Franca Maria Ferraris, savonese d’elezione, ha insegnato per anni ed ha coltivato l’esercizio scrittorio – per di così – segnalandosi nell’ambiente culturale, e non soltanto ligure, grazie ad una stupefacente bibliografia di sillogi liriche e di volumi di prose, sempre di qualità, sempre decorosi, mai verbosi, ed apprezzate dagli intenditori.
di Gian Luigi Bruzzone
Gentile Franca Maria Ferraris, ci vuole parlare della sua famiglia?
La mia famiglia è composta dai miei due figli Adriana e Giulio e da me, mio marito Loreto Giannetti è mancato nel 2007. Adriana è sposata con Enrico, vive a Genova e ha un figlio Giovanni del quale, pochi mesi fa, abbiamo festeggiato il matrimonio con Marta. La mia famiglia si estende con cugini e cugine tra cui la mia figlioccia Susi che ho tenuto a battesimo.
Un piacevole ricordo della sua infanzia e della sua fanciullezza
Imparai a leggere e a scrivere molto presto, verso i quattro anni, poiché mamma, maestra ma non esercitante, vedeva in me, oltre la figlia, la scolaretta cui ogni giorno dedicava il proprio insegnamento avendo notato la mia tendenza sia a scarabocchiare tentando di scrivere sia a sfogliare libretti di cui osservavo attentamente le immagini per ricostruire mentalmente il racconto che mi era stato letto. Avevo un così forte desiderio di imparare a scrivere e leggere che ne appresi con rapidità i meccanismi e, a sei anni, superato l’esame della prima elementare come privatista, venni ammessa alla seconda.
Ero sempre contenta quando dovevo scrivere i famosi pensierini, perciò mamma mi mise in mano un quadernetto dove ogni giorno avrei dovuto esprimere le mie idee su come mi ero comportata e su cosa avevo imparato a scuola, sui giochi con le mie amichette e su qualcosa che mi aveva colpito osservando il paesaggio circostante. Ritengo che questo esercizio abbia giovato alla mia formazione, anche perché quell’incombenza anziché pesarmi mi coinvolgeva. Nel prosieguo degli anni, rimasi fedele alla scrittura di un diario e continuo ad esserlo tuttora.
Qual è stato il suo corso di studi?
Ho frequentato le scuole elementari a Dego, paese nativo in Val Bormida, le scuole medie a Cairo Montenotte, l’Istituto Magistrale Giuliano Della Rovere a Savona. Conseguito il diploma di maestra, mi iscrissi alla Facoltà di lingue straniere presso il Magistero di Genova, dove frequentai regolarmente i primi tre anni con l’intenzione di laurearmi in lingua inglese. Ero iscritta al quarto anno, per il quale avevo già superato alcuni esami, quando decisi di partecipare a un concorso magistrale bandito per insegnanti in Savona e provincia. Lo vinsi, e subito fui chiamata a insegnare.
A questo punto incontrai la persona che diventò mio marito. Ci sposammo e, uno dietro l’altro, ebbi due figlioletti: Adriana e Giulio. Tra l’insegnamento e il tempo da dedicare ai miei due bimbi, fui costretta a sospendere gli studi presso il Magistero di Genova, con l’intenzione di riprenderli quando i bambini fossero un po’ cresciuti. Ma, dopo alcuni mesi, terminato il congedo per maternità e divenuta titolare di una cattedra, scoprii quanto mi appassionasse l’insegnamento. Così, pur mancando solo due esami, la tesi, e almeno sei mesi di residenza in Inghilterra per conseguire la laurea, abbandonai il Magistero e proseguii convinta la mia carriera di maestra.
Questo lavoro continuò ad appassionarmi molto: osservare i bambini in tutte le loro manifestazioni mi aiutò a scoprire che, essendo essi in fieri “portatori di poesia”, da loro mi sentivo ispirata. I bambini infatti possiedono la poesia nell’anima, la nutrono con l’allegria, con la curiosità per tutto ciò che li circonda e con il desiderio dell’amicizia. Quando ai bambini si parla “con poesia” niente e nessuno può distrarli. L’idea di riunire le mie composizioni poetiche riguardanti i bambini si realizzò nel libro edito da Marco Sabatelli nel 2004 Bambini di neve, una raccolta di poesie intervallate da brevi prose, la cui copertina è firmata dalla scrittrice e pittrice Milena Milani, la prefazione da Emilio Sidoti, il commento critico da Sergio Giuliani e da Marco Pennone.
