Nell’anno 1621 si aprivano in Carcare le Scuole Pie, fra le primizie dell’Ordine fondato da S. Giuseppe Calasanzio (1557-1648) e le prime fuori di Roma e del Lazio. L’affabilità dei Padri, la bontà della scuola, la gratuità della stessa, le conseguenze positive – culturali, sociali, di umana promozione – immediatamente percepite, suscitarono l’ammirazione degli onesti e l’auspicio che tali scuole potessero aprirsi in molte altre località.
di Gian Luigi Bruzzone
A Savona, città importante nel medio evo e nell’età roveresca, ma allora alquanto depressa, dopo la perdita dell’autonomia nel 1528 e le pesanti condizioni imposte dallo stato genovese, ci pensò Alessandro Abbati, avvocato e protonotario apostolico. Egli aveva conosciuto in Roma il Calasanzio in persona ed era rimasto conquiso dall’insegnamento dei suoi figli.
«Ecco quello che ci vuole per la mia città», rimuginò fra sé. Al pensiero seguì l’azione. E così chiese al Consiglio degli anziani di chiamare i Padri delle Scuole Pie che tanto bene facevano nelle località onorate dalla loro presenza: il consiglio, con delibera del 10 giugno 1622, presente il governatore G.B. Saluzzo (rappresentante della Repubblica di Genova) e del Priore degli anziani Antonio Lamberti, accolse la proposta quasi all’unanimità (quarantaquattro voti favorevoli ed uno contrario: un giuda non manca mai) e stanziò un annuo sussidio per pagare la pigione della casa.
LA PRIMA VOLTA – Era la prima volta che il comune s’impegnava con un sussidio continuativo per l’istruzione di tutti i cittadini. Di fatto lo stato – nei secoli avvenire divenuto quanto mai arrogante e vessatorio – non riteneva proprio compito interessarsi dell’istruzione e soltanto la Chiesa e le istituzioni da lei allignate si sobbarcavano a codesta necessità. In particolare, al tempo della Riforma cattolica (in parte frenata dalla ribellione protestante) e negli anni successivi al concilio tridentino sbocciarono ordini religiosi specializzati, col fine specifico o dell’insegnamento o dell’assistenza agli orfani (Somaschi), o dell’assistenza ospedaliera (Fatebenefratelli, Camilliani) e via dicendo.
L’AVVOCATO ALESSANDRO ABBATI – I savonesi, per tanto, il I novembre 1622, nell’abitazione dell’avv. Abbati in contrada Scarzeria, assistettero all’inaugurazione delle Scuole Pie dirette dal P. Pietro Casani, fedele compagno del Calasanzio. Nel giro di pochi giorni si aprirono ben otto classi e da subito affluirono più di trecento allievi: indizio di quanto l’istruzione fosse ambita. Essa era aperta a tutti, senza distinzione di ceto sociale, gratuita, con lezioni espresse nella lingua nativa, ossia l’italiano. I Padri insegnavano la lettura, la scrittura, l’aritmetica, la grammatica, l’umanità e la retorica.
Un appunto contemporaneo di un padre annota: «Apertesi in Savona le scuole, nobili e cittadini facevano a gara in mandare i loro figliuoli alle medesime, perché con l’esercizio di queste, con gli oratori, le confessioni, i catechismi, e la frequenza ai sacramenti non tardò guari a vedersi una assai esemplare mutazione in tutta quella gioventù. Quindi rimase tolto di mezzo l’abuso invecchiato tra quella di fare alle sassate anco nelle pubbliche e più frequentate vie della città dove, a suon di tromba, radunata la gioventù d’un luogo contro l’altro a bandiera spiegata affrontandosi, combattevano di sassi non solamente di mano, ma con fionda ancora; ciò che serviva a recare danni di considerazione ed inimicarsi una famiglia con l’altra». La costumanza delLe sassaiole fra ragazzi è vecchia come il mondo ed è ricordata – fra gli altri – da S. Agostino nelle sue Confessioni.
