo segmento degli undici che la costituiscono.
Per quanto riguarda i Ligures, nell’epoca anteriore alle guerre romano-liguri, l’ethnos ligure sembra essere stato diffuso nella Gallia meridionale, nella penisola iberica, nell’Europa nord-occidentale e settentrionale, nel Lazio e nella Sicilia; persino nell’Asia Minore orientale e nel Caucaso si parla, impropriamente, di Liguri, spesso alternando tale termine a quello di Libi. Successivamente il territorio abitato da quella popolazione si restrinse all’angolo nord-occidentale dell’Italia, finché, con l’inizio dell’impero e fino a tutto il VII sec. d. C., col termine Liguri si intendono soltanto gli abitanti delle successive entità amministrative denominate Liguria, la IX Regio augustea prima, e la provincia post-dioclezianea poi.
Le testimonianze letterarie- Una prima interessante citazione letteraria sulla Liguria la dobbiamo ad Aristotele, che nella sua opera ‘Metereologica‘ scrive: “Si dice che nel paese dei Marsigliesi vicino alla Liguria vi sia uno stagno che ribolle e trabocca e riversa una incredibile quantità di pesci. Quando soffiano i (venti) etesii si accumula la terra su di esso, vi si produce un grande polverone, e la superficie dello stagno si solidifica come terreno. Spezzandola con i tridenti, gli abitanti e luogo vi prendono facilmente quanti pesci vogliono. Si dice poi che alcuni Liguri tirano con la fionda così bene che, quando vedono parecchi uccelli, stabiliscono tra di loro quale ciascuno debba prepararsi a colpire, perché sono convinti di colpirli facilmente tutti. Si dice che anche questo sia caratteristico presso di loro: le donne partoriscono mentre lavorano e, dopo aver lavato con l’acqua il bambino, subito zappano, scavano e fanno gli altri lavori che avrebbero dovuto fare anche se non avessero partorito.”
Sulla straordinaria resistenza fisica delle donne liguri scrive Polidoro: “Posidonio dice che in Liguria il suo ospite, Carmoleonte, cittadino di Marsiglia, gli aveva narrato di aver assunto dietro compenso per uno scavo degli uomini e delle donne insieme e che una delle donne, avendo le doglie, si era allontanata dal lavoro e si era recata in un luogo vicino; dopo aver dato alla luce il bambino, era ritornata subito al lavoro per non perdere la paga; lui stesso l’aveva vista lavorare a fatica, ma non ne conosceva dapprima la ragione, più tardi l’aveva appresa e aveva licenziato la donna, dopo averle dato la paga; e quella, dopo aver portato il neonato a una piccola fonte, averlo lavato e fasciato con quello che aveva, lo portò a casa sano e salvo.”
Tra leggenda e realtà è invece la narrazione di Diodoro Siculo: “(Eracle,) avendo valicato le Alpi ed attraversato la pianura di quella regione che è ora chiamata Gallia, proseguì il cammino attraverso la Liguria. I Liguri che abitano questa regione coltivano una terra sassosa e del tutto sterile (che), in cambio delle cure e degli sforzi sofferti dai nativi, offre pochi frutti utili alla sopravvivenza. Perciò (gli abitanti) sono resistentissimi alle fatiche e, per il continuo esercizio fìsico, vigorosi; giacché, ben lontani dall’indolenza generata dalle dissolutezze, sono sciolti nei movimenti ed eccellenti per vigore negli scontri di guerra. Generalmente gli abitanti terra regione intorno, abituati continuamente a sostenere travagli e richiedendo la terra molta cura, usarono fare compartecipi anche le donne delle fatiche connesse al lavoro. Lavorando uomini e donne a giornata, fianco a fianco, accadeva ad una donna un fatto particolare e paradossale secondo la nostra mentalità. Infatti essendo incinta e lavorando a giornata con gli uomini, presa dalle doglie raggiunse alcuni cespugli senza turbarsi; in questi diede alla luce il figlio e, avendolo avvolto con fronde, lo nascose lì, mentre lei, riunitasi a quelli che continuavano a lavorare, sopportò con essi la medesima fatica, senza accennare nulla dell’accaduto. E per il pianto e bimbo essendo divenuto il fatto noto, in nessun modo il sovrintendente la poteva convincere a sospendere il lavoro; né costei desistette dalla faticosa occupazione finchè il datore di lavoro, preso da pietà, dandole il compenso pattuito, non la esonerò a lavoro. Eracle, essendo passato attraverso il territorio sia dei Liguri che dei Tirreni, giunto presso il fiume Tevere si accampò dove ora sorge la città di Roma.”