Quale insegnante ha rappresentato un modello per lei, e le ha fatto vedere oltre la superficie delle cose?
Tra gli insegnanti che maggiormente hanno contribuito alla mia formazione umana e intellettuale, quello che più ha rappresentato per me un Maestro, e un modello da cui trarre esempio, è stato Vitaliano Corallo, il professore di lettere nelle scuole medie. Egli intuì da subito la mia propensione alla scrittura, mettendo in rilievo nei suoi giudizi la precoce maturità di cui ero dotata nel percepire gli eventi attinenti alla Natura con la quale, già dalla prima infanzia, avevo avvertito d’essere in sintonia.
D’altronde, vivendo a contatto con le colline, i prati e i boschi, mi era congeniale immergermi nella loro visione e connettervi i sentimenti del mio animo. Ora il Professor Corallo non c’è più, ma lo ricordo con affetto per quanto m’insegnò e per la fiducia che seppe infondermi nella difficile fase dell’adolescenza. Del Magistero ho ancora impresse nella mente alcune lezioni di lingua inglese del professore Alfredo Obertello, e come fu dispiaciuto quando gli dissi che avrei abbandonato gli studi quasi alla vigilia della laurea. Abbandono che mi spiacque molto dover attuare, ma di cui tuttavia trovai modo di rifarmi più tardi quando, forte dell’esperienza che mi veniva dall’aver studiato questa lingua durante il mio percorso scolastico dalle medie al Magistero, com’era chiamato allora questo istituto universitario, pubblicai nel 2016 per i tipi di Bastogi il libro Tutto il cielo è splendente.
Il testo fornisce la mia traduzione dall’inglese di una sessantina di poesie della poetessa Christina Rossetti (1830-1894), il cui padre, aderente alla Carboneria durante i moti del 1848 a Napoli, era dovuto fuggire riparando a Londra, dove sposava Francesca Polidori, pure lei di origine italiana. Dal matrimonio nacquero tre figli, tra cui, appunto, Christina.
In questo libro di traduzione, con testo inglese a fronte, ho raggruppato le poesie secondo gli argomenti ai quali sono ispirate, e a queste ho dato seguito con la traduzione di quattordici sonetti riuniti sotto il titolo “Monna Innominata”, per i quali Christina si ispirò a Dante. Evidentemente, il padre della Poetessa trasmise alla propria figlia l’amore per la sublime poesia del sommo Poeta di cui egli era studioso cultore.
Tra le pagine del libro, le illustrazioni di Maria Teresa Di Tanna compendiano pittoricamente il contenuto poetico; e così il disegno di copertina, dove alcune argentee betulle le cui fronde, alte a cingere il cielo in un abbraccio, aggiungono luminosità al titolo. Lo stesso dato dalla Rossetti ad una delle sue poesie più belle della silloge. Oltre a Savona e nel circondario, assieme a Maria Teresa Di Tanna, ho presentato il libro in due luoghi prestigiosi: a Vasto in Abbruzzo il 16 luglio 2017 presso la dimora che fu degli avi di Christina, ora Centro di Studi Rossettiani, e ancora, su richiamo dell’Associazione Dante Alighieri di Manchester, presso la biblioteca “Portico Library”, una delle più antiche e suggestive della città, il 18 gennaio 2018, con successo di pubblico e di critica.
La sua passione poetica è sbocciata così …
La passione poetica ha cominciato a crescermi nel periodo delle scuole elementari. Mi piaceva mandare a memoria le filastrocche di cui abbondava il sussidiario e mi divertivo a inventare su quel modello versetti per le mie compagne di scuola. Al riguardo, tempo fa incontrai una mia amica di allora alla quale, conversando, venne in mente una rima con cui avevo risposto alla sua domanda: – Pensi che rimarremo sempre amiche, anche da grandi? – Io, dato uno sguardo ai nostri cappotti, il suo verde e il mio rosso, e alla sciarpetta bianca che ciascuna di noi due portava al collo, risposi prontamente: – Sì, perché tra il rosso e il verde l’amore non si perde! – .
