I casi di Giacomo Boni ai Fori Imperiali e di “Caravaggio e Artemisia” a Palazzo Barberini, a Roma, del Rinascimento a Vicenza, di Piet Mondrian al MUDEC di Milano, in attesa della fotografia di Cartier Bresson.
di Sergio Bevilacqua
Rimane straordinaria la vitalità delle mostre d’arte e la capacità di attirare interesse e fascinazione. Come mai ciò succede? Come mai l’arte porta con sé così grande fascino? Come mai una bella mostra è sempre di più della somma dei singoli oggetti che vengono presentati? Al fine di rendere più chiare le risposte, userò il metodo di valutazione artistica Simbolico/Astratto-Evocativo/Invasivo (SAEI), che ho presentato nel corso della conferenza di agosto 2021 a Cortina d’Ampezzo con Renato Barilli, professore emerito di Estetica dell’Università di Bologna, il vero Presidente dell’Arte italiana, tra i primi a seguire il Gruppo 63 e mio amico da decenni.
Il metodo SAEI è un metodo di valutazione artistica che collega determinati oggetti di catarsi (le opere d’arte) ai modi della catarsi, e supporta anche l’evidenziazione del legame tra autore e fruitore nel processo organica del piacere estetico (Sistema Aperto Semiologico-sociatrico dell’Arte, S.A.S.A.).
La Catarsi è uno stato di suggestione di tipo ipnotico, con effetti di sistema nervoso centrale (ad esempio di tipo concettuale o iconologico) o periferico (emotivi) tali da attuare una distrazione dalla condizione empirica circostante, con concentrazione su uno specifico oggetto percettivo, che si manifesta così come di possibile tipo artistico. La catarsi è condizione soggettiva, ma diventa oggettiva nel suo ripetersi estesamente, soggetto per soggetto, fino a poter divenire emblematica della sensibilità umana. Ha la sua terra d’origine nel teatro, ma credo che oggi sia giunto il tempo di considerarla finalmente criterio di riferimento di tutte le arti, ovviamente mutatis mutandis.
La catarsi è cioè la vera dinamica del piacere estetico: dall’estasi del samadhi induista e buddista al semplice piacere del bello, essa segue la percezione di segni che si presentano come invasivi o evocativi, e che quindi ci distraggono, ci sollevano dal nostro presente. La parola è costituita da due parti: il verbo greco αἴρω, io sollevo da ansie, allevio che costituisce, è la seconda parte della parola, -arsi; invece la prima parte, κατά– sta a significare la tensione verso questa condizione di sospensione dal mio stato psicologico precedente. Se i sensi sono allenati, l’arte oggi si può trovare in ogni segno della realtà se adeguatamente elaborato cioè simbolizzato, perché essa ha trasceso tutti i suoi limiti classici e storici. A differenza della droga, che agisce quasi priva di semiologia, tramite sostanze dall’effetto catartico, l’arte invece veicola contenuti, che sono semiologici e l’instilla dentro di noi da fuori di noi, a volte inconsapevolmente, avvalendosi anche della progressione nella nostra immersione empatica con l’opera. In tal modo, l’arte è perfino in grado di cambiare il nostro modo di pensare e il nostro rapporto con il mondo, producendo esperienze estetiche, logiche e semantiche differenti, che prendono posto dentro di noi in modo anche inconsapevole.
Una grande mostra non fa altro che fare di tante opere d’arte e loro suggestioni una unica opera e suggestione, cogliendo, nella composizione, effetti di senso che non apparirebbero vedendo le singole opere.
Ad esempio, attraversando la grande storia con le sue suggestioni, mi sovviene la bellissima mostra dedicata all’architetto Giacomo Boni (1859-1925) a Roma nell’area dei Fori Imperiali, colui che li ha praticamente portati allo stato in cui li vediamo oggi, da una condizione di abbandono e di perdita di significato. La visita segue un percorso che ci porta attraverso l’intero giacimento archeo-storico, producendoci stranianti effetti di senso rispetto alla superficie stanca della iconografia consueta e dimostra la ricchezza suggestiva, catartica appunto, di questo insieme impressionante, visto con gli occhi di chi lo prese in carico nel 1900 circa, in profondo degrado, lo sposò e convisse con esso fino a dargli nuova vita, per noi tutti, e per l’umanità. Arte certa di composizione di manufatti storci dall’alto valore suggestivo, risemantizzati dall’opera di Boni e oggi dalla nostra esperienza.