Il greco Strabone scrive: ” Delle Alpi, che sono montagne molto alte e formano una linea curva, la parte convessa e rivolta verso le pianure già menzionate dei Celti e verso le Cevennes, la parte concava, invece, verso la Liguria e l’Italia. Occupano questi monti molte tribù, tutte celtiche eccetto i Liguri: questi sono di razza diversa, ma simili (ai Celti) per il modo di vivere; abitano la parte delle Alpi che si unisce agli Appennini e occupano anche una parte di questi monti. […] Gli antichi scrittori greci chiamano Liguri i Salluvi e Liguria il paese che abitano i Marsigliesi; gli scrittori posteriori, invece, li chiamano Celtoliguri e assegnano a questi la pianura fino ad Avignone e al Rodano, dalla quale, divisi in dieci distretti, fornivano non solo una squadra di fanti, ma anche una di cavalieri. Questi furono i primi dei Celti transalpini che i Romani ridussero in loro potere, dopo aver combattuto per molto tempo contro di essi e contro i Liguri che avevano sbarrato le strade che conducono in Iberia lungo la costa. Facevano infatti razzie per terra e per mare ed erano tanto forti che la strada era a stento praticabile con grandi forze militari. Dopo ottanta anni di guerra (i Romani) ottennero appena che si lasciasse libera la strada per un tratto largo dodici stadi per chi viaggiava per conto dello stato. In seguito, tuttavia, li sconfissero completamente, e, dopo averli terrorizzati, imposero essi stessi la forma di governo. […] Sia chiamata seconda parte la Liguria che è negli stessi Appennini, situata fra la Celtica di cui si è parlato ora e la Tirrenia; non ha nessun particolaredegno d’iscrizione, eccetto che gli abitanti vivono in villaggi, arando e zappando un aspro terreno o piuttosto, come dice Posidonio, tagliando sassi…..”
E lo scrittore greco Posidionio infatti scrive: “……..passiamo a parlare dei Liguri. Costoro abitano una terra sassosa e del tutto sterile e trascorrono un’esistenza faticosa ed infelice per gli sforzi e le vessazioni sostenute. E dal momento che la terra è coperta di alberi, alcuni di costoro per l’intera giornata, abbattono gli alberi, forniti di scuri affilate e pesanti, altri avendo l’incarico di lavorare la terra, per la maggior parte non fanno altro che estrarre pietre per l’eccessiva diseguaglianza petrosa del terreno; infatti con gli arnesi non sollevano alcuna zolla che non contenga almeno una pietra. Ed essendo una tale fatica nei loro lavori, con la costanza hanno la meglio sulla natura, anche se, avendo faticato parecchio ne ricavano pochi frutti. E a causa del continuo lavora fisico e della scarsezza di cibo si mantengono forti e vigorosi. In queste fatiche hanno le donne come aiuto, abituate a lavorare al medesimo modo degli uomini. Vanno inoltre continuamente a caccia, con la cui pratica, catturando molti animali, controbilanciano la penuria di frutti. Trascorrono la notte nei campi, raramente in qualche semplice podere o capanna, più spesso in cavità delle rocce e caverne naturali, atte ad offrire loro sufficiente riparo. Conformemente a questo fanno molte altre cose, mantenendo un tenore di vita semplice e primitivo. Generalmente poi in questi luoghi anche le donne sono forti e vigorose come gli uomini e questi come le belve. Ed affermano anche che talvolta nei combattimenti un Gallo grande e grosso avendo combattuto da solo con un Ligure assai esile per sfida, venne da questo battuto.I Liguri hanno un armamento, per struttura, più leggero di quello dei Romani. Li difende infatti uno scudo ovale, lavorato alla moda gallica ed una tunica stretta in vita, ed attorno avvolgono pelli di fiera ed una spada di media misura. Alcuni di essi per le relazioni con i cittadini romani, cambiarono tipo di armamento imitando i loro capi. Essi sono coraggiosi e nobili non solo in guerra ma anche in quelle circostanze della vita non scevre di pericolo. Come mercanti solcano il mare di Sardegna e quello Libico, slanciandosi coraggiosamente in pericoli senza soccorso; giacché usano barche più semplici di quelle per combattere da vicino e con un numero scarsissimo di equipaggiamenti utili per la navigazione, sopportano le più paurose condizioni atmosferiche che l’inverno crea tremendamente.”
