È di certo una fatto molto triste lo stand chiuso della Federazione Russa alla 59esima Biennale dell’Arte a Venezia.
di Sergio Bevilacqua
Arte che dovrebbe unire, arte che dovrebbe sollevare dai patemi quotidiani, arte che dovrebbe elevare una cortina di franchigia per ciò che è umano, e, invece, istituisce una nuova cortina di ferro antiumana…
Il conflitto in corso, in terra europea, è citato da Alemani, direttore artistico della Biennale 2022, come aspetto inatteso e straniante. “Il latte dei sogni“, motto emblematico della 59^ edizione della più grande kermesse al mondo di arte contemporanea, la Biennale di Venezia, è stato ispirato da quella grande letterata e donna di movimento artistico che fu Leonore Carrington.
Carrington apre un discorso importante sull’arte al femminile, e la Alemani coglie la palla al balzo per un’estrapolazione: niente di più corretto di segnalare l’era della donna nel mondo onirico dell’Arte contemporanea, ove ogni razionalità andrologica cede il passo all’era ginoica del nuovo esoterismo.
Segnale che avevo previsto già 20 anni fa, quando, alla prima stesura del mio “Gynandromakia” (guerra, competizione, antagonismo, commisurazione tra uomo e donna), stimavo pericolosa e preoccupante la fase conflittuale che era in avvio tra i due sessi dell’umano, con l’inceneritore di un possibile de-genere totalmente a scapito della decrepita e corrotta società patriarcale.
Ma l’alternativa non può essere il Mutterrecht, il Matriarcato così ben descritto da Johann Jacob Bachofen, in un saggio cult troppo presto dimenticato, con le sue estreme manifestazioni.
Gli interessi verso una rivoluzione sono presenti e strutturati: anche il mainstream si muove da tempo in sintonia con questo. “The L (lesbian) world”, fortunato serial globale di matrice non a caso americana, ha spiegato a tutto il mondo con magistralità le caratteristiche della comunicazione solo al femminile, che si appoggia ai meccanismi conosciuti ma sviluppa codici segreti, quasi subliminali, accessibili soltanto ad antenne rosa.
La Biennale effettua un passo avanti nell’istituzionalizzazione di quei codici. La segue e sospinge Peggy Guggenheim Collection, con una mostra che propende per il recupero di una cultura magica e irrazionale, ante(anti)galileiana (anche perché Galileo ha finito il suo ciclo…) che recupera tecnicamente demoniaco e occultismo come parametri del nuovo sapere.
La prorompente cultura femminile non fa sconti: l’uomo è figura di secondo piano, supplementare, fragile e frusto.
Lo stesso Eugenio Viola, androgino curatore dello stand italiano all’Arsenale veneziano, presenta un Padiglione Italia sintomatico di un fallimento tutto maschile, quello di una industria che ci lascia un vuoto attonito.
Insomma, una grande guerra all’orizzonte: non una nucleare con la Russia, una genetica e culturale tra maschio e femmina dell’umanità, ben più grave e distruttiva di quella tra russi, meno russi e non russi.
Così, Anish Kapoor, che nella sua cruenta ispirazione, alle Gallerie dell’Accademia serenissima e nella sua recente residenza di Palazzo Manfrin, espone vere eruzioni di lava sanguinolenta, mestruale, ed enormi vulve, davvero perturbanti e inappellabili.
Che ci sia di peggio, in corso, di una guerra tra Stati? L’arte, forse, anche sfruttando le forti emozioni della brutta guerra tra Russia e Ucraina, sembra stia facendo compiere un passo avanti a ben altra guerra, soggiacente da qualche lustro: la via di una mutazione nella specie umana, una gravissima transizione da specie dioica, basata su due sessi, a specie monoica, ove la riproduzione avviene soltanto grazie alle qualità ingigantite delle donne umane.
O… ex-umane?
Sergio Bevilacqua