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Liguria e Basso Piemonte

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Jakov, il figlio di Stalin partigiano in Italia
Un libro con lettere, fotografie, interviste
Una vicenda che ha dell’incredibile


Jakov, il figlio di Stalin partigiano in Italia. Una storia vera, ricostruzione accurata e documentata da materiale inedito: lettere,  fotografie, interviste autentiche della vita del figlio maggiore di Stalin. La discendenza di Stalin in Italia. Una vicenda che ha dell’incredibile. Tra le colline di Tarzo e Vittorio Veneto ( Treviso), ove si trovava una lapide, in quel punto, assieme ad un partigiano italiano, era rimasto ucciso un soldato russo che si diceva imparentato con Stalin. Lo chiamavano il capitano Monti, partigiano sovietico, al quale tolsero le calze e le scarpe. Un personaggio avvolto nel mistero che, secondo molte testimonianze, sarebbe stato, in realtà, Jakov Josifovic Džugašvili, figlio primogenito di Josif Stalin e della sua prima moglie Ekaterina “Kato” Svanidze. Figlio che, dunque, non sarebbe mai morto in Germania, come invece a suo tempo fece sapere la stampa, ma fuggito dalla prigionia nazista. 

INTRODUZIONE – Questa ricerca ci proietta in un periodo buio dello scorso secolo, in un periodo in cui l’Italia era ancora alleata alla Germania e durante il quale, a partire dal 1943, essa si ricompone sotto la Repubblica Sociale Italiana: con il suo nuovo esercito imporrà forzatamente la sovranità nel Centro e nel Settentrione. Alla luce di ciò insorge più forte che mai la Resistenza partigiana, antifascista e antitedesca, che trae le sue origini da quell’insieme di movimenti politici e militari che appaiono nel nostro Paese dopo l’Armistizio di Cassibile, atto con il quale il Regno d’Italia cessò le ostilità verso gli Alleati, atto che diede inizio, di fatto, al fenomeno resistenziale italiano contro il nazifascismo. Fu un’opposizione al nazifascismo combattuta su tutti i fronti, che crebbe nell’ambito della guerra di Liberazione italiana, processo storico dal quale, è bene ricordare, trae origine la nostra stessa Repubblica; infatti, l’Assemblea Costituente fu in massima parte composta da esponenti dei partiti che avevano dato vita al CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale, i quali scrissero la Costituzione fondandone le basi sulla sintesi tra le rispettive tradizioni politiche ed ispirandola ai principi di democrazia e di antifascismo.

Dai resoconti storici riportati da Pier Arrigo Carnier nel suo volume L’Armata cosacca in Italia sappiamo che: “Al 30 aprile 1944, alcune fonti hanno calcolato che le forze della Resistenza ammontassero ormai a 20.000-25.000, considerando anche i GAP, i SAP e gli ausiliari, con una massa combattente in montagna di circa 12.600 uomini e donne, di cui 9000 al Nord e 3600 al Centro-Sud. I garibaldini erano ora la maggioranza ed erano saliti a circa 5800, con 3500 autonomi, 2600 giellisti e 700 cattolici”.

Dobbiamo ricordare che solo una parte dei componenti delle varie formazioni apparteneva a partiti politici. Generalmente solo i capi delle varie brigate o divisioni erano collegati ad uno schieramento politico, mentre la maggior parte dei partigiani non apparteneva ad alcun partito ed entrava nelle varie fazioni solo per affinità di ideali o per pura convenienza pratica, sulla base della fama o dell’efficienza delle brigate stesse e del prestigio dei loro capi. Ritornando alle nostre zone, ricordiamo che i tedeschi occuparono i territori italiani operando anche con forze collaborazioniste ucraine, caucasiche, turche, mongole e cosacche. Tutto ciò accadde fin dal luglio del 1944 e si concluse, per l’appunto, nell’aprile del 1945.

Questo è il periodo storico in cui fu attiva la Resistenza: periodo che iniziò dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943 – lo stesso CLN fu fondato a Roma il 9 dello stesso mese – e che terminò nell’aprile-maggio del 1945. Parliamo di circa venti mesi. Da qui la scelta di celebrare la Liberazione il 25 aprile 1945, che fa riferimento alla data dell’appello diramato dal CLN per l’insurrezione armata della città di Milano, sede del comando partigiano dell’Alta Italia.