P. PIETRO CASANI DICHIARATO BEATO NEL 1995 – Fra i primi padri rammento oltre al P. Pietro Casani (1570-1647), poi provinciale della Liguria e dichiarato beato da Giovanni Paolo II nel 1995; P. Damiano Michelini. Matematico, esperto di idraulica, amico di Galileo Galilei, e P. Francesco Castelli, poi provinciale della Liguria ed assistente generale dell’Ordine.
Il 7 aprile 1623 sbarcò nel porto sabazio P. Giuseppe Calasanzio per visitare le comunità di Savona e di Carcare. A Savona aprì un noviziato, assistè alle funzioni della settimana santa ed il 23 aprile, domenica in albis, vestì i primi novizi: Gio Antonio Caldera dei marchesi di Monesiglio (che rinunciò il feudo ad un fratello minore), Gio Antonio del Carretto dei marchesi di Gorzegno e G.B. Baroni, nobile savonese.
Con l’anno 1629-30 le Scuole Pie passarono nella nuova sede, più ampia, in contrada Chiappinata. Questa volta si potè costruire una chiesa, dedicata a S. Filippo Neri appena canonizzato ed amico del Calasanzio. Qui i Padri insegnarono per quasi tre secoli, fino all’inizio del Novecento, allorché si trasferiranno a Monturbano.
ESPLOSIONE NEL FORTE SAN GIORGIO AL PRIAMAR – Il 7 luglio 1648 successe una tragedia: un fulmine provocò l’esplosione delle polveri conservate nel forte di S. Giorgio al Priamar: 850 persone morirono, 673 rimasero ferite, oltre duecento le case distrutte, fra cui la chiesa e l’edificio delle Scuole Pie. Sei padri perirono, quattro rimasero feriti: da Roma il Fondatore comunicò la notizia della spaventosa sciagura a tutte le comunità dell’Ordine. Il complesso fu ricostruito negli anni 1650-63 sotto la direzione dell’Ing. G.B. Ghiso: la chiesa, sempre dedicata a S. Filippo Neri, era un gioiello dell’arte barocca, sia per la squisita architettura a pianta centrale, sia per le opere artistiche e per gli arredi contenutivi.
Molti padri insegnanti nelle Scuole Pie savonesi furono insigni nella disciplina professata, nel valore scientifico, nel ruolo rivestito nell’Ordine: essi non di rado rappresentavano l’eccellenza della cultura a loro contemporanea, come del resto i religiosi di altri ordini e basti menzionare i gesuiti. Basta aggirarsi in una biblioteca seicentesca e si constaterà chi siano gli autori più rappresentativi in qualsivoglia materia. Purtroppo non è questa la sede adatta per diffonderci, poiché dovremmo addentrarci in settori alquanto specialistici. Sia sufficiente precisare l’elevato livello qualitativo dell’insegnamento nel corso del Seicento.
Nel corso del Settecento tale qualità non venne meno, anzi. Non solo, si aggiunse il collegio-convitto per ospitare allievi provenienti da località lontane ovvero per i quali i genitori intendevano fosse impartita un’educazione particolarmente accurata. La scuola era del tutto gratuita – lo si è accennato – per il convitto era prevista una minervale, com’è ovvio, dovendosi offrire pasti, pernottamento, assistenza continua, pagare servitori, cuoco e via discorrendo. Anche per questo il secolo XVIII risulta per le Scuole Pie un periodo florido compreso l’aspetto economico.
COMUNITA’ CALASANZIANE IN LIGURIA – La Liguria era costellata da comunità calasanziane: dopo Carcare
e Savona era sorte le case di Oneglia, di Albenga, di Final Borgo, di Toirano, di Genova, di Chiavari ed altre ancora di più effimera esistenza. Quasi tutte le comunità disponevano di un consistente patrimonio, grazie al cui reddito era possibile curare la manutenzione dell’edificio scolastico, dell’abitazione dei padri, del loro cibo e dell’abbigliamento, delle spese quotidiane inevitabili. Ai convittori si offriva inoltre nei mesi di settembre e di ottobre una villeggiatura.