A parte questo infantile gioco di parole, come ho detto, la mia ispiratrice è stata, fin da allora e certamente ancora prima, la Natura: il cielo stellato sopra di noi, che m’incantava guardare quando, usciti per respirare la fresca brezza della sera, mio padre mi additava il Gran Carro dell’Orsa Maggiore e il Piccolo dell’Orsa Minore, la Via Lattea e, poco dopo il tramonto, Venere e il pianeta Giove.
Allo stesso modo, m’incantavano le colline splendenti di neve al pallido sole invernale o magicamente rivestite di tenero verde al risveglio della primavera. E ancora, il fiume che scorre nella valle: la Bormida, com’è chiamata dalle nostre parti. Alla visione di questo paesaggio sono ispirate le poesie contenute nel libro Di Valbormida il cuore, edito da Ibiskos nel 1997 e riedito nel 2002 da Sabatelli. Qui, ogni poesia è testimonianza d’amore per la terra delle mie origini, là “dove regna eternità di selva/ dove regna il mito del fiume”.
Al tempo stesso, ero attratta dal fascino del mare: quando mia madre mi conduceva da piccola, presso i nonni materni a Savona dalla cui costa potevo ammirare l’immensa distesa azzurra che diventa tutt’uno col cielo all’orizzonte, quella visione incantevole mi restava impressa nello sguardo e nel cuore con l’idea della sua infinitezza. Come allora anche oggi, ogni aspetto della natura continua a destare in me meraviglia, stupore per riaffiorare, attraverso l’elaborazione della scrittura, tra le pagine dei miei libri. Riguardo al cielo stellato, devo dire che ho continuato a osservarlo anche attraverso le sollecitazioni di mio marito, appassionato di astronomia. Dopo la sua scomparsa, pubblicai il libro Dedicato al silenzio, Bastogi 2009, tra le cui pagine alle mie poesie si alternano i suoi disegni tracciati a china illustranti i due emisferi Boreale e Astrale con la posizione delle stelle nel variare delle stagioni.
Gli anni della sua professione docente: soddisfazioni e delusioni
Devo dire che, nella mia professione di insegnante, ho avuto classi di alunni con i quali è sempre corsa quell’armonia affettiva che ha dato modo a ciascuno di operare attraverso la formazione di gruppi capaci di attrarre nelle varie attività anche i meno interessati. In vero, l’applicazione ad un progetto di studio strutturato come un gioco, li rendeva più partecipi. Ci sono stati anche momenti difficili con bambini precocemente caricati da problemi esistenziali, ma a quel punto, collaborando con i vari insegnanti di sostegno, si sono approntate le strategie atte a far emergere anche da questi il buono e il bello dell’animo infantile. L’insegnamento, allorché l’operato di chi ne è addetto si dimostri utile a far sì che i bambini crescano in armonia con sé stessi e con gli altri, è una professione molto gratificante.
Quali mutamenti ha notato nelle generazioni di allievi succedentesi negli anni?
All’inizio del mio insegnamento, i bambini, e poi i ragazzini, erano più calmi e composti di quanto non siano oggi, ma meno svegli, meno pronti ad apprendere intuitivamente. Nel periodo seguente, con l’introduzione dei sussidi audiovisivi e le prime esperienze con i computer, le loro menti si sono aperte con maggiore duttilità alla comprensione e, sebbene il loro comportamento più vivace implicasse una certa difficoltà nel mantenere quell’ordine statico ritenuto un tempo prezioso, il loro rendimento scolastico andò via via migliorando. Entrati poi nell’epoca odierna dei così detti Moduli, gli alunni, dovendosi rapportare con un numero allargato di insegnanti diversificati per materie, e quindi imparare a relazionarsi con ciascuno di loro, grazie a questa nuova esperienza, sono diventati più dinamici, più ricettivi, più responsabili.
