Siamo alla quarta punta. Con l’incremento, esecrato da papa Francesco, delle spese per gli armamenti, si ritorna a parlare per l’Europa di Difesa comune europea, riprendendo il filo di Alcide De Gasperi e prospettando meno sprechi, più controllo, maggiore sostenibilità etica e più autonomia per un’Europa che si vorrebbe da più parti “Stati Uniti d’Europa” attraverso un processo (ri)costituente. Sono temi che ti sono da sempre cari, se non sbaglio caro Mirko.
di Gianluca Valpondi
DE CARLI: Il tema del finanziamento degli armamenti militari – che riguarda tutti i paesi della Nato e che non è un tema di attualità, ma è un tema che risale al 2014, quando l’allora governo italiano, in accordo con i partner della Nato, decise di incrementare entro il 2026 in realtà (perché il termine ultimo è il 2026) la percentuale dedicata alle spese militari dalla percentuale precedente a quella del 2% – è uno dei temi per i quali ci fu grossa discussione tra la presidenza Trump e i paesi dell’Europa occidentale, perché appunto Trump contestava un dato di fatto, cioè che l’America finanziasse con oltre il 4% del Pil gli armamenti contro paesi del fronte Nato che faticavano a raggiungere l’1%, e l’Italia era probabilmente considerata tra questi. Quindi, gli impegni sono precedenti e questo va chiarito per avere un osservatorio puntuale della situazione.
Credo che il governo italiano debba tenere in considerazione gli impegni assunti, senza però tralasciare le parole di papa Francesco. Una discussione in merito agli armamenti sotto conflitto è totalmente inopportuna. Credo che anche l’apertura di un’eventuale crisi di governo da parte del presidente del Movimento5Stelle Giuseppe Conte sia un altro esempio di inettitudine della nostra classe dirigente nazionale.
In questo senso, va definito bene su che cosa si spendono questi armamenti e su che cosa si spendono questi investimenti nello specifico. Credo che se l’Italia è stata sempre riconosciuta a livello internazionale come un paese che si occupa con eccellenza unica di peace-keeping, di operazioni militari per mantenere la pace nelle zone di conflitto armato o nelle zone a rischio di conflitto armato, potremmo chiarire che questi investimenti vanno in quella direzione e vanno nella direzione di una difesa adeguata ai rischi internazionali che il Paese corre.
Ecco, questo va secondo me definito e in quest’ottica si può definire un graduale incremento degli investimenti con la garanzia che non vengano toccati gli investimenti nel sociale, cioè che non si usino risorse che devono andare in tasca alle famiglie per comprare rifornimenti sul piano militare. Ecco, questo potrebbe essere un ragionevole compromesso, che potrebbe trovarsi all’interno dell’accordo di governo, che raccoglierebbe le necessità di accordi internazionali da rispettare, e dall’altra parte accoglierebbe anche quella sensibilità, che facciamo nostra, espressa da papa Francesco. Un’Europa con una Difesa unica? Un sogno! Non è solo il sogno di Alcide De Gasperi – ricordiamo in questi giorni anche la compianta figlia di Alcide, che è morta, che ci ha lasciato: una donna straordinaria, che ha segnato con la sua testimonianza la vita del nostro Paese e personalmente ha segnato anche la mia di vita con un rapporto epistolare, oltre che personale, molto proficuo e intenso.
Credo che sia necessario, anche per rendere più efficaci questi investimenti, coordinare le spese militari e la difesa militare a livello continentale. È una sfida da non vedere nell’ottica di uno scontro con altri paesi, è da vedere nell’ottica di applicazione di quei principi, tra cui quello costituzionale, del perseguimento della pace. Un’Europa ben organizzata sul piano militare, ben attrezzata sul piano del peace-keeping, è un’Europa che può diventare attore a livello internazionale per la pace nel mondo. In questo senso, la pace che abbiamo conquistato in oltre 70 anni nel nostro territorio ne è la conferma. Quello che più dispiace non a caso è che nelle trattative per gli accordi di pace in Ucraina l’Europa non si veda tra gli attori protagonisti, bensì siano presenti regimi che fanno della guerra il loro modus vivendi e modus operandi, Turchia in primis.
Vedo un abbraccio tra Cielo e terra, con in mezzo il mondo intero, nell’inedita interlocuzione (si potrebbe dire il “botta e risposta”) tra papa Francesco – che il 25 marzo consacra, con un appello struggente, il mondo e in particolare Russia e Ucraina al Cuore Immacolato di Maria – e la Gospa – che, lo stesso giorno, nel suo consueto messaggio mensile, risponde altrettanto accoratamente all’appello del Santo Padre. Pie illusioni, le mie, o un reale preavviso di quanto promesso dalla Madonna a Fatima (il trionfo del suo Cuore Immacolato), che dovrà realizzarsi con Medjugorje (un tempo di pace per l’umanità)? E non c’è forse una corrispondenza tra il terzo segreto di Fatima, gli ultimi sette di Medjugorje e la situazione verso cui il mondo sembra dirigersi?
