L’economia savonese raccontata e fotografata non soltanto a suon di aride statistiche macro e micro economiche, progetti, proposte, denunce, ritardi, incompiute, dichiarazioni, promesse, occasione di esibizionismo o passerelle che si perdono nel disuso della memoria storica. Lo spaccato di un’altra società spesso muta. L’economia povera, poverissima, dove abitano i volti della sofferenza. I numeri dei disoccupati, occupati, nuove opportunità dove si nascondono drammi quotidiani non solo di chi ha perso il lavoro e bussa invano. C’è chi deve lasciare la terra dove è nato e trasferirsi lontano, spesso tra successi umani e materiali. C’è un piccolo esercito ai più sconosciuto, l’altra Savona, la sua provincia, nascosta, taciturna, smarrita avara di notizie, di ‘invisibili’ che non si incatenano. Ma ribellarsi si può e si deve, sfuggendo dalla solitudine.
E’ facile vivere in un contesto d’amore, essere cristiani, ma rendersi conto dell’abissale solitudine che ti circonda. Ha lanciato un macigno il sito internet Game over, con racconti dal vero, del giornalista Mario Muda e le immagini dell’architetto fotografo Marcello Campora. Hanno rotto uno dei tabù del silenzio diffuso entrando nel vivo, nel quotidiano, nella storia di ieri e di oggi, di alcune vittime. Quasi tutti, sembrerebbe, hanno rispettato per anni l’incolpevole omertà. Protagonisti della scuola di chi non perde la dignità. Con Muda e Campora‘ il palcoscenico operativo, concreto, della Fondazione Caritas, con il suo presidente Marco Berltaldi, il supporto silenzioso di parroci e parrocchie, il piatto di minestra’ nei conventi, i servizi sociali dei Comuni, la carità che non urla, il volontariato delle associazioni. Ma quale futuro ?
Resta assente o latitante un ‘progetto città’ capace di prevenire, creare le condizioni, la piattaforma di una civiltà che oltre al benessere dello spreco, a mostruose disuguaglianze, a scandalose politiche di evasione fiscale, non resti insensibile o impotente alla ‘fabbrica della disoccupazione’. Condannati a vita e senza possibilità di appello ? Tragedia nella tragedia senza la fiamma della speranza. La morte civile non è solo quella tra quattro mura di un carcere, di un ricovero ‘coatto’. Il grido di dolore non può essere solo l’effetto mediatico di un giorno. Il commento in punto di penna. Serve un pure un tam tam quotidiano. Poco importa se con un volto o senza, purchè siano storie di vita vissuta.
RESOCONTO DELL’INCONTRO DA ‘LA NUOVA SAVONA’
E se lo Stato, inteso come istituzione, è spesso il grande assente, a fare da supplente resta la Caritas; e resta la società civile, che sebbene oggi appaia un po’ zoppicante nei suoi valori conserva ancora tracce consistenti di umanità, compassione, pietas, vicinanza. Una vicinanza tanto più necessaria quanto più siamo chiamati a comprendere che la vita di uno è, o può diventare, la vita di tutti.
“Tutti camminiamo sulla stessa terra”, ha ricordato il presidente di Fondazione Caritas Marco Berbaldi nella serata di presentazione del progetto “Game over” condotta da Arianna Codato.
Game over è il nome di un sito internet, nutrito dalle parole di Mario Muda e dalle fotografie di Marcello Campora, ma è anche un progetto: il progetto di opporre alla cruda statistica dei numeri lo sguardo, l’ascolto, la partecipazione. Di restituire la dignità di persone a uomini e donne che, ridotti in povertà dai rovesci della vita, ci passano vicino per la strada senza dirci che sono costretti a nutrirsi di latte o che tengono la luce spenta alla sera perché non sanno come pagare la bolletta. Senza dirci che hanno qualcosa da raccontare.
Intervistando e fotografando, guardando e ascoltando, gli autori sono entrati in questo universo semi-invisibile in punta di piedi, con un atto di umanissimo impegno civile che arricchisce e devasta, e che ha come primo obiettivo quello di raccontare la realtà. Autori che sono, non è un caso, un giornalista e un fotografo: perché la realtà intrapppolata in una foto è vita, e vita è (anche) bellezza.
Perché dove c’è realtà, c’è anche la dignità.
