Dal 21 dicembre, ovvero il giorno del solstizio d’inverno, le giornate hanno ripreso ad allungarsi, ma che cosa si faceva nelle giornate d’inverno nelle nostre campagne ?
di Alesben B.
L’allungamento delle giornate, però, non è un processo immediato. Per vari giorni intorno al giorno del solstizio, la durata delle ore diurne continuerà ad essere più o meno la stessa; ma se andiamo verso il Sud, tanto maggiore è la durata del giorno.
Di quanto si allungano le giornate ogni giorno? Dopo un mese, ovvero il 21 gennaio 2022 dal sorgere del Sole al suo tramonto passeranno 9 ore e 30 minuti, ovvero tre quarti d’ora in più di luce.
Alla fine del mese, proprio il 31 gennaio, sarà stata guadagnata un’intera ora e dal momento in cui il Sole supererà l’orizzonte al momento in cui scomparirà di nuovo trascorreranno 9 ore e 45 minuti. In realtà le ore di luce sono circa una in più, perché dall’inizio dell’alba fino al sorgere del Sole trascorre più o meno mezz’ora e lo stesso avviene dal tramonto alla fine del crepuscolo serale.
Ci sono, però, due momenti all’anno in cui giorno e notte hanno la stessa durata: l’equinozio di primavera e quello d’autunno. Non a caso, la parola “equinozio” deriva dal latino “ equi-noctis ” e significa “notte uguale”. Infatti, in quei giorni il giorno e la notte durano 12 ore l’uno.In astronomia si definiscono equinozi i due istanti nel corso dell’anno in cui il Sole si trova perpendicolare alla linea dell’equatore, ossia proprio sopra di essa. Con l’avvicinarsi della primavera le giornate si allungano e aumentano le ore di luce. Una sferzata di energia nuova, che produce effetti benefici sul corpo e sulla mente. Da sfruttare a proprio vantaggio per ottenere il massimo anche per coloro che si dedicano agli allenamenti. [trekking e bici]
“Par santa Lùsia na punta ad gucia, par Nadal an pe ‘d gal, para Pasquetta n’oretta, par sant’Antoni n’ora bona, par san Gioàn na gamba ‘d scan” scandendo così in modo popolare il procedere del percorso di luce giornaliero [per santa Lucia una punta d’ago, per Natale un piede di gallo, per Pasquetta un’oretta, per S.Antonio un’ora buona, per San Giovanni una gamba ‘d scan]. La Pifania tϋte le feste la para via. [l’Epifania tutte le feste porta via]
Sant’Antoni da genàr S’al cata ‘l giàs, al la desfa, s’an la cata, al la fa. [Sant’Antonio Abate, 17 gennaio]. San Fabian e Sebastian al vegn via co la viöla in man. [20 gennaio]. Per sant’Agnes cór la lϋšèrta par la séf. (21 gennaio). Ad calendre e ‘d scalendre n’am n’incϋr, Se ‘l dì ‘d san Pàol l’è ciar e scϋr. (25 gennaio)
È una delle tante filastrocche che nei tempi dove non cera ne radio ne televisione, certi contadini ripetevano ai figli e nipoti, perché ciò era essenziale per la conduzione della campagna e dei suoi prodotti; sbagliare una semina o una aratura fuori luogo significava perdere il raccolto primaverile-estivo e con esso un mancato guadagno. Dunque queste nascono dalla genialità contadina e fanno parte del patrimonio linguistico di un popolo; costituiscono l’ eco di lontani trovatori, menestrelli e saltimbanchi che sostavano in varie zone, di storie narrate, a sera , nelle stalle. E si nelle stalle, perché li si faceva “filos”, si contavano i fatti della giornata, si giocava a carte [gli uomini], ci si scaldava e si beveva qualche bicchiere di buon vino. Questi racconti hanno dato l’ispirazione per cantate e giochi, per la gioia di una fanciullezza povera. Le filastrocche hanno un ritmo cadenzato, ripetitivo, e non sempre hanno un senso logico.
Le filastrocche erano [e sono ancora] usate non solo per giocare: è un modo divertente ed intelligente per socializzare e imparare. Proprio perché nate in un periodo in cui dominava la civiltà contadina, in esse sono spesso presenti gli animali (la lumaca, la gallina,…), gli arnesi usati dal contadino e dagli artigiani, il cibo semplice e il paese in tutte le sue caratteristiche ( chiesa, campanile, sentieri,…). Quando i bambini crescevano e diventavano giovanotti, si divertivano in modo semplice. Nei giorni di festa, spesso si riunivano nella piazza del paese o sull’aia di qualche cascina; c’era sempre qualcuno che suonava la fisarmonica, e poi si cantava in coro e si danzava. Assai nota, nel Monferrato, era la Monferrina, una danza che esprime l’allegria e la gioia dello stare insieme.
La Monfrin-a
O cià cià Maria Catlina
Dummie dummie na siassià.
Oh sì sì ch’ji la daria
L’ai lassà l’siass a cà.
Ris e coi e tajarin,
guarda un po’ cum balo bin,
balo mei le paisanote
che le tote de Turin.
O bundì bundì bundì
‘ncura na volta n’cura na volta.
O bundì bundì bundì
‘ncura na volta e peui papì:
’ncura na volta sota la porta,
‘ncura na vira sota la riva.
O bundì bundì bundì
‘ncura na volta e peui papì.
Cosa’t fas Maria Catlina
Lì setà sul taburet,
da na man la vetalina
e da l’autra ‘l fassulet.
Piè ‘na gioia che vi pias,
dei ‘na man, tirela an bras.
La curenta [danza tipica delle valli alpine] l’è pi bela
E poi trallarillalà.
RITORNELLO
Per dansè la Munferina
L’è rivais n’ufizial,
l’à ciapà Maria Catlina
l’à portala ‘nmes al bal.
Fate in là ti paisan
Passo mi col guard’enfant;
fame mach un bel inchin
e ti fasso un bel basin.
Quando poi il lavoro l’industriale ha soppresso parzialmente il lavoro di la campagna, i “detti” sono rimasti nella tradizione odierna e scandiscono, in alcuni casi, la vita giornaliera di ciascun uomo. Vediamo ora i proverbi più alla mano che ricordiamo nel mese di febbraio: A la Madona Seriöla (2 febbraio) dl’invèran a sem föra; tra piövr e fiocar agh n’è quaranta da pasar. Per la candelora quaranta dì dal inveren som föra. Per sant’Agata (5 febbraio) la tera arfiada e l’ortlan semna la salata. Par san Matia (24 febbraio) la nef la va via.
Alesben B.