Peagna orfana dell’agricoltore che si era ‘ritagliato’ la nomea di ‘Nando dei pomodori cuor di bue’. Produzione in serra non stop e con lungimiranza. Acquirenti locali e mercati del Nord Italia. Nando non c’è più. Ha chiuso gli occhi al S. Corona dopo un breve ricovero. Strappato agli affetti e agli amici. Un destino segnato da quando iniziava ad accusare dolori alla spalla. Visite specialistiche, esami, terapie, giorni di sollievo e momenti di ansia. Preoccupato, ma fiducioso. Lui era una roccia che aveva convissuto con la zappa prima, sudore e sacrifici in sordina poi. Sveglia all’alba e il tira tardi di sera. Notti bianche per le gelate. Figura minuscola e longilinea, da atleta, tradiva un’esistenza d’acciaio, coerenza granitica, pochi compromessi. Sulle orme di quell’uomo forte, di grandi fatiche che era stato papà Riccardo origini a Massimino. Nando ultimogenito: due sorelle, Margherita e Rina che hanno seguito la scuola di vita della mamma Maria. Nando fiero e orgoglioso, sapeva essere di eccezionale compagnia, compagno di viaggio in pullman, come in crociera, a suon di barzellette da crepare dal ridere.
Nando tra gli ultimi testimoni della nostra infanzia a Peagna, dal dopoguerra. Il paese, come tutta Italia, usciva dall’immane tragedia. Nella frazione di Ceriale si viveva una povertà dignitosa e laboriosa. Gli adulti quasi tutti impegnati nell’attività agricola, ora da proprietari, ora con terreni in affitto, qualcuno in giornata per conto terzi. Gli svaghi più praticati erano il gioco delle bocce di domenica e la caccia. I bambini si ritrovavano a giocare a biglie, a volte colorate, sulla piazzetta della chiesa o quella attigua dove c’era l’abbeveratoio per il bestiame dei pastori, quattro famiglie di origine montanare (Valle Arroscia imperiese e Alta Val Tanaro cuneese). La messa festiva, i vespri domenicali, la cantoria senza maestri di musica, le feste comandate rappresentavano il momento di unione e ritrovo religioso della comunità. Due o tre volte all’anno le feste pagane, con il ballo, allora a corda e a cartelle, ovvero si pagava per scendere in pista.
L’esordio degli anni ’50 ha visto, a Peagna, la più numerosa presenza scolastica post bellica. Cinque classi prima nella stanza di una vecchia casa in cima al paese, poi il nuovo edificio che oggi ospita il museo Lai. E’ in quel periodo, come documenta una foto, che si formeranno uomini e donne, mamme e papà che ora appartengono alla terza età. E’ in quelle radici, ancora capaci di far crescere valori, sentimenti, tradizioni, che Nando Oggerino, classe 1945, tra i primi in classe per intelligenza e profitto scolastico, ha saputo creare profitto, insegnamento; ha raggiunto risultati e traguardi
che un tempo venivano definiti “all’onore del mondo”. Non solo agiatezza economica. Con Nando ed altri coetanei abbiamo conosciuto storie di vita e di civiltà contadina, etica e cultura popolare, ormai rilegate a ricordi lontani e nulla più. Lui che si onorava di aver prestato servizio militare negli alpini, congedandosi con il grado di sergente. E proprio i commilitoni gli hanno reso il tributo e la preghiera dell’Alpino.
Peagna anni ’50. Non in tutte le case c’era la luce, l’acqua corrente, i servizi, anzi era un’eccezione per pochi. Nelle festività solenni (Natale, Pasqua, San Giovanni Battista patrono e Corpus Domini) il profumo dei forni a legna. Non solo pane casalingo, torte di verdure, torte dolci, ravioli al sugo di coniglio nostrano. Tutti possedevano un pallio e allevavano conigli per fabbisogno famigliare, dopo le piogge si raccoglievano lumache. Il latte era quello munto ogni sera e mattina dai pastori della transumanza.
A Natale, per tradizione, i bambini si recavano in ogni famiglia per recitare la poesia, ricevere un premio in denaro o piccole golosità. La ‘festa comandata’ rispettata pressoché da tutti, con l’eccezione dei pastori che, se non pioveva a dirotto, dovevano accompagnare i greggi al pascolo. Tra gli svaghi che con Nando abbiamo condiviso, il falò in strada nella ricorrenza di San Giovanni Battista, nella stagione venatoria i cacciatori perlopiù genovesi. E a ricompensa di ‘raccoglitori’ di volatili uccisi, le capsule di cartucce vuote, ricaricate ed utilizzate dai genitori che praticavano la caccia. Con l’approssimarsi della Pasqua si andava nei campi a raccogliere ‘purasse’, acquistate da ambulanti che venivano da fuori ed utilizzate per decori. Non c’erano molte altre possibilità di svago quotidiano: abituale il nascondino per maschietti e femminucce. Tra i ragazzi ‘tirarsi’ le pietre per gioco.
Con il calar delle tenebre capitava di ascoltare i latrati delle volpi (frequenti le incursioni nei pollai), i pipistrelli erano di casa, le rondini un appuntamento fisso, in autunno con il pettirosso in gabbia per fare preda ed il bottino utilizzato in cucina dalle mamme. Accadeva anche con le trappoline di vischio nei piccoli ruscelli o le reti. C’era il periodo in cui si dava la caccia ai nidi sugli alberi. Non era un passatempo, era un aiuto alle provviste di pranzo e cena. Le famiglie più fortunate avevano in casa il frantoio delle olive (quattro, uno proprio degli Oggerino), mentre i torchi per pigiare l’uova erano una decina. In piazza della chiesa un’unica fontana d’acqua potabile dove tutti si rifornivano con i secchi.