PERCHE HO SCRITTO
Ho sempre riflettuto sui numeri, soprattutto su quelli di disoccupati, sottoccupati, dei precari, dei separati che dormono in auto, degli anziani (e non) che non raggiungono la fine del mese senza debiti.
Numeri apparentemente, ma in realtà persone, uomini e donne, con un volto e con una storia. Avevo intenzione di raccontare storie-simbolo perché si potesse avviare un confronto su questa situazione perché i numeri non rimanessero più solo tali, ma perché si iniziasse, anche, a ragionare su questa reciprocità noi-loro che oggi riguarda tutti. Storie vere con un volto. Parole ed emozioni, non cifre.
Come professionista dell’informazione ne ho intervistati, come cittadino ne ho letto, studiato e valutato: disoccupati, sottoccupati, sono una costante del “mondo lavoro”, praticamente da sempre. Ma erano spunti del momento, situazioni, fatti, dettati da un’analisi complessiva o motivati da una situazione contingente: la chiusura di una fabbrica, uno sciopero. La rappresentazione numerica e sofferente di un trend dell’economia. Il prevalere della finanza sui mercati, la delocalizzazione, la globalizzazione hanno poi sparigliato, ulteriormente, le carte senza contare che improvvide manovre politiche e sociali, hanno dilatato il fronte dell’esercito delle persone senza lavoro e senza domani.
Improvvisamente i numeri hanno iniziato a crescere con una progressione geometrica e la frana è diventata valanga, terremoto. Uno tsunami di proporzioni incontrollabili e devastanti. Irreversibile. Ma restavano dati, non era un elenco, ma cifre, grandi, grandissime, enormi, ma sempre e solo numeri. Un giorno mi hanno raccontato (e non era il primo caso), come una coppia di anziani (marito e moglie) si fosse rivolta a un agente immobiliare per cercare una casa in affitto che costasse poco. Meno di quello che stavano sostenendo in quel momento. Esigenze all’osso. Con la pensione di lui (Ferrovie) non riuscivano più a reggere il canone attuale e a mantenersi dignitosamente. “L’euro – ha detto il marito – ha dimezzato la pensione. Quando ho smesso di lavorare potevo vivere con dignità, adesso ho difficoltà per tutto”. Tolto l’affitto, vivendo di niente, non riuscivano a pagare luce, gas. Il canone televisivo un sogno. Era una storia. Ecco che quei numeri erano diventati persone, stati d’animo, emozioni. Vite.
“Politica” per Aristotele significa amministrazione della “polis” per il bene di tutti, la determinazione di uno spazio pubblico morale al quale tutti partecipano. Ecco io non avevo le possibilità strutturali di cambiare il sistema, di aiutare concretamente nessuno, ma avevo – ho – la possibilità di fare politica raccontando questi calvari, perché ogni persona e la sua storia, quella della sua famiglia dei bisogni e delle speranze, diventasse un caso politico.
Storie simbolo.
Non è stato facile, non semplice, non definitivo.
Non si tratta né di un’inchiesta-scandalo (è già scandaloso il tutto), né una ricerca di sensazionalismo.
Ho voluto solo raccontare, molto sobriamente, al limite del telegrafico, aiutato dalle fotografie e dalla sensibilità di Marcello Campora, come si possa lavorare tutta la vita e, nonostante la pensione, non si riesca sopravvivere. Oppure essere laureati con il massimo dei voti e lavare i cessi, oppure fare venti mestieri per mettere insieme il pranzo con la cena, oppure finire alla mensa della Caritas, avendo un lavoro, o avendolo perso.
Questo insieme non è la prima testimonianza sul fenomeno e – purtroppo- non sarà l’ultima. Ma se qualcuno si soffermerà a leggere mi piacerebbe che tutto questo diventasse un gesto politico, un’agorà morale nella quale porsi domande confrontarsi e, se possibile, trovare risposte. Se poi le risposte fossero strategie e posti di lavoro sarebbe il massimo, ma so che questa è una speranza disperata, come la storia economica e sociale di questo Paese.
Ci interessavano storie e testimonianze e volevamo fosse una bandiera. L’idea era quella di realizzare un libro che potesse essere un luogo fisico, dove foto e testi potessero essere confrontati, diventare oggetto di discussione ed elemento concreto di forza.
Nonostante i nostri sforzi e il nostro impegno non è stato possibile realizzare questo progetto. L’autopubblicazione avrebbe, poi, richiesto tempi lunghi e dilatati e noi non potevamo più aspettare. Abbiamo perciò deciso di rendere subito fruibile il nostro impegno.