La catarsi è potenzialmente pervasiva, e riguarda tutti gli elementi fondamentali dell’estetica: ne è dimostrazione il lavoro di tutti gli attori culturali, dai collezionisti alle istituzioni culturali, dagli artisti ai critici, storici dell’arte, studiosi di estetica e sociologi. Essendo la catarsi fatto individuale, e l’arte fatto condiviso (difficilmente è arte se, ad esempio, “emoziona solo me”…), la importanza della valutazione estetica è in primis di tipo plurale, comunitario, collettivo, umano. In particolare oggi che, con la trivoluzione dell’era GAM (GlobAntropocene Mediatizzato), il sociale/societario è aumentato esponenzialmente sulla moltiplicazione semplice (tre volte in 50 anni) dell’umanità.
Per evocazione di grandezza dello sforzo estetico specifico, ove le mostre possono moltissimo (e non sono assolutamente d’accordo con chi le qualifica un prodotto vetusto…), mi sovviene sempre presso la capitale Roma, di molte cose oltreché d’Italia, la incredibile, per chi sa leggere, cioè agire i vettori del simbolico e dell’astrazione filosofica, mostra di Palazzo Barberini “Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta”. Un viaggio attraverso la scherma che all’epoca faceva risaltare più il padre della Gentileschi, Orazio (per certi aspetti giustamente…), del grande e maledetto Caravaggio. Il girovago e violento lombardo, venne poi ricelebrato dal 1950 in poi, ed è stato oggi quasi raggiunto nella eco mediatica dalla figlia del contendente, Artemisia, importantissima presenza oramai analizzata in profondità ed estensione. Per chi sa guardare le tantissime (diverse decine, di autori vari tra il tardo ‘500 e il ‘700, passando per Caravaggio ovviamente e per padre e figlia Gentileschi) Giuditta e Oloferne presenti nella mostra, c’è anche altra emozione, enorme: ciascuna omicida, ciascuna Giuditta, ha una espressione differente. Cioè: in quanti modi una donna potrebbe uccidere un uomo, quanti differenti sentimenti e strategia evocano tutte queste decapitazioni, tra il furore, l’astuzia, la perversa vendetta, la disperata sopravvivenza, la truce violenza… Il tutto immerso in quell’epoca, nella forse più importante galleria d’arte del mondo per il 1600, appunto la permanente di palazzo Barberini.
Quanti più soggetti cadono presi dalla catarsi, tante più probabilità ci sono di rinvenire gli elementi dell’alta catarsi artistica, cioè lo scioglimento delle barriere anche profonde tra Reale/Simbolico/Immaginario (R/S/I) tramite strumenti semiologici. Lo scioglimento delle barriere tra Reale, Simbolico e Immaginario è tratto caratteristico dell’Arte ma anche del delirio e della follia: questi ultimi però agiscono (pressoché sempre) senza supporti semiologici esterni a destarne degli interiori. La manifattura artistica, la trasformazione di oggetti reali per la loro risemantizzazione, attività sempre simbolica, si avvale dell’immaginario per affrontare il reale (ad esempio il telos di una Mostra) e incidere catarticamente sulla fruizione. In ogni società umana ci si consulta con puntualità sull’entrata di nuovi segni o sulla ridefinizione di vecchi, perché ogni società umana ha una sua estetica e una propria visione dell’arte.
