In una pregiatissima opera editoriale il profilo del magnifico personaggio della civiltà occidentale.
di Sergio Bevilacqua
Ci sono figure che segnano la storia del mondo. In certa successione, la civiltà occidentale tra l’anno 1050 e il 1250 è tributaria di 3 personaggi, patrimonio comune dell’Europa e dell’Occidente: Matilde di Canossa (1046-1115), Federico Barbarossa (1122-1190) e Federico II di Svevia (1194-1250). Minimo comune denominatore, il problema della composizione, nella civiltà europea, di Religione, Stati e popoli, di visione teocentrica e antropocentrica, di simulazioni trascendenti e di trascendenza simulata e, sullo sfondo, il confronto con il grande Islam e la pressione dell’Asia mongola. Il tema delle investiture dei Vescovi, infatti, fonte di dissidi ormai secolari tra Chiesa e Impero, continua, con discrezionalità incrociate. L’epoca comunale, che attraversa il periodo tra Matilde e Federico, è proprio il caso classico del famoso proverbio “tra i due litiganti il terzo (il popolo) gode” o, almeno, si ricava uno spazio importante dovuto alla distrazione verso di lui dei due grandi poteri contrapposti.
Ma anche una storia di famiglie collegate tra la Grancontessa, il Barbarossa e Federico II di Svevia Stupor Mundi, in un percorso plurisecolare, che denota quanto l’integrazione europea fosse fin d’allora un tema centrale. Forse il colonialismo romano non aveva gettato abbastanza fondamenta? La ricucitura bizantina attuata da Giustiniano non era stata sufficiente?
L’Islam aveva di certo sorpreso i nuovi equilibri targati Bisanzio, e aveva spostato il baricentro dell’umanità a latitudini mai considerate: dal punto di vista geografico, con la visione pan-mediterranea e, inoltre, un Maghreb e il Mashreq, occidente e oriente in arabo, eurasiatico; dal punto di vista antropologico, con le grandissime astuzie politiche e consapevolezze civili de “La lettura”, القرآن, al-Qurʾān, il Corano, migliore vita corrente e salute dell’uomo e della società dell’epoca. È certo che quanto segue a quel primo millennio che vede la storia del “piccolo occidente” svolgersi intorno ai grandi temi dell’organizzazione cristiana della società, della sua organizzazione istituzionale e di ciò che avviene ai suoi confini, sta proprio nella successione di quelle 3 figure, con legami familiari, dalle quali nascerà un mondo ben diverso da come era precedentemente. Dunque possiamo dire a ottima ragion veduta che anche noi siamo figli di quei tre giganteschi personaggi, che ereditano un’Europa Franca, imperiale e cristiana, e che la lasceranno, dopo ostacoli, incagli e aggressioni, all’incedere di qualcosa di nuovo. Infatti, i 2 secoli che seguiranno, XIV-XVI, che sono molti più “brevi” di quanto siano stati gli ultimi due (XX-XVIII), ma anche i precedenti due ancora (XVIII- XVI appunto), con continui rivolgimenti e tanta ostilità guerresca e filosofica, ci porteranno al vero culmine del cambiamento della vita sulla terra, l’era cosiddetta della rinascita, che è soprattutto concretamente la Scienza esatta, poi tradotta anche in uno slancio celebrativo di tipo estetico, il Rinascimento.
Stupor! Stupor Mundi. È questa nuova antropologia scientifica del dominio del mondo (la rifiuta l’Islam, la rifiuta il Celeste Impero, la rifiuta il ventre induista e buddista dell’Asia) che ha fatto grande l’Occidente: il salto antropologico è un salto di astrazione, una nuova funzione mentale. Come chi impazzisce per portare a termine la sua visione, qui il bianco europeo è un uomo mutante. Che ci sia “sangue” arabo alla base, è indiscutibile. Inoltre, è evidente un impegno divino (nelle varie, e a mio avviso coincidenti, semantiche del termine) nel dotare l’umanità del più potente ed elevato strumento di dominio del mondo e dello spirito, che è il metodo sperimentale: esso è esperienza di tutti, non solo, tardiva, di noi sociologi clinici, sociatri, che siamo sempre scettici sulla sufficienza della filosofia, che consideriamo come tecnica e al massimo fase del nostro processo conoscitivo.
