La magica Relazione fra illustrazione e mondi individuali e sociali: Igor Belansky e Sociatria. Alla scoperta della prospettiva di ricerca espressiva del noto illustratore genovese.
di Antonio Rossello
Negli ultimi anni Belansky ha preso parte a vari progetti collettivi, che rappresentano un interessante contaminazione tra illustrazione e realtà, fino a diventare uno degli esponenti delle Arti Visive che condividono l’affermazione di un concetto, la «Sociatria» (ossia «la cura della società»), attraverso il quale l’Arte può generare una via di verità, alimentando la mente, rieducare o, quantomeno, scongiurare la crescente e pericolosa carenza di pensiero, oltre che tendere ad avvicinare la persona alla virtù, sino a ritrovare in senso un più ampio un rispetto dell’umanità.
«In principio è la Relazione». In un mio articolo pubblicato la scorsa settimana, l’illustratore, ben noto ai nostri lettori, Igor Belansky viene menzionato a pieno titolo fra gli artisti italiani che hanno stabilito una connessione interculturale con le concezioni di José Luis Zamora, il fondatore dell’Escuela Argentina de Sociatría.
Nell’ambito della più ampia dialettica tra Relazione e arte, vogliamo qui andare oltre la preliminare constatazione che l’opera d’arte, di per sé, crea una relazione con chi la guarda. Una relazione certamente spendibile nel formare, tassello dopo tassello, la cognizione dell’osservatore, che può assumere un valore particolare nel caso del genere «disegno illustrato», grazie alla specifica prospettiva ontologica dell’illustratore, la quale è tesa a dare una forma «realmente essenziale o determinante» alle figure, in rapporto con lo spazio che occupano in un contesto ed oltre lo stesso, raggiungendo la riduzione eidetica, aborrendo la pareidolia. Il simbolo è dunque, un sovrappiù di significato rispetto al senso comune. … Il segno non si identifica con il simbolo.
Sul terreno della percezione, un bravo illustratore coglie la Relazione tra fenomeno e noumeno: la parte più dura di tutto ciò è riuscire attraverso l’illustrazione a rendere un momento o una situazione, così come lo farebbe un quadro impressionista, diversamente dal fumetto che racconta per sequenze di immagini, con funzioni comunicative ben diverse.
Purtroppo, si tratta di una forma di creatività talora ritenuta di minor rango, quasi fosse una banalità, qualcosa alla portata di tutti «ma si…è solo un disegno!» oppure «ma si, con il computer si riesce a fare in un attimo!».
La smentita a tanto superficiali opinioni dunque viene da Belansky, che sembra avere avuto sin dall’infanzia una fantasia piuttosto viva, per il quale disegnare è sempre stata una passione; per lui il disegno ha rappresentato il modo primordiale di dare forma alle idee, ancora prima di decidere di frequentare il liceo artistico, una scelta forte e originale, basata sulla voglia di imparare l’arte in tutte le sue forme.
Amante del segno pulito, del chiaroscuro, con sparute deroghe ai colori primari, puri, molto semplici, cioè al «poco pastello», gli piace l’illustrazione che dia un impatto visivo enigmatico o inquietante. Predilige il gesto centellinato, il tratto della manualità quando rasenta, ma non coglie, la perfezione, perché sembra stigmatizzare il preesistente modello, apparentemente caricaturizzandolo.
Ma l’esito talvolta restituisce richiami ad un surrealismo essenziale, in grado di coinvolgere e stimolare le emozioni dello spettatore e unire la realtà a quella del sogno. Per semplificare, bisogna sapere esattamente cosa togliere, che è la parte più difficile del processo: la stessa cosa fa uno scultore che deve far uscire la scultura da un blocco di marmo. Spesso capita che questi suoi caratteri vengano considerati virtuosismi, come uno stile crepuscolare o grottesco che trasmette dissonanze, per una questione di abitudine ritenute più facilmente considerabili provocazioni. Cioè, non come nelle sue intenzioni, thauma, angosciante stupore, tensione dialettica tra fascino e turbamento nella destabilizzante indeterminatezza delle cose, che spiana la strada alla domanda più che a delle risposte, come quando si sprofonda negli oscuri meandri che conducono fino alle più ignote regioni dell’inconscio.
Quando lavora su un’illustrazione. Belansky sa dove vuole arrivare, ma non sa come ci arriverà. Analizza la sua idea attraverso serie di bozzetti e non uno soltanto: si ferma solo quando sente che mettendosi in relazione con l’idea, essa è stata sufficientemente esplorata oppure si vanifica. Non a caso, nella sua grafica la relazione tra i colori nero e bianco è la stessa che c’è fra note e silenzi nella musica. Eros sopravvive o soccombe dinanzi a Thanatos?
Le sue illustrazioni ci mettono in relazione con la realtà esistenziale? Gli piace creare dei crossover, delle sovrapposizioni, dei dialoghi. Esplorare la soglia fra mondi individuali e sociali.
Ed ecco la scaturigine della sua considerazione verso la Sociatria, in quanto realtà supplementare, il locus, il crogiuolo dove l’Io diviene, si rigenera continuamente o, per meglio dire con Lacan, «come un luogo, il luogo» – che è l’Altro – «in cui la parola si costituisce», laddove volontà espressiva trasforma il segno grafico in linguaggio. Nel prossimo articolo scenderemo più nel dettaglio, analizzando quali siano le implicazioni che ne derivano. «In principio è la Relazione».
Antonio Rossello