Ad esempio, una mostra interessantissima che va a risemantizzare una intera città, è quella alla Basilica del Palladio di Vicenza sul Rinascimento e i suoi effetti sulla città. Importante la proposta di quello strepitoso contenitore finalmente tornato, dopo lungo e prezioso restauro conservativo, agli onori della grande cultura e della storia della città. E soprattutto il troneggiare nella mostra non solo del divino Palladio, ma anche di Jacopo da Bassano, spesso oscurato dai suoi grandi coevi, e qui apparso in tutta la sua grandezza. Un effetto catartico la qualificazione in termini di valore di ciò che viene mostrato, sia opere pittoriche pregiatissime che oggetti, con l’unità di misura del valore del “maiale”, semplice e intelligente strumento di commisurazione tra ieri e oggi, senza dover passare per ardue valutazioni monetarie diacroniche. Un inciso: se non ci fosse buona comunicazione, oggi, nell’era della mediatizzazione estrema, non ci sarebbe successo possibile, per una ottima catarsi come quella di questa mostra. In questo caso, il merito va anche alla struttura di Giovanna Ambrosano, Marsilio Arte.
Occorre considerare che ogni società umana, dalla più semplice alla più complessa, ha suoi codici per la correlazione tra R/S/I e tali raccordi sono caratteristici della sua cultura. Le società umane tendono poi a raggrupparsi, attraverso l’uso di ulteriori gamme di codici comuni sovraordinati. Ad esempio, i valori di una Costituzione informano, tramite il codice del loro dettato, i valori degli appartenenti a quella società umana caratterizzata dal requisito della cittadinanza, che a sua volta raccoglie, oltre a individui, molte società, persone diciamo “giuridiche” o nemmeno, differenti per natura o per cultura, ma comunque legittime rispetto alle leggi della società.
Pensando ad alcuni fatti storico-societari nel raccordo con l’estetica, cioè con la scienza della catarsi artistica, come vorrei ribattezzarla, sovviene per esempio la dimensione aniconica della civiltà ebraica, superata come prodromo della nemesi giudaica e umana novecentesca con l’Olocausto e la concretizzazione non solo geografica di Israele, l’adesione al fascismo di Sironi e Mascagni, la sottomissione di Šostakovič a Stalin, la persecuzione degli espressionisti tedeschi sotto il nazismo con l’accusa (estetica!) di arte degenerata, il sostegno ad artisti “di regime”, come furono Canova, Rodin, Goldoni, Verdi, i Beatles, Mozart, Jacques-Luis David e Antoine-Jean Gros, Andy Warhol e moltissimi altri. La diffusione dell’opera di questi, con l’uso della comunicazione di società potenti, ha portato alla riconoscibilità dei loro segni artistici e a una sorta di allenamento catartico mirato, tale da indurre nei fruitori procedure privilegiate di esperienza artistica e di vettori legittimi, buoni allo scioglimento delle barriere tra R/S/I, cioè alla generazione di catarsi. Ciò accade a livello societario, cioè sulla base di elementi che sono consapevolmente o inconsapevolmente condivisi da più persone. Scrivo “societario” proprio perché tali elementi sono spesso espressione dello “statuto” societario, patto cioè, ammiccamento o contratto, che le persone siglano decidendo di operare in vario modo insieme (famiglia, società di amici, azienda, ente, bacino socio-geografico, comunicazionale, istituzionale, storico di specie, ecc.).
È di grande evidenza e chiarezza che la strada dell’estetica contemporanea è social-societaria, molto più che semplice sommatoria individuale (psico-sociale) d’effetto personale, come è stata per secoli: per questo le competenze strategiche per la nuova estetica sono sociologiche e non psicologiche o storiche. La rilevanza sociale della comunicazione e l’enorme quantità dei soggetti fruitori e dei loro sovrainsiemi societari trasfigurano l’opera, che non è più di un autore o di un fruitore soltanto, o di una banale loro sommatoria, ma di un sofisticato regime di confluenze semiologiche, che sottopongono la relazione originaria artista-opera-fruitore a una “pioggia semiologica” proveniente da una molteplicità di soggetti differenti (vedi il Sistema Aperto Semiologico-sociatrico dell’Arte, S.A.S.A.), tutti con voce in capitolo non pretestuosa, ma condizionata dalla enorme complessità dell’infosfera in era GAM.
