Estate: tempo di nude look al mare, anche per cercare sollievo dalla calura opprimente che il cambiamento climatico ci sta “regalando” in modo sempre più intenso e continuativo da un anno all’altro. Ma, se escludiamo questi eccessi, d’estate ha sempre fatto caldo e da sempre si è cercato refrigerio nei bagni in mare con il conseguente uso del costume da bagno.
di Tiziano Franzi
Al mare con i mutandoni- Un tempo si andava a spiaggia vestiti quasi come per strada o in centro città; il pudore vittoriano imponeva, anche al mare, di mostrare nude soltanto le parti del corpo necessarie alla circostanza, limitandosi a viso, mani e piedi, con qualche concessione alle gambe, ma soltanto fino a sotto il ginocchio. E questo valeva, sostanzialmente, per uomini e donne.
Così negli anni Venti del secolo scorso, quando ebbe inizio il turismo balneare in Liguria, “bagnanti” di entrambi i sessi scendevano in acqua praticamente vestiti, come dimostrano le immagini dell’epoca.
Al sole , poi, ci si esponeva ben poco e, per le signore, sempre con il cappellino e il parasole . Il colorito dell’abbronzatura era infatti considerato non alla moda, anzi, quasi la dimostrazione dell’appartenenza a una classe sociale che per il lavoro manuale che svolgeva, era “costretto” ad abbronzarsi sotto il sole, suo malgrado.
La rivoluzione del bikini- In un excursus sulla storia del costume da bagno, si scoprono curiosità e storie legate alla scoperta dei bagni in mare, alla nuova e piacevole abitudine della villeggiatura, fino all’invenzione del bikini e all’invasione sulle coste italiane dei cosiddetti tipi da spiaggia. Così, già nell’antichità romana le donne ( non tutte a dire il vero) usavano il costume a due pezzi, come dimostrano i mosaici dell’epoca
Ma, come si vede dalla raffigurazione, il “due pezzi” era usato soprattutto come tenuta da gioco all’aria aperta, non necessariamente con riferimento al mare.
Tuttavia, con l’avvento del cristianesimo e della sua morale sulla libertà e sul corpo delle donne, questo indumento cadde in disuso e s’imposero modelli stilistici che coprivano praticamente tutta la pelle dei corpi femminili.
Dal 1750 a Parigi si diffonde la moda dei bagni, sia che questi avvengano in laghetti o fiumi, sia che si tratti di benefiche immersioni in mare. E’ in questo periodo infatti che prende il via l’abitudine di spostarsi sulle coste della Normandia o della riviera mediterranea per godere delle salutari proprietà dell’acqua di mare. Viene creato per l’occasione un abito con corpetto e calzoni, in tela spessa da marinaio, sovrapposto spesso da una grande gonna che inevitabilmente a contatto con l’acqua si gonfia come un pallone.
Con l’arrivo del XIX secolo le donne si immergono in mare e lo fanno avvolte in abbondanti mantelli chiusi al collo. Le bagnanti giungono in spiaggia dentro a cabine fornite di ruote o tende in cui si cambiano d’abito. Nella seconda metà dell’Ottocento l’abbigliamento da spiaggia è ancora molto castigato. Quando non ci si immerge, o appena si esce dall’acqua, si sta in spiaggia con leggeri abiti da città, di colore chiaro, con tanto di guanti e parasole, per proteggersi dai raggi ed evitare la tintarella, caratteristica delle classi inferiori.
Negli anni settanta del XIX secolo gli abiti si accorciano leggermente e le gonne delle sopravvesti si fanno meno ampie. I completi si arricchiscono di nastri e spighette bianche e blu secondo la moda alla marinara, con il collo rettangolare sul dorso. Il tessuto più usato è la flanella.
I costumi degli anni Venti sono costituiti da corte gonnelline in taffetas con la cintura sui fianchi oppure atletici costumi da nuoto in jersey di lana, sfiancati e aderenti, senza maniche, sempre abbinati a calzoncini shorts che arrivano a metà coscia o a corte coulottes.
Alla fine del XIX secolo i costumi da bagno femminili erano già a due pezzi, ma coprivano tutto il corpo fino ai polsi e alle caviglie. Quando si entrava in acqua tutta questa stoffa diventava un ammasso di tessuto che si attaccava al corpo e rendeva molto difficile muoversi. Per risolvere questi problemi, all’inizio del XX secolo la nuotatrice Annette Kellerman indossò per la prima volta un modello inventato da lei: un costume intero aderente, senza maniche e senza gambe. Fu arrestata per averlo indossato in pubblico a Boston, ma riuscì a creare un precedente che presto fu accettato in alcune spiagge europee.
In ogni caso, il costume da bagno più comune per le donne nei primi decenni del XX secolo era un miniabito, dal taglio ampio, che nascondeva la forma del corpo. I materiali utilizzati all’epoca, come il lino o il cotone, facevano sì che il peso dell’indumento raddoppiasse quando veniva immerso nell’acqua.