Occorre vedere la storia dell’ultimo millennio come epoca di creazione del supremo dispositivo del metodo sperimentale, con le sue conseguenti scoperte scientifiche, le sue tecnologia, la sua industria, la sua economia e la sua sociologia: il metodo sperimentale è lo spartiacque mediano del secondo millennio e la principale introduzione alla stabilità prevedibile del terzo millennio. Ove la globalizzazione ha già trionfato e trovato il suo equilibrio, con il locale che si avvale del globale. Qual è però il canale che ha portato al successo europeo prima, e occidentale poi, dell’economia industriale, figlia di tecnologia e scienza esatta? Indubbiamente la fusione tra scienza araba e domanda cristiana. La stabilità politica dell’Islam favorisce fin dall’anno 1000 la produzione di sapere sistemico, tant’è che i maggiori cultori del grande sapere filosofico ancora vivo della civiltà greca sono proprio arabi. Tra loro, nel filone del sapere scientifico, platonico per differenza e aristotelico per oggetto, sono proprio i due arabi Avicenna intorno al 1000 appunto e Averroè, intorno al 1100. Ma come sarebbe stato possibile incorporare la loro lezione senza accogliere con generosità e tolleranza la civiltà araba? Come sarebbe stato possibile farlo senza frizioni con il coinquilino d’Italia, il Papa, la Chiesa cattolica, ancora ferita dallo scisma ortodosso e coinvolta nel tentativo di regolare, a modo suo, il tema del potere temporale (e imperiale…)?
Ecco qui il senso storico, epocale del ruolo svolto da Federico II: grande politico, certo; grande costruttore d’infrastrutture organizzative; uomo di grande amore per le lettere e coltivazione artistica, artista lui stesso; grande dinamismo europeo. E grande dinamismo mediterraneo.
Se Federico II non avesse saputo tenere ottimi rapporti con l’Islam, dimostrati dalla tolleranza in Sicilia verso l’importante enclave coranica, Avicenna e Averroè non avrebbero fatto transitare il loro illuminato pensiero nel vecchio continente. E ciò anche grazie all’Università di Napoli, che egli stesso fondò per amore del sapere e delle sue funzioni civili, forse in concorrenza coi Papi, che guardavano alla antecedente Università di Bologna, loro giurisdizione diretta. Se Federico non avesse avuto una visione globale e una grande mobilità, il pensiero di Averroè ed Avicenna non sarebbe così arrivato a Francis Bacon e, senza l’empirismo cocciuto di quest’ultimo, avveduto dell’insegnamento dei due arabi, la cultura scientifica e il suo metodo sperimentale non avrebbero fatto volare l’Occidente, pochi decenni dopo, grazie a Leonardo da Vinci che anticipa le grandi intuizioni metodologiche di Galileo Galilei.
Il dispositivo più clamoroso di benessere per l’intera umanità mai esistito, la industria e la sua economia, deve dunque moltissimo a Federico II di Svevia e ha lasciato il segno in un mezzogiorno che da lui ha imparato la lezione dell’uso della conoscenza, fino a fare divenire Napoli polo della economia industriale, secondo solo a Londra e Parigi, nella prima metà del 1800. Celebrarlo oggi, con una pubblicazione pregiatissima nei contenuti e nella materia editoriale e tipografica, mettendo il più grande di Svevia su un ricercato piedestallo di legno, coperto da una sorta di mantello di alcantara, mentre il volume è rivestito di pregiata pelle del cervo, uno delle prede più ambite della sua più grande passione, la caccia, e all’interno espressioni contemporanee di quelle arti che già Federico amava con tutto se stesso, è meritorio. In particolare quando un messaggio di tale portata globale proviene proprio, grazie alla iniziativa Stuporart, da quelle terre che gli diedero la vera educazione, la sua Sicilia e il nostro Mezzogiorno d’Italia, ove la traccia di Stupor Mundi è ancora ben presente, e rimane ancor’oggi vera fonte di rispetto. Tutto l’Occidente lo celebra ancora, la sua dimensione europea e mediterranea lo rende attualissimo, emblematico dei destini d’Europa. E anche un faro per come è giusto valorizzare ovunque il positivo, il buono, e sopportare frizioni e sconfitte per elevare la civiltà umana.
Sergio Bevilacqua