Poiché la tecnologia lo consente, abbiamo allora deciso di realizzare un sito in grado di diventare un punto fermo e anche di partenza per ospitare sia le interviste sia le foto realizzate, ed eventualmente anche altre parti di questo progetto che non intendiamo abbandonare.
Il lato positivo di un sito è la possibilità di una maggiore diffusione dei contenuti, il loro costante aggiornamento, la sistematica accessibilità.
Questo sito è diventato un manifesto, la nostra denuncia. Lo dovevamo alla nostra idea, alla nostra incazzatura, alle persone che abbiamo intervistato e che, nobilmente, si sono prestate a questa pubblicazione. Il più importante risultato fino ad ora ottenuto, ma per noi ampiamente significativo, è l’aver notato dopo ogni incontro, oppure dopo aver visto il nostro lavoro,
un senso di liberazione, di soddisfazione, in certi casi di fortissima emozione, da parte dell’intervistato.
Quasi di autoaffermazione. Il recupero di un ruolo, la consapevolezza della propria identità.
Il lavoro è fondamentale per la dignità individuale, per il ruolo che l’uomo ha nella società, per la sua autonomia, per il rispetto di se stesso.
E questo vale per i lavoratori attivi sia per quelli dispensati, per via dell’età, e relegati a luoghi defilati e alla cancellazione di una funzione.
Questo avviene solo nella nostra civiltà perdente e artefatta.
Il riferimento agli esperti, ai saggi, a braccia e menti ancora forti, in tutte le stagioni della nostra storia è stato utilizzato, non tanto per speculazioni, accumulo, difesa di ricchezze, ma per trasmissione dei saperi e delle esperienze. Ognuno, nel cammino dell’umanità, ha svolto un ruolo, declinato in modo differente, dentro il proprio contesto sociale.
La società attuale, invece, ci vuole ipervitaminici e voraci fino all’obesità nell’adolescenza, produttivi e sfruttati finché si è forti, possibilmente malati, instabili e fragili nella vecchiaia, sempre e comunque consumatori e obbedienti. Soprattutto teledipendenti.
Pensare a soggetti stabili, equilibrati, responsabili e solidali che attraversino il tempo e diano il loro contributo di esperienza e valori viene considerata un’eresia perché fuori dal merchandising.
Non sempre lavorare con gli altri, scrivere e progettare, come nel mio caso, è finalizzato al guadagno. Può accadere che esista il compiacimento della condivisione, la soddisfazione dell’insegnamento, dello scambio di esperienze, il piacere del racconto e della scrittura.
Il mercato e il potere non lo accettano, boicottano, snobbano. “Rottamazione” è un termine diventato slogan positivo, invece è una pietra tombale sulla qualità, sull’etica del lavoro, sui valori, sulla dignità. Sui sentimenti. Questo progetto, minimale e molto parziale, vuol dimostrare che volendo, ribellarsi si può. Piccola, modestissima, afona, forse inutile, ma questa è la mia rivoluzione.
Mario Muda
QUANDO I NUMERI DI UNA DISFATTA HANNO VOLTO E UNA STORIA
Numeri, cifre, dati. Le macro categorie di una disfatta economica vengono raccontate da media, forze politiche, saggi tecnici con indicazioni generiche e multipli come le forze di un esercito o le proporzioni di una catastrofe. La disoccupazione e la povertà hanno un aspetto vistoso, ma l’imponenza dei dati, alla lunga, ne svilisce l’impatto, ne deprezza la portata.
L’uso e la consuetudine stemperano ogni precarietà. Sono dati tecnici, non umani. Ognuno di quei numeri, invece, ha un volto, un nome, una storia.
Non tutti per pudore, riservatezza, rinuncia hanno voglia di raccontarla, di renderla pubblica. Cioè far capire a ciascuno di noi, come sia accaduto che una di quelle migliaia di persone che è andata a dormire la sera con un lavoro e una vita “normale”, il giorno dopo si sia risvegliata con la vita stravolta, mutata, con una non più vita. Perdendo affetti, casa, sicurezza, rapporti umani e sociali. Abbiamo effettuato una serie di interviste raccontando le vite normali di persone normali, che hanno acconsentito a ripercorrere la strada della loro disfatta, ma non quella della rinuncia. Volti, nomi, foto, fatti. Una declinazione del dolore senza vittimismi, lucida, circostanziata. Ognuno di loro può essere uno di noi. Avevamo intenzione di raccontare attraverso parole e immagini storie-simbolo perché i numeri non rimanessero più solo tali, perché si iniziasse anche a ragionare su questa reciprocità noi-loro che oggi riguarda tutti. Storie vere con un volto. Parole ed emozioni, non solo cifre.