La grande rivoluzione arriva nel 1946: fu Jacques Heim, che lanciò un modello in due pezzi che esponeva l’addome ma copriva l’ombelico. Lo battezzò “atomo”, perché era il costume da bagno più piccolo del mondo.
Poco dopo Louis Réard, un ingegnere meccanico che gestiva l’azienda di lingerie della madre, presentò il primo costume da bagno – anch’esso a due pezzi – che osava mostrare l’ombelico, cosa assolutamente vietata fino ad allora. Non fu facile per lo stilista trovare una donna che gli facesse da modella, perché tutti temevano la reazione dell’opinione pubblica, che lo avrebbe considerato volgare. Tuttavia, il 5 luglio 1946 indosso a Michelle Bernardini, una ballerina del Casino de Paris, fece la sua comparsa il primo bikini pubblico della storia, provocando un autentico choc.
Ci vorranno anni e bagnanti audaci e coraggiose prima che il bikini entri nell’abbigliamento comune da spiaggia. Intanto si vedono i primi pantaloni alla pescatora, i grandi cappelli di paglia, fusciacche e sciarpe, in una profusione di tessuti a pois, a quadrettini, ornati con spighette o sangallo.
Gli anni Cinquanta vedono ancora il veto ai succinti costumi due pezzi. Il bikini è ancora bandito e spesso il suo uso in luogo pubblico viene punito dalle forze dell’ordine per oltraggio al pudore. La moda ufficiale propone prendisole al ginocchio, bustini doppiopetto con gonnelline a godet. Il costume più diffuso è intero, con gonnellino stretto e aderente. Torna la spugna, in particolare per le giacche-accappatoio.
Ma negli anni Sessanta il bikini supera le prouderies dei benpensanti e comincia a imporsi sulle spiagge, seguendo la moda che Brigitte Bardot lancia a Saint Tropez.
Già prima, in Italia, l’attrice Lucia Bosè aveva sdoganato il costume a due pezzi , nel ’47, al concorso di Miss Italia a Stresa. Una passerella che lancia le maggiorate e le giovani attrici, immortalate nei filmati RAI e nelle foto dei Bagni Lido di Genova, organizzatore della selezione regionale.
E da quel momento il bikini invaderà le spiagge d’Europa, e non solo.
Una curiosità: perché il nome “bikini”?
Siamo nel luglio del 1946. E gli americani stanno conducendo dei test nucleari con bombe a idrogeno su un atollo delle isole Marshal di nome Bikini. A pochi giorni da queste sperimentazioni, il 5 luglio 1946, uno sconosciuto ma geniale sarto francese, Luis Reard, lancia una nuova moda per l’estate: un costume a due pezzi, composto “solo” da una mutandina e un reggiseno. Lo chiamerà bikini, per l’appunto, visto che sarà una bomba all’interno di quelli che erano i costumi e le tradizioni dell’epoca. Addirittura Reard faticò a trovare una modella che posasse pubblicamente indossando la sua ultima creazione. L’unica che accettò fu Micheline Bernardini, una spogliarellista 19 di origini italiane.
Dal bikini al topless al tanga e…oltre- Gli uomini persero letteralmente la testa mentre le donne ne furono quasi intimorite. La Bernardini ricevette in pochi giorni oltre 50.000 lettere e un numero mai rivelato di proposte di matrimonio.
Nonostante la partenza fulminante il bikini comunque fece fatica a farsi strada: negli Stati Uniti fu oggetto di una campagna avversa perbenista che dalle riviste dichiarava che le signore di classe non lo avrebbero indossato assolutamente mai!
In Italia la censura della Democrazia Cristiana e quella della Chiesa furono più forti di qualsiasi tentativo di provocazione e il bikini, come anche il più castigato costume a due pezzi prebellico, furono completamente banditi. Negli anni ’50 non era raro vedere sulle spiagge italiane Carabinieri armati di centimetro per misurare la conformità dell’abbigliamento da mare ai canoni del “comune senso del pudore”, come si diceva allora.
La moda di indossare il costume a due pezzi non fu comunque facilmente accolta dovunque.
Ci vollero quindici anni perché il bikini fosse accettato negli Stati Uniti. Nel 1951 i bikini furono proibiti al concorso per Miss Mondo. Nel 1958, il bikini di Brigitte Bardot nel film E Dio creò la donna creò un mercato per il costume negli USA, e nel 1960 la canzone di Brian Hyland “Itsy Bitsy Teenie Weenie Yellow Polka Dot Bikini” diede l’avvio a una corsa all’acquisto del bikini. Infine il bikini divenne popolare, e nel 1963 il film Beach Party, con Annette Funicello (enfaticamente non in bikini, dietro espressa richiesta di Walt Disney) e Frankie Avalon fu il primo di una serie di film che resero il costume un’icona della cultura pop.