Se lo desidera ci presenti i suoi libri poetici e quelli in prosa
Di alcuni libri ho già detto, fra questi: Bambini di neve, Di Valbormida il cuore, Dedicato al silenzio, Tutto il cielo è splendente. Degli altri, ecco un breve tracciato: ho esordito con due raccolte poetiche Calycanthus, Sabatelli 1973; Anemos, La Nuova Fortezza, 1987, a queste hanno fatto seguito Elegia per la madre 2002, già edito da Ibiskos nel 1996, è un libro dedicato a mia madre, le poesie che vi sono raccolte mi diedero modo di elaborare il lutto che subii ragazzina per la sua morte precoce. La seconda edizione comprende, oltre la prefazione del critico Cristiano Mazzanti, già presente nella prima, la postfazione dello scrittore Mario Mariani, alcuni giudizi da parte di critici letterari che lo hanno apprezzato. D’amore e di guerra, Ibiskos, 1998, prefato da Giorgio Bàrberi Squarotti, vanta nella seconda edizione, Liguria 2002, la postfazione e una sezione di note esplicative da parte del critico letterario e studioso di Dante Sergio Giuliani. Il contenuto s’impernia sulla seconda guerra mondiale 1939-1945 cui assistetti bambina e che, per i suoi aspetti cruenti mi rimase talmente impressa da essere successivamente rielaborata attraverso le poesie del volumetto. Le Rose di Hebron, Helicon 2000, raccolta poetica evocante la figura paterna, burbera ai miei occhi infantili ma di cui, adulta, scoprii una mitezza prima tenuta nascosta.
Nel 2003 uscì Amor Sacro. Poesie della fede, della speranza, della pace, Nicola Calabria Editore, prefazione di Silvio Ravera, postfazioni di Renata Rusca Zargar e Sergio Giuliani, giudizi critici di Gianfranco Ravasi, Giorgio Bàrberi Squarotti e Renzo Nanni. Un altro libro, questo non solo di poesia ma pure di prosa, è Le parole del mare – Lettere e poesie dalla Liguria, Liguria Editrice 2005, in cui, alle poesie dedicate alla Liguria, dove tuttora vivo e dove nacquero mia madre e i miei avi materni, si alternano le lettere, di cui recita il titolo, rivolte a trenta poeti liguri o che con la Liguria hanno avuto rapporti importanti.
Dagli animali ho tratto ispirazione per il libro Animali in teatro, Bastogi 2011, con prefazione di Milena Milani, illustrazioni e copertina di Michela Savaia. Tra gli animali che vi sono tratteggiati poeticamente, Savaia ne ha scelto undici per raffigurarli con il suo coloratissimo e originalissimo stile pittorico che esalta le caratteristiche di ciascuno. Un epistolario d’amore, Helicon 2002, è ispirato a un’antica fiaba ligure. Si tratta di trenta lettere di due innamorati: Inès, principessa abitante nel castello situato sull’isola di Bergeggi e Acmhèt un condottiero saraceno alla conquista del territorio ligure. Il libro, prefato da Sirio Guerrieri, contiene una nota critica di Sergio Giuliani che recita: “Fabula moderna ricca di flash e di cultura coranica, il libro si legge come un’alleviata e luminosissima storia d’amore, ma anche come dialogo tra culture, e abitudini e fedi diverse, ma non necessariamente non comunicanti”.
Ancora di poesia è il libro dal titolo L’altra Didone, Marco Sabatelli 2007: esso evoca il mito di Didone, ma ribaltato, in quanto, dopo l’abbandono di Enea, Didone non si ucciderà, ma da una terra umida e ombrosa dove il guerriero l’aveva condotta, farà ritorno alla sua terra assolata dove continuerà a vivere fino alla morte, per ritrovarlo infine, amante e amato, nelle “tenebre lucenti”.
Nel 2013, presso le Edizioni Helicon è uscita l’antologia Colori e suoni nelle parole – poesie dalle raccolte 1973-2011, con prefazione di Neuro Bonifazi e, in appendice, una raffinata analisi critica di sette poesie, tratte da raccolte diverse, ad opera di Sergio Giuliani. Sotto il titolo di ogni raccolta edita fino al 2011, sono riportate le varie recensioni stilate da importanti critici letterari.