Non dispiacerà un appunto a codesto proposito. Gli ordini insegnanti del passato erano in grado di offrire il loro disinteressato servizio scolastico (ovvero nelle altre forme di caritatevole assistenza) grazie al patrimonio posseduto, il cui reddito serviva per l’apostolato a beneficio del prossimo. Chi non se ne rende conto o fa mostra di ignorarlo è ingenuo o in malafede: tertium non datur.
Gli esseri umani non vivono di puro spirito, eccezion fatta per qualche mistica quali Alessandrina Maria da Costa o Teresa Neumann. Allorchè il giurisdizionalismo, l’illuminismo, gli eccidi giacobini e rivoluzionari, le vessazioni e le ruberie del Buonaparte e poi dello stato pseudo-liberale e massonico si impadronirà dei beni degli ordini religiosi, la situazione si capovolse: le scuole nate e conservate fino allora gratuite, furono costrette a chiedere ai genitori degli allievi una minervale.
LE ACCADEMIE – Una caratteristica della pedagogia calasanziana, presente peraltro anche in altri ordini docenti,
era quella delle accademie. La lettura ed il commento di autori latini, le previste composizioni in prosa ed in verso con le pertinenti regole sintattiche, prosodiche, stilistiche postulavano una prova finale in cui l’allievo potesse dimostrare in pubblico quanti aveva appreso durante l’anno e la sua capacità di declamare con enfasi i discorsi accademici, calandosi nello spirito e nei sentimenti popolanti le liriche preparate. Tale cimento, oltre a rappresentare una sfida per le proprie forze, pungolava la competitività degli allievi, sorvegliata e corretta, ove necessario, dal docente, invogliandoli ad applicarsi con un impegno più accurato e convinto.
L’emulazione – osserva un Regolamento di un Conservatorio femminile ligure – «favorisce notevolmente l’attività dell’alunno, per cui egli è stimolato a rendersi conto personalmente dei talenti e doni che Dio gli ha dato e ci cui è responsabile. L’emulazione non ha tanto lo scopo di vincere gli altri, quanto quello di dimostrare il proprio valore, di superare le difficoltà e quindi in un certo senso di vincere se stessi creando profonde individualità. Essa favorisce l’entusiasmo per la cultura e per il lavoro intellettuale e spirituale».[1] Un allievo dei Barnabiti di un collegio ligure[2] sentenziava a codesto proposito: «Sul sentimento della gara e dell’emulazione si destano le naturali energie, le virtù recondite dell’animo, gli entusiasmi di ogni alta impresa».
Né va taciuto un altro tratto di codeste accademie. Non soltanto i discenti, ma anche i docenti manifestavano la loro professionale capacità, il senso drammatico, la dote registica d’amalgamare in un unicum omogeneo ed affiatato la serie di spunti, di voci, di talenti umani diversi e variegati. Al professore di retorica spettava l’incombenza d’imbastire l’evento scegliendo, di conserva col P. Rettore e coi confratelli, il soggetto e poi di commisurarlo alle possibilità espressive e al numero degli studenti, distribuendone le parti, concependo i testi o, almeno, rivendendo i testi composti dagli alunni sotto la propria direzione.
All’evento partecipavano i genitori e le autorità ecclesiastiche e civili dei borghi o delle città in cui si trovava il collegio: l’attenzione dei primi è facile da imaginare, la presenza delle seconde sottintende una particolare solennità, una ricerca del meglio mediante un minuzioso allestimento e forse qualche concessione encomiastica, per intuibili motivi. Avvenimento sociale, insomma.