Più interessato alle attività pratiche e produttive è invece il latino Columella che scrive: “La pece nematurica si prepara in Liguria. Perché sia adatta per conservare e insaporire (il vino), si deve prendere acqua marina dal mare aperto il più lontano possibile dalla spiaggia, e si deve ridurre, facendola bollire, a metà e suo volume originario; quando si sarà raffreddata tanto da non bruciare il corpo a contatto, scoleremo la parte che sembrerà sufficiente alla predetta pece e con attenzione la tratteremo con una spatola di legno o anche con la mano, per togliere le impurità se ve ne sono. Quindi lasceremo riposare la pece e, quando si sarà riposata, l’acqua. Poi due o tre volte la laveremo con la rimanente parte di acqua bollita e la lavoreremo finché non diventerà rossa. Allora la lasceremo filtrare al sole per quattordici giorni in modo che si asciughi ogni umidità rimasta dall’acqua; il recipiente si dovrà coprire, in modo che non si bagni di rugiada. Quando avremo preparato in questo modo la pece e desidereremo conservare il vino, quando la seconda volta avrà cessato di fermentare, aggiungeremo in questo modo della predetta pece a quarantotto sestari di mosto: si dovrà prendere due sestari di mosto da quella quantità che abbiamo intenzione di conservare, quindi da questi sestari si dovrà a poco a poco versare il mosto in un sestante di pece e lavorarla mano come se fosse idromele, per amalgamarlo più facilmente, ma quando tutti e due i sestari si saranno amalgamati con la pece e avranno quasi formato un tutto unico, allora sarà opportuno versarli in quel recipiente da cui li abbiamo presi e agitarli con una mestola di legno perché il conservativo si mescoli. ”
Molto più dettagliato è il resoconto del latino Plinio il vecchio nella sua Naturalis Historia:
“Incominciando dunque dal fiume Varo troviamo la città di Nizza, fondata dai Marsigliesi, il fiume Paglione, le Alpi ed i popoli delle Alpi dai molteplici nomi, innanzi tutto i Capillati, con la città di Cimiez del popolo dei Vedianzi, Monaco e la riviera ligure. I più noti popoli liguri al di là delle Alpi sono i Salluvi, i Deciati, gli Ossibi, al di qua i Veneni, i Turi, i Soti, i Bagienni, gli Stazielli, i Bimbelli, i M aielli, i Caburriati, i Casmonati, i Velleiati e quelli le cui città costiere elencheremo subito dopo. (Vi sono) il fiume Roia, la città di Ventimiglia, il fiume ‘Merula’, la città di Albenga, il porto di Vado, il fiume Polcevera, la città di Genova, il fiume Bisagno, Portofino, Tigulia; all’interno, Sestri Levante e il fiume Magra che è confine della Liguria. Alle spalle di tutte le località sopraddette vi sono gli Appennini, i monti più estesi d’Italia, che con montagne ininterrotte si spingono dalle Alpi fino allo stretto di Sicilia. Dall’altro lato, fino al Po, il fiume più ricco d’Italia, tutto risplende di nobili citta, Libarna, la colonia di Tortona, Voghera, Vardacate, Industria , Pollenzo, Carrea detta anche Potentia, Forum Fulvi denominato anche Valentinum , BeneVagienna, Alba, Asti ed Acqui. Questa regione, secondo la divisione fatta da Augusto, è la nona. La riviera ligure tra il fiume Varo e il Magra si estende per duecentoundici miglia. Segue la (regione) settima, cioè l’Etruria, dal fiume Magra[…..] Anche i venti sono molto importanti. Nella provincia Narbonese, in Liguria ed in parte dell’Etruria è considerato un errore piantare (le viti) contro tramontana, ma allo stesso tempo è considerato buon metodo ricevere questo vento di traverso; infatti esso tempera in quei luoghi la calura estiva, anche se soffia per lo più con tale violenza da scoperchiare i tetti delle case.”