Abbiamo trovato persone disponibili, ed abbiamo raccolto alcune interviste grazie all’appoggio della Caritas di Savona e all’Opera San Francesco di Milano. Cercavamo di avere testimoni con storie semplici, ma credibili, diversificate, per evitare professionisti del precariato che rappresentano, ovviamente, un lato doloroso, ma non costituiscono il tema di questa ricerca.Ci siamo ritrovati di fronte alla banalità dell’imprevedibile e al dolore dei giorni perduti, ma non alla rassegnazione e alla rinuncia.
Persone che, nonostante la disfatta, sono rimaste umane.
STORIE, FATTI E IMPRONTE DIGITALI
Mario Muda, ha lavorato come giornalista. Come curatore editoriale e autore ha realizzato saggi e pubblicato testi di divulgazione storica, libri e racconti. Per professione è stato chiamato alla conduzione di reparti e settori editoriali. Con l’irruzione di internet ha frequentato prevalentemente la nuova frontiera delle tecnologie digitali.
Ex vicedirettore alla multimedialità de “Il Secolo XIX”, ha curato per la Sep i rapporti fra cartaceo, radio e web, dirigendo i settori di competenza. Successivamente ha fondato e diretto giornali e testate on line di cronaca e cultura.
Ha realizzato progetti digitali riguardanti la lotta al lavoro minorile e, come consulente, ha seguito l’evoluzione commerciale ed editoriale dei social network. Ha un blog “Diario di bordo” di “fotografie scritte” ed è impegnato in una serie di progetti che riguardano il lavoro e le nuove emergenze sociali.
IMMAGINARE QUELLO CHE INCONTRO IMMAGINARNE LA STORIA
Sono nato a Savona l’8 febbraio 1965. Sono architetto, vivo e lavoro a Savona. Ho iniziato a fotografare già da bambino, ma una maggiore consapevolezza l’ho raggiunta nei primi anni novanta. E’ in quegli anni che inizio a frequentare il laboratorio fotografico di Fulvio Rosso, fotografo professionista di rara sensibilità. Grazie all’idea dell’architetto Mario Clemente Rossi nel dicembre 2016 allestisco a Imperia, presso lo Studiorossi+secco, la mostra dal titolo ‘Spiaggia libera’.
Nel marzo 2017 collaboro come fotografo con l’associazione Teatro 21 a un laboratorio di teatro sociale tenuto in alcune scuole superiori con l’intento di lavorare sulla multietnicità di alcune classi.
Nell’estate 2017 realizzo ‘Highway Saluzzo Revisited’ progetto non ancora pubblicato che intende fissare in immagini la presenza dei migranti nel panorama saluzzese della raccolta della frutta.
Nell’agosto 2017 partecipo all’evento “Al largo c’è vento”, organizzato dal Circolo degli Artisti di Pozzo Garitta con il patrocinio del Comune di Savona e presento il mio progetto ‘Torino vuota’. All’inizio di novembre 2017 a Torino realizzo l’installazione ‘Tre biciclette’ all’interno dell’Officina Il Bicino.
Durante il 2018 dalla collaborazione con Savona Open Theatre, un’iniziativa volta all’incontro fra gli abitanti di Savona, gli immigrati e i migranti, realizzo il progetto ‘Ballad of colors dependency’ che ha avuto al momento, volutamente, solo una visibilità tramite i principali mezzi di comunicazione ‘social’. Attualmente sta esponendo a Finalborgo, “Doppio Sogno” un progetto di Riccardo Zelatore con Bart Hermann
Marcello Campora
LA PAGINA DEL SECOLO XIX DI MARTEDI 14 MAGGIO 2019
Sabato 18 maggio 2019 alle ore 16, nella Sala Rossa del comune di Savona,verrà presentata la 3a edizione del libro di Franco Icardi. La fine di un mito genovese. Cristoforo Colombo nasce a Savona. Direttore della Biblioteca di Cengio e dell’ Associazione culturale No profit “Antichi Liguri e Colombo nato a Savona (natural de Saona)” della Biblioteca Civica di Cengio.