Nando che poteva fare confronti tra la Peagna povera di un tempo, unita nella semplicità e nella tradizione (dialetto incluso), e il Paese del terzo millennio dove i ‘foresti’ sono in netta maggioranza, la coesione sociale tra vecchi paesani si è affievolita. Oggi si fa comunità con il volontariato nelle sagre. Non si è mai rinsaldato il rapporto tra chi è nato e cresciuto in paese e chi è ‘emigrato’ in pianura. Le nuove generazioni sempre più distaccate ed estranee alle origini dei loro avi. Un’involuzione sociale tutt’altro che condivisibile, giustificabile.
Nando è sempre stato tra le figure più attive della ‘vecchia Peagna’. Un periodo da ‘priore’ (presidente) nell’antica Confraternita di San Giovanni, sempre disponibile a tirasi su le maniche davanti alle stufe in occasione degli appuntamenti gastronomici nelle opere parrocchiali di Capriolo. Ha dato il buon esempio, mettendo in pratica quella collaborazione – collante in una società sempre più attratta dall’apparire e dall’effimero. Non è la partecipazione al funerale di un amico che fa la differenza in una realtà che non dimentica le sue origini, chi eravamo.
Nando che da chierichetto accompagnava il parroco nelle case degli infermi per la somministrazione degli oli santi, si aiutava in chiesa a preparare i festoni e gli ornamenti, le infiorate per la Santa Pasqua o lungo le strade in occasione del Corpus Domini. Non c’erano cellulari, un solo telefono pubblico, un apparecchio Tv in canonica, in casa si ascoltava la radio, il primo parroco con il quale ci siamo preparati alla Comunione (vedi foto) e poi alla Cresima (mons. Raffaele De Giuli) è stato don Pietro Menini, pegnaolo, seguito per un breve periodo da don Bellocchio, quindi per oltre 60 anni da monsignor Fiorenzo Gerini che trascorre la terza vecchiaia nella ex Presentazione di Loano (Mons Pogliani) , in attesa di trovare posto nella ‘casa del sacerdote’ di Albenga.
Con Nando abbiamo visto in paese la prima Vespa, poi una Lambretta, la prima Balilla, la Lancia, fino alla prima Spider Innocenti. Ma anche l’esordio assoluto delle biciclette che erano pur sempre un piccolo lusso rispetto ai carri trainati da muli, asini, buoi, cavallo (assai raro). Bue utilizzato per arare i campi. Le olive, all’epoca, principale fonte di reddito, i frutteti, le prime serre con primizie, il vino prodotto solo per consumo famigliare. Con Nando la prima famiglia di immigrati, dall’Abruzzo, poi una seconda dalla Sicilia. Con Nando il ricordo di rari mendicanti – diverso il discorso dei zingari di cui si nutriva timore per via di ataviche superstizioni e maledizioni – che venivano consigliati a raggiungere l’ultima casa in cima al paese abitata da pastori di Mendatica. Un piatto di pasta o di minestrone che il viandante consumava fuori dalla porta e di notte dormiva, in un giaciglio, nella stalla, tra il fieno. Si trattava quasi sempre di ‘poveri’ che arrivavano dal Veneto, dal Friuli Venezia Giulia, in prevalenza uomini. C’è chi tornava con una certa cadenza e famigliarizzava quel tanto da non considerarlo ‘pericoloso’. La porta di casa veniva chiusa a chiave soltanto quando ci si assentava per una giornata intera o per raggiungere i campi, i furti ogni morte di papa e solo di prodotti rurali.
E’ un inesauribile capitolo quello Nando poteva raccontare, testimoniare, a futura memoria. Citare anche chi, tra la nostra leva, gli anni d’infanzia e gioventù, se ne è già andato. Il primo era stato Severino Pizzo, tra lo strazio di inaudite sofferenze, fino alla cecità per un tumore cerebrale; poi il fratello minore Ivano, quindi la sorella maggiore Caterina. Sono in vita Teresina e Giuliana. Se ne è andato Giampiero Rosso che aveva raggiunto il traguardo di direttore di banca. Ci ha lasciato Carlo Enrico che aveva creato un’avviata azienda agricola. Da ultimo era toccato a Nico Merlino stroncato da infarto mentre si trovava in strada a Ceriale.
E’ forse l’unica occasione, quella del funerale, per ritrovare la ‘vecchia Peagna’ che sta scomparendo. Una comunità che purtroppo solo don Gerini era riuscito, pocher volte, a riunire, tutti insieme, al ristorante. Restano le immagini di quei giorni, album dei ricordi. Resta l’eredità morale ed umana di chi ha vissuto la ‘comunità di Peagna umile e contadina’ dal suo interno, la pietra miliare della famiglia unita. Il benessere non era di casa, si viveva e ci si accontentava di poco, scarpe nuove a Pasqua, a Ceriale si andava per la spesa e festeggiare San Rocco con i fuochi artificiali. O per il medico di famiglia (Bertin Merlo e Tagliasacchi) che raggiungeva il paese a piedi, come la maestra Virginia Gerosa che arriva con la Sati o in treno a Ceriale e poi mezz’oretta a piedi fino a Peagna. Mai un’assenza. Un punto di riferimento. La foto di gruppo è ciò che resta di quella stagione. La visita al camposanto invece racchiude gli ultimi due secoli di storia. Chi c’era e chi ricorda.
E un giorno non lontano, Nando, con quelli della leva e della scuola, non potrà più ricevere la gratitudine, la memoria di un caro ed affettuoso sodalizio. Il destino di chi ha meritato e lascia spazio al silenzio dell’infinito, dell’al di là. Ieri come oggi lontano dai riflettori. Con gli affetti che il tempo inesorabilmente trascina nel ‘buco nero’ dell’universo umano. (Luciano Corrado)