Sicuramente per noi credenti, ma credo anche per la società intera, il modo con cui la comunità cristiana, e in particolare la figura del nostro papa Francesco, hanno affrontato, guidato e portato contributi importanti all’interno del dibattito spesso svilente che ha caratterizzato il conflitto in Ucraina, sia un segno di quell’incontro tra terra e Cielo di cui parli nella tua domanda. Credo che queste coincidenze non siano a caso, e non accadano per caso, che ci sia sempre un motivo. E sicuramente la scelta di papa Francesco di affidare al Cuore Immacolato di Maria le due terre che in questo momento sono immerse in un conflitto angosciante, ovvero Russia e Ucraina, è un segno di continuità nella storia della Chiesa ed è un segno di grande necessità, soprattutto per l’Occidente, di ritrovare le proprie radici dentro l’esperienza cristiana. Oggi più che mai abbiamo bisogno di una speranza che non muore; la speranza che non muore la rintracciamo all’interno di quelle radici troppo spesso rinnegate anche in Europa e che fanno riferimento inevitabilmente a quella tradizione greco-romano-giudaico-cristiana, che è propriamente connessa con la nostra storia. Il fatto che il messaggio anche della Madonna di Medjugorje in corrispondenza all’atto di consacrazione del Papa, affermasse le stesse parole, lo stesso appello, lo stesso sguardo dell’atto del Papa, è la conferma del fatto che probabilmente i nostri più “alti in grado” angeli custodi stanno indicandoci la strada e noi dovremmo seguirla. Per questo le parole del Papa per chi fa politica da cristiano come me, come tanti di noi, sono fonte di inspirazione, di guida e di estremo conforto nell’affrontare questi momenti difficili, che siamo chiamati a vivere.
Sicuramente, c’è anche una corrispondenza col terzo segreto di Fatima, gli ultimi sette di Medjugorje e l’attuale situazione, nel senso che ci troviamo a essere chiamati a momenti e tempi difficili, in cui è necessario riabbracciare con forza la fede come lanterna che illumina la ragione, come tante volte ci ha ripetuto papa Benedetto XVI durante il suo pontificato. E in questo senso sicuramente i fatti e gli intrecci che ci hai richiamato tu possono essere di grande auspicio per un futuro che, attraverso una riscoperta delle nostre radici greco-romano-giudaico e inevitabilmente cristiane, possa avere una speranza che non delude.
Il 25 ottobre 1955 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa scelse all’unanimità l’attuale bandiera europea: un cerchio di 12 stelle dorate in campo azzurro (il colore tipico della Madonna, oltre che del cielo). L’8 dicembre (solennità dell’immacolata concezione di Maria) dello stesso anno il Comitato dei ministri adottò questa bandiera. C’è un riferimento al libro dell’Apocalisse di san Giovanni: “Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle” (Ap 12, 1). Questo anelito dell’anima è un anelito alla libertà e alla pace. Cosa ci può insegnare, come europei, la drammatica vicenda del popolo ucraino in tema di libertà? Può esserci pace senza libertà o libertà senza pace? Le nostre società occidentali sono libere e pacifiche?
L’Europa è impregnata di radici greco-romano-giudaico-cristiane. Il rifermento che fai tu è un riferimento che conferma tutto questo. Non è un caso che sento forti, ancora vive le parole di san Giovanni Paolo II quando disse: “Un’Europa che non riconosce le sue radici è un’Europa che non ha futuro”, e quando invitò soprattutto gli esponenti politici che si richiamavano alla dottrina sociale della Chiesa cattolica a battersi affinché nel progetto di Costituzione europea ci fosse un richiamo esplicito a queste radici greco-romano-giudaico-crisiane. Il non riconoscimento, il fallimento del progetto costituzionale e l’avviarsi sempre più di un’Europa intesa come unione economica e affaristica e non comunità aggregativa di popoli e di uomini e di donne, è stato il lento e disperato declino del nostro continente, ha rappresentato il lento e disperato declino del nostro continente. In questo senso, credo che la vicenda ucraina ci interroga perché non ci vede protagonisti proprio perché non abbiamo purtroppo, al di là degli interessi economici che ci caratterizzano, nulla da dire.
L’unico soggetto autorevole, che ha detto parole di speranza, parole di pace, parole di libertà, parole di speranza autentica, che hanno dettato una traccia di lavoro per le trattative diplomatiche, è stato papa Francesco. E non è un caso che il patriarca Kirill è disposto ad incontrarlo, non è un caso che lo chiamino gli ucraini ad andare a Kiev, e non è un caso che gli interlocutori politici abbiano chiesto un ruolo diretto di papa Francesco. Noi come Popolo della Famiglia per primi ci siamo adoperati affinché ci fosse quella che papa Francesco poi ha fatto, la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria da parte della Russia e dell’Ucraina, e l’esplicito impegno per una trattativa di pace, che fosse possibile attraverso un lavoro intelligente tra popoli belligeranti. È possibile percorrere la libertà solo dentro una prospettiva di pace, una libertà senza pace è una libertà lacerata, ferita, diminuita, ridotta. La pace però non dev’essere quella delle bandiere della pace, la pace dev’essere quella di una politica intelligente, che sa mediare gli interessi in campo, che sa capire gli avversari, che sa intavolare trattative con gli avversari e che non impone le proprie ragioni ostracizzando le ragioni degli altri in una logica ideologica. Questo è quello che ci ha insegnato anche papa Giovanni XXIII quando ci invitò a considerare chi non la pensava come noi come un avversario con cui dialogare, trovare punti d’incontro, e non come un nemico da abbattere.
Le nostre società occidentali hanno l’aspirazione ad essere libere e pacifiche, perseguita all’interno dei loro confini – pensiamo che l’Europa è un progetto di pace e di solidarietà, ha ottenuto anche il premio Nobel per questo: nei propri confini -, ma se pensiamo che noi occidentali abbiamo generato conflitti, miseria e povertà in tanti continenti, in tanti paesi, forse qualche interrogativo sulle aspirazioni autentiche di questo progetto europeo dovremmo porcelo.
Gianluca Valpondi