Un’altra mia silloge poetica è La grazia dei riflessi, Marco Sabatelli 2014, incisioni di Cristina Sosio, prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti, introduzione di Sergio Giuliani. Il libro consta di due sezioni: La visione del tempo, comprende versi dedicati a Cesare Pavese; la seconda: La dimensione dell’ombra, comprende versi dedicati a Camillo Sbarbaro. I riflessi sono le poesie che mi sono state ispirate dalla lettura delle loro opere. La grazia è il dono di cui, attraverso le loro opere, mi hanno gratificato. Pavese, piemontese, appartiene alla terra dei miei padri, Sbarbaro, ligure, appartiene alla terra dei miei avi materni. L’appartenenza di ciascun poeta a una terra a me cara, chiarisce la mia preferenza per questi due grandi poeti.
Concludo segnalando il romanzo fantasy Aquilius e la stirpe del Drago, De Ferrari 2011: romanzo per ragazzi ispiratomi da alcuni personaggi inventati e dipinti da Cristina Sosio, responsabile del progetto grafico, della copertina, e delle illustrazioni, stimolante impatto visivo, dell’intero racconto fiabesco.
Come definisce la poesia?
La poesia è, in primo luogo, una necessità dell’anima. Condivido pienamente la definizione della poesia data dal poeta Mario Luzi: “conoscenza con ardore”, cioè conoscenza delle parole e capacità di riflettere sulle stesse per esprimere nei versi quelle esperienze che coinvolgono così emotivamente da ispirare un linguaggio dove la parola “poetica” sia resa con “ardente distacco”. E questo affinché l’io del poeta possa ritrovarsi nell’io del lettore. Ars poetica dunque, ma anche tecnica che si conquista con l’energia creativa e con la passione. Mi piace ricordare come Joseph Brodsky, premio Nobel per la letteratura 1987, si espresse a riguardo della poesia: “Se la parola è ciò che distingue la specie umana dalle altre, la poesia è l’operazione linguistica per eccellenza, è la nostra meta antropologica e, di fatto, genetica”.
Quale l’impatto della poesia e quale la sua funzione nel mondo contemporaneo, sempre più involgarito, presuntuoso e vacuo?
Purtroppo, nel nostro tempo la poesia rischia di affogare nella marea di chiacchiere di chat, di sms. È la parola poetica a restituire forza e bellezza al nostro dire. Ed è il giusto significato che il poeta assegna ad ogni parola a renderla essenziale per quel determinato testo, tale cioè da non poter essere sostituita affinché, unendosi sinergicamente ad altre, pronunciate o scritte con la stessa essenzialità, si crei un linguaggio il cui ascolto – o la cui lettura – sveli una verità piena, dolce o amara che sia. Questo è il lavoro proposto in assoluto dai grandi poeti nelle loro opere, ma è anche il lavoro che ciascuno di noi può fare purché dia ad ogni parola un peso e un senso nel significato che assume in quel determinato contesto. D’altronde in greco, con il medesimo termine lògos è indicata sia la parola sia la ragione.
Incontri memorabili …
Era un giorno d’estate attorno agli anni Sessanta del Novecento. Ero a Spotorno, ospite di un’amica, e camminavamo per la via interna della cittadina rivierasca quando, oltre la vetrata di un caffè, scorgiamo un signore seduto al tavolino intento a scrivere parole sopra un foglio. Ci soffermiamo un istante, ed ecco un’anziana signora che passando sbircia all’interno del vetro, si ferma e volgendosi a noi chiede: “Sapete chi è quel signore?” e al cenno del nostro no esclama: “È Sbarbaro, il poeta!”. D’impeto avrei voluto varcare quella soglia, ma così giovane timida com’ero, a quella spinta istintiva non osai ubbidire. È rimasto nell’animo il rimpianto di non essere entrata, di non avergli stretto la mano, come si fa con chi si condivide una passione. La poesia – già allora lo pensavo – è un magico fuoco, è l’Iperione, dotato della sacra scintilla per accenderlo. Ancora vedo la luce di quel giorno, accesa da un sorriso venato d’ironia e di stupore. Ancora porto nel cuore quel sorriso con la stessa emozione con cui mi volsi a lui, timida ed ammirata.
“Non ho pensato mai che si sia nati per caso/ che la vita per gli uomini/ le piante gli animali/ sia come nube o nebbia…”. Mi hanno colpito questi suo versi: me li spiega, di grazia?