L’estetica contemporanea vede le opere visive viaggiare lungo l’infosfera della matrice web/telefonia (cioè la versione evoluta del www, World Wide Web, nel wwm, World Wide Matrix) a velocità incredibile, con supporti fortemente integrati dal digitale, fino agli NFT. A maggior ragione, si verifica dunque che il disegno e la pittura (manuale) sono sempre simboliche, perché la vera perfezione reale di corrispondenza documentale è quella della cattura della luce e della sua traduzione in pixels, ove la tecnologia ha sostituito nettamente la mano umana. La differenza ormai è che la perfezione riproduttiva, per eccellenza quella ad esempio fotografica, alimenta strati non catartici che sono tecnici, confirmatori della nostra esperienza corrente della realtà, mentre è nella deviazione dall’oggetto percepito che facciamo decollare la catarsi, cioè nell’alterazione della connessione R/S/I.
L’arte passa dunque a rappresentare qui e ora un altro vero, che è quello del simbolico e dell’immaginario, lasciando la documentazione del reale all’uso delle tecniche fotografiche, dall’analogico al digitale e oltre.
Così, gli artisti e i pittori in particolare si scontrano con la contemporaneità del nuovo concorrente, la fotografia. Emblematico il caso di Francesco Hayez, che tenta fino all’ultimo di essere più perfetto della fotografia, e va più forte di lei, non dandole la soddisfazione di superarlo in vita. Ma per tutti alla fine del 1800 è una migrazione dal figurativo ad altro (impressionismo, surrealismo, espressionismo, astratto…). E così, caso bellissimo perché conosciuto solo per il suo ottimo periodo geometrico e astratto secondo alcuni, assurto per la sua emblematicità agli onori di mille e più illustrazioni, Piet Mondrian, in mostra straordinaria al MUDEC di Milano, che consolida la vocazione europea e finalmente non fa rimpiangere, come l’ipermercato di Sampierdarena, il riutilizzo degli enormi contenitori dell’industria Ansaldo.
Ebbene, anche l’algido (sembra!) Mondrian nasce romantico paesaggista, e si produce in accorati tramonti sui mulini a vento e cosucce che davvero fanno innamorare pure per la grande qualità pittorica. E così pur’egli trova la sua via di fuga, stupendamente ribadita dall’abito “Mondrian” indossato all’inaugurazione dalla console olandese a Milano, che teneva alta la bandiera del Paese dei Mulini e anche la collaborazione del Museo d’Arte dell’Aia che conferiva 60 opere del grande olandese in prestito.
La grafia della luce agisce tramite strumenti tecnologici sempre più evoluti, si fa spazio nel mondo della rappresentazione e cristallizza il reale (occupazione di ritratto, paesaggio e natura morta) proponendosi poi anche per i viaggi nell’astratto e nel simbolico con l’arte digitale.
Ma ottiene anche un risultato artistico nuovo, facendo permanere effetti di vita trascorsa non più esistente, dando un senso differente alla memoria e al ricordo. Il ritratto matrimoniale a olio del bisnonno ha ben altra valenza rispetto al servizio fotografico relativo, ma è innegabile che le due immagini, pittorica e fotografica, ci producono due differenti effetti catartici. Catarsi in entrambi i casi.
Entrambi catarsi artistica? Dipende dalla estensività della suggestione. Anche su un soggetto banale come quello, di certo Cartier Bresson (presto godremo una sua mostra al MUDEC di Milano dedicata in particolare alla Cina) ci trasporterebbe in un viaggio profondo di manipolazione del ciclo R/S/I, a differenza di altre rappresentazioni che magari colpiscono, ma senza veicolare (come gli stati psicotropi e la pura cronaca storica) semiologie originali o tratti semiologici aggiuntivi: la collaborazione di Sole 24 Ore continua a generare ottime catarsi al MUDEC, a dimostrazione che la congiunzione pubblico-privato, se ben gestita come nel caso di Milano, è in grado di produrre grande valore per l’umano.
Sergio Bevilacqua