Durante questi venti mesi vennero messi in atto grandi tentativi di repressione da parte dei tedeschi. Ricordiamo ad esempio il feldmaresciallo Kesselring che fu in grado di organizzare una prima operazione coordinata di repressione e rastrellamento sistematico per sopprimere le forze partigiane della Resistenza e rioccupare le “zone libere”, preoccupandosi di intimorire con metodi aggressivi anche la popolazione apparentemente favorevole. Sempre i tedeschi, alle sopra citate forze collaborazioniste, impartirono compiti funzionali di presidio. I partigiani, a loro volta invece, erano collegati anche a forze comuniste sovietiche e accoglievano tra le loro fila russi e prigionieri fuggiti dai lager nazisti.

In questa realtà si snodano gli eventi narrati in questo libro.

Ricordi di questi anni trapelano dalle memorie di chi li ha vissuti in prima persona. Così tempo fa appresi da Alessandro Tomasi di Tarzo che sua madre e sua zia, Maria e Nadia De Lorenzi, ricordavano che da piccole con i loro genitori si recavano poco lontano dalla chiesetta delle Perdonanze, tra le colline di Tarzo e Vittorio Veneto (in provincia di Treviso), ove si trovava una lapide. In quel punto, assieme ad un partigiano italiano era rimasto ucciso un soldato russo che si diceva imparentato con Stalin. Questo ricordo era così chiaro, che le due anziane signore rammentavano benissimo che annualmente – quando erano solo delle bambine – in particolari ricorrenze arrivavano importanti autorità russe a onorare il defunto e a celebrare una cerimonia di commemorazione in loco.

Nella memoria storica ufficiale, da cui possiamo trarre informazioni, si parla di tre partigiani della Brigata Piave uccisi dai militi della X MAS il 6 febbraio del 1945: Giovanni Morandin, detto il Barba, al quale levarono il maglione di lana e strapparono i capelli; il capitano Monti, partigiano sovietico, al quale tolsero le calze e le scarpe; e infine Giuseppe Castelli, detto Deciso, fucilato il giorno seguente nella piazza antistante la chiesa di Salsa a Vittorio Veneto, dopo che aveva tentato la fuga. Inoltre si racconta che, dopo l’attacco dei partigiani al presidio del comando degli alpini di Tarzo, le forze nazifasciste iniziarono un grande rastrellamento che portò, a sua volta, a un attacco in forze ai partigiani stanziati in località Mondragon di Tarzo. Lì morì il partigiano Antonio Della Pietà, ancora vestito da fascista. La vicenda si concluse in tragedia, a maggior ragione, con la morte dei nostri tre partigiani circondati sulle colline verso Cozzuolo di Vittorio Veneto.

Il mistero che andremo a indagare ricadde proprio sul capitano Monti, il russo successivamente ed erroneamente identificato in Giorgi Dimitris dze Varazashvili.

Il capitano Monti è un personaggio avvolto nel mistero, che secondo molte testimonianze sarebbe stato, in realtà, Jakov Josifovic Džugašvili, figlio primogenito di Josif Stalin e della sua prima moglie Ekaterina “Kato” Svanidze; figlio che in realtà non sarebbe mai morto in Germania, come invece a suo tempo fece sapere la stampa, ma che sarebbe fuggito dalla prigionia nazista. Non è un caso che la morte di Jakov sia ancora avvolta nel mistero, e che le prove che egli sia stato realmente ucciso non abbiano mai convinto nessuno; basti pensare allo storico Pier Arrigo Carnier che, scettico all’inizio sulla vicenda della vera identità del capitano Monti in qualità di figlio di Stalin, poi ritrattò, seguendo una sua personale pista alla ricerca del figlio naturale del dittatore sovietico.

Da questo intricato e affascinante caso è partita un’estenuante ricerca che mi ha condotto a intervistare l’anziana signora Paola Liessi, tuttora vivente, allora fidanzata del capitano Monti, e a conoscere Alessandra Zambon, nipote dello stesso, che era in possesso di materiale interessante sul caso. Questo materiale, ereditato, le era stato passato dal padre, e si confermò essere utile a tessere le fila di una verità sempre più chiara, specie alla luce delle nuove sensazionali scoperte che siamo riusciti – Alessandra ed io – a portare a termine assieme, consultando con nuovi occhi proprio questa documentazione in suo possesso.


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