Si tratta di una poesia ne La grazia dei riflessi (pag. 90). Rispondo parafrasando il seguito di questa stessa poesia: tutto al mondo è destinato a dissolversi, eppure non sarà mai come non fossimo mai stati. In natura nulla si crea e nulla si distrugge: tutto svanisce sì, ma tutto lascia una traccia: forse come soffio nel respiro del vento, forse come albero nutrito dalla terra, forse come acqua dove un dì ci specchiammo, forse come fuoco nel cuore di chi ci ha amato. Neppure le parole svaniscono: possono mutarsi in pietre o diventare piume, in ogni caso, pronunciate o scritte, restano impresse per denunciare un fatto o volano nel vento per essere afferrate da chi ama ascoltarne il soffio. Così sono le parole dei Profeti: dissetano come l’acqua del pozzo di Samaria che sa donare la vera vita, o ardono nelle lampade poggiate sulle finestre scure della notte per illuminare ai viandanti dispersi nel buio la via della salvezza.
La mia Savona…
Spero non le spiaccia se rispondo con la lirica: Albatri a Savona, tratta da Le parole del mare: “In principio erano i gabbiani, / il capo nero della muta, / il corpo affusolato, le ali immobili nelle correnti d’aria/ l’ombra riflessa sullo specchio del mare/ come guardiani eletti a tutelare il porto. / Ora i fratelli albatri/ più grandi ed argentati/ lo sguardo preciso dei predaci/ dall’oppidum del Priamar pietroso/ planano in picchiata alla Torre del Lario,/ si librano al Campanile del Brandale, / ai merli della Quarda, / a ciò che resta oltre il muro del tempo./ Più a destra sulla darsena,/ simili a omuncoli bardati di piume,/ passeggiano severi in mezzo al trambusto delle navi/ che ammarate o in partenza dal pontile/ lanciano lunghi suoni/ alla vista dalla Torre Pancalda/ là dove incisa e benedetta dall’onda la preghiera/ chiede a Maria Stella del mare/ la salvezza da improvvisa tempesta./ Qui il vento della sera/ imbarca i sogni verso coste lontane/, immaginari regni di bellezza./ Da una nave crociera,/ Ulisse scende di ritorno dal viaggio, /saluta Itaca e respira felice l’aria invasa/ dal profumo di ombrose magnolie, / mentre la terra che lo accoglie dice:/ è qui la casa!”.
La cultura nel ponente ligure.
La Liguria è sempre stata terra di cultura, patria di poeti e scrittori. Penso a Gabriello Chiabrera, a Camillo Sbarbaro che, pur nato a Santa Margherita Ligure, visse lungamente a Spotorno scrivendo poesie che amo molto e da cui ho tratto ispirazione. La sua opera intitolata Trucioli è evocata pure nel titolo di questa testata, e di ciò mi complimento con la Redazione. Penso a Giovanni Boine di Finale, ad Angelo Silvio Novaro nell’imperiese, ad Angelo Barile, e a Enrico Bonino ad Albissola. E poi a coloro che, pur originari di altre regioni, vennero nel ponente ligure e vi soggiornarono lungamente come Vincenzo Cardarelli e, più in collina ma non distante dalla costa, in Altare, Aldo Capasso e l’amata moglie, la bella rosa nera giunta fin qui dalle Antille, sua patria dov’è considerata poeta nazionale, Florette Morand.
Tra gli scrittori, il pensiero va a Italo Calvino e a Francesco Biamonti. Anche alcuni grandi poeti stranieri ospitò il Ponente ligure per la sua bellezza naturistica, tra questi David Herbert Lawrence, che attratto da questa terra rocciosa, selvaggia e bellissima, vi si trasferì abitando una Villa sulle alture di Spotorno. Non nomino gli emergenti per evitare omissioni. Importante centro di cultura a Savona fu “Villa Cambiaso”, antica dimora nobiliare di cui il compianto Pio Vintera è stato animatore istituendovi un centro culturale per la musica, la pittura e la poesia.
Nel periodo ante pandemia, vi si sono svolti concerti, mostre espositive e presentazioni di libri. La scomparsa di Pio Vintera nel 2020, ha segnato una battuta d’arresto Ora, con la riapertura al pubblico dei luoghi di cultura, anche in questa famosa Villa, di cui gli Eredi del grande Pio Vintera, con generosità e amore per la cultura, hanno riaperto i battenti, si è riattivato l’approccio culturale.