Nel 1953 sempre la vulcanica mente di Réard inventò il “reggiseno disco volante“, che stava miracolosamente su senza bisogno di spalline e il pezzo di sotto a guaina (Sexyform) che altrettanto miracolosamente spostava all’insù le natiche.
Nel 1956 Marisa Allasio sconvolse i sonni maschili indossando nel film “Poveri ma belli” il bikini più succinto della storia di quegli anni; modello immediatamente copiato dalle più grandi case di moda mare, che mise in allarme i custodi della pubblica morale: sulle spiagge italiane giravano carabinieri in coppia, muniti di centimetro, che avevano il compito di misurare le dimensioni dei bikini indossati dalle bagnanti. Le “misure” variavano da regione a regione e se erano inferiori al lecito, come accadde ad Anita Ekberg nel 1956 a Ostia, si veniva fermate, portate in caserma, sottoposte a verbale e multate per oltraggio al pudore.
Negli anni Sessanta il bikini venne finalmente accettato dalla morale comune e divenne indumento da indossare senza alcun clamore, forse sdoganato definitivamente dalla splendida Ursula Andress in “007 Licenza d’uccidere”.
Più recentemente, con la cosiddetta “liberazione sessuale”, sulle nostre spiagge al bikini si affiancò il monokini. Il termine monokini è stato utilizzato con riferimento ad abbigliamento da bagno topless femminile ; (letteralmente “senza la parte superiore”): laddove il bikini ha due pezzi, il monokini è costituito dal solo pezzo inferiore. Dove il monokini è comunemente utilizzato, spesso con un motto di spirito si definisce bikini a un abbigliamento composto di due elementi: un monokini e un cappello. Il termine “monokini” è stato coniato da Rudi Gernreich, stilista austriaco naturalizzato statunitense.
Nella civiltà occidentale, la pratica di mostrare il seno in pubblico restava generalmente un tabù per via delle implicazioni storiche, culturali e sociali che essa comporta, tabù invece assente in molte popolazioni non occidentali, nelle quali le donne usano mostrarsi in pubblico a seno scoperto.
In Italia, dopo una lunga e animata discussione circa la moralità di tale comportamento, anche fortemente rivendicato in partecipate manifestazioni femministe degli anni sessanta, settanta e ottanta, la questione del topless è stata conclusa dalla III sezione penale Corte di Cassazione che, con sentenza numero 3557 del 2000, ha sancito la liceità del topless in spiaggia, in quanto «ormai da vari lustri è comunemente accettato ed entrato nel costume sociale».
Ma la ricerca di una nudità sempre più ostentata, in poco tempo ha ridotto ulteriormente le porzioni di stoffa per coprire il corpo femminile sulle spiagge. Così il topless si è fatto nel tempo sempre più ridotte, fino al tanga. Il nome tanga deriva da quello di un ornamento tipico della cultura detta di Marajó (Brasile settentrionale) che viene ancora utilizzato da alcuni gruppi abitanti alla foce del Rio delle Amazzoni. Il tanga è costituito, nella parte anteriore, da una placchetta di ceramica a forma triangolare tenuta sospesa da una cordicella passante per due fori praticati lungo la base; il fianco dell’indumento, pertanto, è costituito unicamente da detta cordicella.
Una leggenda vuole che la grande popolarità dell’indumento derivi da una ragazza brasiliana di origini italiane, Rose di Primo, che avrebbe tagliuzzato il suo costume per farsi notare a una festa nella spiaggia di Ipanema, a Rio de Janeiro, nel 1972. Il clamore ottenuto dall’esibizione della ragazza avrebbe avviato la diffusione del succinto indumento sulle spiagge del Brasile. È molto diffuso soprattutto come parte di costumi da bagno due pezzi, in quanto grazie alla sua essenzialità riduce al minimo la parte di addome, schiena e fianchi coperti, consentendo un’abbronzatura molto estesa anche se non integrale.
Come sempre la moda non vuole mai essere ripetitiva e deve imporre “costumi” sempre nuovi. Così si fa un passo indietro e, per l’estate 2023 le nuove tendenze propongono costumi da bagno meno nude look, con bikini con la parte di sotto molto alta o il costume intero monospalla.
Il bikini a vita alta è un vero must have di stagione. Le opzioni possono essere svariate con coppe preformate e slip che diventano quasi dei pantaloncini da vera pin-up o in versione più semplice con triangolo o fascia. I colori spaziano dai classici bianco o nero alle righe per sposare a pieno uno stile Côte d’Azur.
il costume intero monospalla, perfetto da abbinare a un pareo colorato e trasformarsi in pochi gesti in un look da giorno. Il nostro consiglio è di sceglierne uno monocromatico o almeno con la parte inferiore di un solo colore. Questa scelta slancia e nasconde meno i piccoli difettucci……
Tiziano Franzi