A Savona le accademie furono celebrate a partire dal primo Settecento e durante questo secolo furono d’indole squisitamente letteraria, per quanto non mancasse qualche tema storico-politico, là dove nel corso del secolo successivo divennero fautrici di romanticismo e di patriottismo.
Nei terribili anni giacobini e napoleonici i padri continuarono l’insegnamento, superando non pochi ostacoli. L’Ottocento segnò un ulteriore evoluzione del servizio scolastico: nella didattica s’introdusse l’insegnamento della lingua italiana, anticipando la legislazione dello stato sabaudo, ed in Savona le scuole elementari – stabilite con regie patenti di Carlo Felice del 23 luglio 1822 – erano condotte dal Padri. Non solo, nel 1830 essi «sensibili alle principali necessità della cittadinanza, dedita per buona parte alle industrie ed ai commerci, assecondarono i desideri di chi chiedeva la creazione di una scuola di avviamento alla vita pratica moderna e, in mancanza di ogni altro organico insegnamento più tecnicamente completo, istituirono una scuola ad indirizzo commerciale per coloro che non frequentando il ginnasio sentivano il bisogno di ampliare il campo delle loro cognizioni tecnico-commerciali per servirsene nelle industrie, nel commercio e sul mare».
IL RISORGIMENTO DI SAVONA – Ma sopra tutto la caratteristica più rilevante del secolo fu che il moto del risorgimento in Savona si deve in gran parte ai Padri delle Scuole Pie. Le accademie di fine anno scolastico, la stampa cittadina più seria e qualificata, le iniziative editoriali formarono professionisti amanti della patria: lo attesta lo stuolo di illustri distribuiti in tutte le professioni, usciti dalle Scuole Pie sabazie. Come per i Padri, così per gli allievi non ne ricordiamo i nomi, per evitare un catalogo e per non fare torto a quelli taciuti. L’Italia si sarebbe unita in maniera armonica e progressiva, se questo movimento non fosse stato inquinato dall’odio contro la Chiesa e dalle conseguenti vessazioni, nemiche della verità e della giustizia. La giustizia senza libertà non esiste. E «la verità è talmente forte in sé stessa, che nessuna confutazione o rifiuto potrà mai sopprimerla» per servirci dell’assioma cristallino di S. Tomaso d’Aquino.
Osserva il compianto P. Damiano Casati (1937-2012), col quale chi scrive ebbe l’onore di sostenere uno o due esami ovviamente nella veste di studentello: «Uscita malconcia dalla tempesta rivoluzionaria e napoleonica, la Provincia ligure dei PP. Scolopi, riprese rapidamente a crescere grazie all’opera indefessa di alcuni religiosi: P. Carosio, P. Buccelli, P. Canata, P. Muraglia, P., Garassini, questi i più rappresentativi. Da Genova il baricentro della provincia si spostò sull’asse Carcare e Savona. Da Carcare P. Carosio ricostruì l’istituto (disastrato dalle armate napoleoniche) e vi formò vari giovani aspiranti alla vita religiosa, tanto che all’accorrere di studenti dalla Liguria, dal Piemonte e dalla Lombardia, fu necessario ampliare l’istituto tra difficoltà economiche enormi».