Fra Val Bormida e Riviera…
Il mio percorso sia esistenziale, sia letterario si è svolto e si svolge tra la Val Bormida e la Riviera: terre in cui, pur appartenendo alla stessa regione, prevalgono colori diversi: il verde domina nelle colline valbormidesi, mentre in Riviera è dominante l’azzurro del mare. Sono attratta da questi due colori e mi sento in totale sintonia con le molteplici variazioni di entrambi: con il grigiore delle nebbie autunnali stagnanti sul fiume così come con la luminosità del mare, con il candore della neve come con l’azzurrità marina, con la verde ombrosità dei boschi come con le faville lucenti che i raggi del sole accendono sul mare. Osservando la natura tutta, in particolare quella delle mie due terre, sento sgorgare la parola lirica. Ed è al contempo l’eco di siffatte parole a farmi percepire come parte integrante della natura e a consentirmi di oltrepassare il limite tra finitezza e infinità.
Un progetto accarezzato…
Da anni, conservo nel cassetto un buon numero di pagine scritte, alle quali tuttavia ne mancano ancora altre per concludere un romanzo. Questo progetto mi attrae poiché la prosa mi piace, ma è la poesia a reclamare continuamente la mia attenzione, è il linguaggio poetico a coinvolgermi e perciò ad aggiudicarsi tutto il mio tempo. Chissà se un giorno riuscirò a portare a termine quello che chiamo il mio romanzo…
Che cosa è la felicità?
La felicità è guardare un tramonto sul mare, camminare su un sentiero tra i prati, guardare il sorriso di bambino, ascoltare una canzone che ti piace o una musica che ami, stare accanto a una persona cara. E poi, credo di averlo già lasciato intendere da alcune mie risposte: per me la felicità è scrivere poesie, ma anche leggere e leggere quanto più posso e quanto più mi è dato spaziare in ogni branca della letteratura, poesia in primis. Felicità è guardare quadri che mi piacciono. Amo molto la pittura: se non avessi scritto, avrei dipinto. Infatti, c’è stato un periodo nella mia vita in cui ho sottratto tempo alla scrittura per dipingere oli su tela. Allora la felicità per me era anche dipingere fiori. Ora quei quadri stanno appesi alle pareti di casa mia e devo dire che guardarli mi dà gioia. È un po’ come mi trovassi in un giardino… coltivato con colori e pennelli.
Oggi…
Il periodo che stiamo attraversando, con la pandemia del coronavirus è tremendo. Seguo le fasi di questa malattia che incute terrore, ascolto i pareri degli scienziati che danno consigli su come combatterla. Mi sento afflitta e confusa, come se accanto a me sentissi sfiatare un mostro in agguato. Cerco salvezza affidandomi alla lettura e alla scrittura, ma il turbamento, provato spesso in questo periodo, m’impedisce di esprimermi e di vivere con la necessaria serenità.
Domani…
La speranza, dicono, è l’ultima dea. Speriamo sia per noi tutti una dea benefica. Una dea che ci liberi finalmente da questo terribile virus e dalle sue possibili mutazioni.
Sul far della sera…
È l’ora più bella, quella della sera, la giornata volge al termine, la fatica del lavoro svolto si fa sentire, ma giungerà il sonno a infondere nuova forza. E se Morfeo tardasse? Allora, potremmo dedicarci alla lettura di un buon libro, oppure, se il cielo è stellato e non fa troppo freddo, aprire la finestra e guardare il cielo: le stelle aiutano a sognare ad occhi aperti e a placare l’ansia che durante il giorno talvolta ci coglie per il timore di non riuscire a portare a termine un lavoro che ci sta a cuore. Tuttavia, è in ogni caso confortevole evocare le parole di Dante pensando la sera come “l’ora che volge il desio/ ai naviganti e intenerisce il core…”. Nei versi del sommo Poeta si trova sempre la risposta più profonda e significativa, anche a riguardo dell’ora serale quando in cielo appare Venere, l’astro che brilla per primo annunciando il crepuscolo la cui luce soave inonda il cuore di tenerezza.
Gentilissima, grazie per aver accolto le mie domande. Auguro a Lei, ai suoi figli, in particolare Giulio, ed alla sua famiglia ore sempre serene. Viva noi!
Gian Luigi Bruzzone