In un interessante articolo sul Corriere della Sera del 28 agosto, Ernesto Galli della Loggia propone un ragionamento su come e perché fare la guerra oggi. È ancora tempo di guerre? Se si fanno guerre valoriali, quale armata occorre mettere in campo? È serio fare guerre per la democrazia? Non sembra quasi una contraddizione in termini?
di Sergio Bevilacqua
Le considerazioni di Della Loggia sull’importanza del contributo bellico dato da strutture private, ove i combattenti possono guadagnare non gloria e onore ma ben 1000 dollari al giorno, e, suppone lui, i correlati esiti della guerra in Afghanistan, indubbiamente comportano un serio esame di coscienza civile e bellico.
Il primo punto che mi sovviene è che oggi la vita è diversa, mentre la morte è la stessa: abbiamo il senso della vita del pianeta, la vita di ogni individuo della specie umana, la vita degli animali, la vita dei vegetali, la aspettativa di vita, la qualità della vita tramite il welfare e i servizi, e potrei continuare a lungo… E la morte? Sembra essere sempre quella, per chi crede che finisca qua, per chi crede nell’aldilà, per chi crede nella memoria, per chi immagina la putrefazione del corpo, per chi pensa di lasciare i figli gli amici i parenti: tutto come prima, lo stesso terrore degli stermini, delle armi di distruzione di massa, dell’atomica che rade al suolo… Il confine tra civile e militare si è infranto nel XX secolo, secolo in cui le guerre hanno iniziato a toccare gravissimamente le popolazioni civili.
Ma se le guerre toccano i civili, perché i civili non possono toccare le guerre? La rivoluzione industriale ha cambiato la guerra, la guerra si combatte prima di tutto nelle fabbriche ove si producono armamenti vari, dove il nemico manco lo vedi: prima no, c’erano gli arsenali e, pressoché neutrali, i commercianti di armi che li riempivano e non stavano quasi mai con l’uno o con l’altro, ma lavoravano per l’uno e l’altro dei contendenti.
Ecco perché la Prima Guerra mondiale, e la Seconda Guerra mondiale soprattutto, hanno terrorizzato i civili uomini e donne fino a renderli combattenti a casa, pronti a immolarsi sotto bombardamenti sempre più disastrosi…
Prima le guerre si facevano per appropriarsi di patrimoni (e… matrimoni), poi si son fatte per lo stesso motivo ma anche per distruggere in modo da poi ricostruire.
E qui scatta un altro pensiero, molto importante per evitare le ingenuità degli economistucoli in mimetica e dei pizzicagnoli dell’industria: distruggere per ricostruire era un buon business (da disgraziati, beninteso, ma comprensibile in senso di volgarissimo tornaconto materiale) quando la crescita era possibile e programmabile, perché c’era ancora molto da esprimere e da competere.
Nell’era della Globalizzazione fusa con l’Antropocene c’è molto poco più da competere: i concorrenti nei settori mondializzati sono rimasti pochissimi e distruggere “per loro” significherebbe distruggere “loro”, col risultato di perdere seccamente valore e non di creare quel rimbalzo che lo aumenta, con le ricostruzioni.
Ben più efficiente una pandemia, che non tocca le cose, è!
Allora che fare, cara Europa? Far finta di nulla, perché tanta gente ha ancora in mente la commisurazione bellica ormai superata da altre forme di commisurazione, e preparare marina aviazione carrarmati nucleari scarponi e leva militare di nuovo, perché se si va coi mercenari a portare la democrazia non funziona? Intanto che gli americani usano satelliti perfetti e droni killer, accettando di fare la figura di chi perde per poi invece dominare con l’occhio torvo, ma lucidissimo e implacabile del Grande Fratello Militare Ipertecnologico?
Ah, dimenticavo: non siamo solo nel Globantropocene, ma il Globantropocene è anche mediatizzato alla grande. Se non stai attento ti fan credere quello che vogliono, e così a 7 miliardi di umani.
Però con l’intelligenza, la cultura e l’equilibrio si può ancora (speriamo per molto…) capire cosa succede e fare il meglio: cioè sotterrare l’ascia di guerra (mercenaria o gloriosa) e agire con serietà per il valore dell’umanità, che è sempre stato creare e non distruggere. E, in Afghanistan e verso il principale problema mondiale, l’Islam, anziché accettare confronti sanguinari, stillicidi e menzogne, ricercare un nuovo Profeta, magari una Profetessa, che si metta ancora una volta in contatto diretto con Allah per farsi dettare nuovamente almeno la Quarta Sura del Corano, quella “delle Donne”, per correggerla come Allah sa sicuramente, e renderle libere.
Perché le donne ci piacciono e ne abbiamo molto, molto bisogno. Danno la vita, non la guerra.
Sergio Bevilacqua