E ancora: «Questi Padri, rispetto alla precedente generazione, avevano ricevuto una mentalità più aperta; il loro spirito antigesuita, anticonservatore, li aveva preparati a considerare i fermenti risorgimentali e gli aneliti alla libertà non come fenomeni sovversivi da soffocare, ma problemi concreti da risolvere. Questo era il clima che P. Canata respirava nella comunità savonese e nell’ambiente stesso della città, nella quale dopo il 1815, si erano formati movimenti di eterogenee tendenze che avevano tenuti vivi i fermenti politici nel clima repressivo della restaurazione e avevano contribuito a diffondere, specie negli ambienti culturalmente più preparati, nuovi problemi e nuove esigenze. C’erano gruppi aderenti alla massoneria e carboneria, altri erano gruppi d’opinione che diffondevano le nuove idee. Fra questi, il partito napoleonico e quello indipendentista che si ispiravano agli ideali della rivoluzione francese, erano portavoce di nuove istanze e avevano molti aderenti fra il clero, specie con quello di venature portorealiste, ansioso di realizzare l’idea di una democrazia cristiana giacobina che rimandava al Degola e alla sua aspirazione di vedere coniugati i principi della libertà e di eguaglianza con la dottrina cristiana. L’interesse per il movimento d’opinione liberale moderato era abbastanza diffuso e si andava affermando tra gli Scolopi, i quali in particolar modo, si interessavano a quella produzione letteraria, filosofica, storiografica che si rifaceva, in molti scrittori moderati, ad un’ideologia cattolico-liberale».
Il vetusto complesso adiacente al porto, testimone per quasi tre secoli dell’apostolato calasanziano, con la legge soppressiva del 7 luglio 1866 era sottratto all’Ordine e passava al demanio statale e da questo al municipio. Fu sventato un tentativo dell’amministrazione comunale, massonica ed anticlericale, per cacciare i Padri e quando il piano regolatore della città previde la parziale demolizione dell’edificio (quello a settentrione della chiesa, ospitante il convitto e le aule ginnasiali) per prolungare la Via Pietro Giuria, fu deliberata la costruzione di due ampi immobili a Monturbano affiancanti la Villa Corsi, già dei Padri, ma passata al demanio per la legge di cui sopra; quella che oggi accoglie la civica biblioteca.
L’edificio ubicato nel rione portuale, del resto, era divenuto infelice e inadatto per una scuola, sia per la ristrettezza dei locali superstiti al taglio, sia per il traffico onde era circondato, sia per la vicinanza di stabilimenti industriali inquinanti. Il mastodontico complesso a Monturbano, quasi proiezione di Corso Principe Amedeo (nel 1945 ribattezzato Corso Italia), fu inaugurato il 28 novembre 1907: l’ala a sinistra ospitava il convitto, l’ala destra le aule scolastiche.
Il bombardamento dei sedicenti alleati del 30 ottobre 1943 colpì il quartiere del porto, fra cui il complesso scolopico e la chiesa di S. Filippo Neri. I danni da essa subiti peraltro non erano tali da giustificarne la demolizione, ordinata dal genio militare. Tanto i savonesi, quanto la Soprintendenza alle belle arti e la stessa amministrazione municipale piccista (al contrario di quanto, anni or sono, scrissi) si opposero, ma la disgraziata impresa edile incaricata dal genio tolse le travi lignee della copertura, ambite in quegli anni, provocando il veloce degrado e la rovina del sacro edificio, il primo dell’ecumene cattolico ad essere intitolato a S. Filippo. Mi raccontava un muratore che le sacre mura erano durissime, sembravano impastate di marmo… L’immobile scolopico si trovava sull’area del giardinetto Isnardi e su quella occupata dall’insulsa costruzione del mercato coperto.
L’esagerato ed assurdo canone di affitto chiesto dal comune ai Padri per il complesso di Monturbano – richiesta pretestuosa, giacchè lo scopo era di cacciarli – li costrinse a lasciare Savona. Il 25 settembre 1971 fu celebrato per l’estrema volta il santo sacrificio eucaristico nella cappella. Savona ed il circondario furono spogliati di quell’istituto scolastico plurisecolare che ne aveva innalzato la cultura, promossa umanamente, elevata l’educazione, resa più consapevole di se stessa, in una parola resa più civile.
Gian Luigi Bruzzone
[1] Istituto Figlie di Maria SS.ma della Purificazione, Savona, Regolamento, ms 1856.
[2] G. L. Bruzzone, Ricordi della formazione barnabitica nel patriota-poligrafo ligure B.E. Maineri (1831-99) in “Barnabiti studi”, 1992, pp. 267-282.