Lo scrittore latino Frontino descrive invece uno degli scontri militari fra truppe romane e le forze dei Ligures, che vengono definiti “barbari”: “Quando in Liguria l’esercito era penetrato in uno stretto passo, e alla mente di tutti si presentava già il ricordo del disastro di Caudio, il console Q. Minucio ordinò agli ausiliari Numidi, spregevoli sia per la loro bruttezza sia per quella dei loro cavalli, di cavalcare verso la gola che era tenuta dai nemici. Dapprima i nemici, attentia non essere provocati, contrapposero un picchetto. Di proposito i Numidi, per accrescere il disprezzo nei propri confronti, finsero di cadere da cavallo e attirarono lo sguardo con atteggiamenti ridicoli. I barbari, allentate le file, per la novità della cosa, si incantarono completamente allo spettacolo. Non appena i Numidi se ne accorsero, avanzando a poco a poco, spronati i cavalli, si aprirono un varco attraverso i posti di guardia non difesi dai nemici; poi, poiché quelli appiccavano il fuoco ai campi vicini, i Liguri furono costretti ad allontanarsi per difendere i loro territori e a lasciare andare i Romani che erano rinchiusi nella gola.”
Più tardi, lo scrittore latino Magno Felice Ennodio, in una sua opera in forma epistolare, accenna alla Liguria, promettendo per essa condizioni migliori di quelle attuali:
“Straziata da essi, la vostra Liguria, attraverso le preghiere che ci rivolge, supplica che attribuiate i benefici delle vostre leggi agli innocenti, tanto da far dimenticare le colpe dei rei. […] I campi già feraci di messi mi rendono triste, offrendomi visioni di spine e di colture trascurate, e quella madre delle messi dell’uomo che è la Liguria, abituata ad avere una numerosa progenie di agricoltori, ora spogliata e sterile, mostra ai nostri sguardi una magra zolla. […] Ti prometto una condizione nuovamente felice per la Liguria, ti prometto la fertilità del suolo e una nuova fecondità, come risultato della tua lunga ambasceria al di là delle Alpi. […] Libera dai rovi quella Liguria che ben conosci e riempila di colture. Se mai qualcuno osserverà il suo aspetto, capirà quanto essa debba ai tuoi doni. […] Elargisci ai tuoi Liguri i guadagni palesi, assegna loro ciò che poni da parte. La magnanimità del momento è vantaggiosa per il futuro. E’ costume di un buon principe amare la fama prodotta dalle virtù e disporre un regno nello stesso modo in cui lo si trasferirebbe a successori della propria stirpe. […] Concedi alla Liguria l’immunità per il presente anno, tu che facesti ritornare dall’estero quelli che ora ti supplicano. […] A giudicare da quel che vedo, la Liguria non è sterile: non depose la nobiltà nel generare neppure nei tempi estremi. […] La Liguria non è infeconda di buoni parti. Nutre per il foro dei germogli che volentieri sono accolti anche dalla curia. Si associano per la nota affinità l’avvocato di professione ed il senatore.”
