Abuso di antibiotici: 700.000 decessi nel Mondo, 33.000 in Europa, 10.000 in Italia.2/ Prevenire e combattere l’ipertensione, il gusto si abitua in fretta alla dieta con poco sale.
di Francesco Domenico Capizzi*
La pandemia ha determinato un ulteriore abuso di antibiotici, cui corrisponde l’incremento dell’antibiotico-resistenza. Porre un limite a questo fenomeno rappresenta una delle priorità assolute in ambito socio-sanitario (International Translational Research and Medical Education, Albert Einstein Institute of Medicine, maggio 2022).
Nel complesso gli antibiotici sono risultati del tutto inutili contro l’infezione da Coronavirus: il loro utilizzo indiscriminato è stato assolutamente improprio, in quanto non compiono alcuna azione diretta o indiretta sul virus, e non hanno trovato giustificazione nemmeno come prevenzione di un’eventuale sovrapposizione batterica polmonare.
Davanti ai segni di un’infezione virale il loro uso, divenuto comune, non poggia su basi scientifiche: contribuisce a favorire la resistenza verso batteri con conseguenti costi in termini di vite umane e socio-sanitari.
Bisogna considerare che l’utilizzo improprio di antibiotici risale all’immediato dopoguerra con la fabbricazione e l’immissione sul mercato dei primi antibiotici (penicillina). La novità del prodotto, uno dei simboli della modernità e dell’incipiente consumismo, ha indotto medici e veterinari ad utilizzare grandi quantità di antibiotici contribuendo con rapida progressione alla resistenza batterica, cioè alla selezione dei peggiori batteri, da cui derivano i resistenti appunto, che sopravvivono diventando del tutto dominanti, rimanendo gli unici a sopravvivere e in grado di continuare a crescere ed espandersi moltiplicandosi rapidamente, anche più volte nel corso di una sola ora.
In questo convulso processo riproduttivo i batteri trascrivono il loro DNA duplicandolo. E sono insite in questo processo evolutivo le mutazioni, veri e propri errori di copiatura, che conducono al fenomeno dell’antibiotico-resistenza. Lo stesso risultato può verificarsi con lo scambio reciproco di piccoli frammenti di DNA, detti plasmidi, fra batteri della stessa e diversa specie.
Come i batteri resistono agli antibiotici? Acquisiscono le proprietà di rendere la propria membrana del tutto impenetrabile all’antibiotico, di eliminare l’antibiotico, di alterare la stessa struttura dell’antibiotico e renderlo inattivo, di modificare le proprie proteine con le quali l’antibiotico interagisce.
A livello globale, e senza amnistie per nessuno, il fenomeno va amplificandosi rapidamente giungendo a stratificazioni e accumuli di più forme di resistenza batterica fino alla possibilità di trovarci al cospetto di batteri multi-resistenti che si moltiplicano normalmente sebbene in presenza di classi di antibiotico ritenuti molto potenti.
Il processo mutazionale batterico (del tutto simile a quello virale), sommariamente descritto, presenta attinenze con l’instaurarsi di un processo neoplastico: cellule che subiscono stimolazioni da parte di un agente, spesso di provenienza dal mezzo esterno, reagiscono moltiplicandosi rapidamente e a volte compiendo errori mutando il loro DNA e la loro missione divenendo autonome e svincolate rispetto all’equilibrio omeostatico insito nell’organismo.
Normalmente spetta al Sistema immunitario, se ben attivo, di cui è dotato ogni organismo, il controllo della normale popolazione batterica e virale e della crescita finalizzata delle cellule di organi e sistemi. Spetta alle Scienze, a partire dalle bio-medico-chirurgiche, studiare fino in fondo le origini dell’antibiotico-resistenza e delle mutazioni neoplastiche, prenderne atto e informarne con urgenza Istituzioni e cittadini perché agiscano con consapevolezza, determinazione e urgenza.
Francesco Domenico Capizzi (Già docente di Chirurgia generale nell’Università di Bologna e direttore delle Chirurgie generali degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna)
2/ Prevenire e combattere l’ipertensione, il gusto si abitua in fretta alla dieta con poco sale
Lo rivela uno studio condotto all’University of Kentucky di Lexington (Usa) presentato nel corso del congresso EuroHeartCare della European Society of Cardiology (ESC)
Ridurre il consumo di sale senza che ciò sia percepito come una privazione è possibile e permette di ridurre la pressione arteriosa nelle persone più a rischio. È quanto è emerso da un piccolo studio condotto all’University of Kentucky di Lexington (Usa) presentato nel corso del congresso EuroHeartCare della European Society of Cardiology (ESC). La ricerca ha coinvolto 29 persone con ipertensione, una parte dei quali è stata coinvolta in un programma educazionale che prevedeva una lezione a settimana erogata via tablet. Il programma, che è durato 16 settimane, era finalizzato ad acquisire consapevolezza sul consumo di sale, sui rischi a esso associati e sui benefici derivanti dalla riduzione del sodio. “Uno dei primi passi è stato far sì che i pazienti si rendessero conto di quanto sale stessero mangiando”, ha detto la prima firmataria dello studio Misook Chung. Nel corso dello studio i volontari sono stati accompagnati nella progressiva riduzione del contenuto di sale nell’alimentazione, finché non hanno cominciato ad abituarsi al nuovo gusto dei cibi.
“Nel gruppo di intervento, l’assunzione di sodio è diminuita di 1.158 mg al giorno, una riduzione del 30% rispetto all’inizio dello studio, mentre il gruppo di controllo ha aumentato l’assunzione giornaliera di 500 mg”. Contemporaneamente, però, questo risultato ha coinciso con un maggiore gradimento della dieta con poco sale: in una scala di 10 punti, il gradimento è passato da 4,8 a 6,5 al termine della ricerca. Inoltre lo studio ha fotografato una riduzione della pressione massima di 10 punti, passata da un valore medio di 143.4 mmHg a 133.9 mmHg, e la minima di 4 punti (da 85,9 a 81,7).
“Il nostro studio indica che possiamo riqualificare le nostre papille gustative per gustare cibi a basso contenuto di sodio e ridurre gradualmente la quantità di sale che mangiamo”, ha concluso Chung. “Il programma di adattamento graduale del gusto ha il potenziale per contribuire a controllare la pressione sanguigna, ma deve essere testato in uno studio più ampio con un follow-up più lungo”.