Riferendosi all’esperienza della conquista della Liguria da parte dei Burgundi, lo scrittore latino Cassiodoro annota: ” Infatti, essendosi accresciuta la ferocia del precedente tempo barbaro, ed essendo l’Emilia e la vostra Liguria, come è necessario che voi ricordiate, squassate dall’incursione dei Burgundi, dal momento che sostenevano una guerra resa infida dalla vicinanza (delle operazioni militari alle proprie case), d’improvviso s’irradiò come il sorgere del sole la fama del presente regno………Ora sei coltivata meglio, Liguria, poiché ti venne una messe tolta al nemico, pur essendoti negato il frutto dei tuoi campi: infatti, sebbene si potè raccogliere i tuoi tributi in quantità minore del solito, tu offristi in cambio i trionfi felicemente conseguiti nella tua terra……… Godi dunque, o Ligure già assuefatto al bene: il momento favorevole è venuto a tuo vantaggio: infatti hai vinto con la tua grande prosperità gli Egizi che ti sono stati paragonati: ti sei allontanato dai tempi difficili, pur non perdendo i premi della libertà: anzi, in quella occasione, tu sei stato reso sicuro dal nemico, e contemporaneamente sappiamo che sei stato liberato dai pericoli della fame.”
Lo scrittore latino Paolo Diacono accenna invece a una terribile pestilenza che colpì la Liguria durante il potere del generale bizantino Narsete: “Ai tempi di lui (Narsete) una grandissima pestilenza sorse specialmente nella provincia di Liguria. Infatti apparivano improvvisamente delle macchie nere sulle porte, sui vasi o sulle vesti, che si moltiplicavano s e qualcuno voleva toglierle. Invero dopo un anno cominciarono ad apparire negli inguini degli uomini o in altri punti ancora più delicati delle ghiandole a forma di noce o di datteri, con un intollerabile calore prodotto dalle febbri, cosicché in tre giorni un uomo moriva. Ma se qualcuno superava i tre giorni, aveva la speranza di sopravvivere; ovunque erano lutto e lacrime. Infatti, poiché il volgo pensava di poter evitare la strage fuggendo, le case rimanevano abbandonate, prive di abitanti, e venivano lasciateai soli cani in custodia. Il solo gregge rimaneva nei pascoli, ma non c’erano più più pastori. Avresti visto le ville e i castelli pieni dapprima di schiere di uomini, ma i1 giorno dopo li avresti visti completamente silenziosi per la fuga di tutti gli abitanti.Fuggivano figli, lasciando insepolti i cadaveri dei genitori, e i genitori, dimentichi della pietàper il frutto delle proprie viscere, abbandonavano i figli in preda alla febbre. Se qualcuno era ancora spinto dall’antica pietà a voler seppellire il prossimo, rimaneva poilui insepolto; e mentre rendeva quell’omaggio, moriva; mentre rendeva onore agli altri col funerale, il suo stesso funerale non veniva onorato. Avresti notato la gente ridotta ad un antico silenzio: nessuna voce nella campagna, nessun fischio dei pastori, nessuna insidia portata dalle belve ai greggi, nessun danno al pollame. Passato il tempo e raccolto, i campi aspettavano intatti il mietitore; le vigne, perse le foglie e con uva scintillante, non venivano toccate, mentre ormai si avvicinava l’inverno. Sia di notte che di giorno risuonava la tromba di guerra, e moltissimi udivano il rumore confuso di un esercito. Non vi era alcuna traccia di viandanti, non si vedeva alcun sicario, e tuttavia i cadaveri dei morti superavano la possibilità degli occhi di vederli tutti. 1 pascoli erano stati trasformati in sepolture per gli uomini, e le abitazioni degli uomini erano diventate tane per le belve.”
E per finire, sempre Paolo Diacono rende conto della situazione delle province nell’Italia del Nord, fra cui la Liguria: ” La seconda provincia è la Liguria, cosi chiamata dai legumi che si devono cogliere, cioè raccogliere, di cui è fertilissima.”
Da queste annotazioni si ricava un ritratto della Liguria come terra arida, sassosa, difficile da coltivare, ma lavorata assiduamente dai Ligures, uomini e donne indistintamente, con fatica e dedizione, per strappare al terreno ostile quel poco cibo che, insieme allo scarso pascolo, permette loro di vivere una vita semplice, lontana da ogni lusinga o distrazione.
Tiziano Franzi