BRICIOLE DI COSTITUZIONE. 22a Puntata. L’Infanzia, l’adolescenza e la gioventù. “Art. 31, La Repubblica protegge… l’infanzia e la gioventù…”. La felicità dipende anche dalla famiglia e dalla scuola.
Nel loro ventre trascorriamo anni cruciali. Ci indirizzano ai valori, ma possono anche originare delusioni, solitudini, intralci, esclusioni.
Col tempo non seguiamo l’istinto originario, ma quello che è diventato con le nostre esperienze e le intrusioni degli altri. Possiamo addirittura perdere il contatto col nostro vero essere. Qualcuno è confuso fra quel che era e quel che è.
Per istinto, innato o acquisito, trascuriamo il fine dei nostri comportamenti: agiamo e basta! Dimentichiamo che si gioca per divertirsi, non per vincere; si viaggia per conoscere nuovi posti, non per arrivare; si insegna per favorire lo sviluppo degli studenti, non per giudicarli.
Non uno di meno è il titolo del film cinese Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia del 1999. La maestra si mette alla ricerca del ragazzo che ha abbandonato la classe finché non lo trova e lo convince a tornare.
Ogni figlia, figlio, alunna, alunno, che non giunge alla meta, è testimone vivente della sconfitta della famiglia, della scuola, della società e le dichiara colpevoli della violazione del suo diritto ad una crescita sana sul piano fisico, intellettuale, morale, spirituale, sociale.
Briciole di Costituzione è un percorso di diffusione dei valori fondanti della Costituzione attraverso brevi commenti, che pubblico ogni mercoledì dal 3-10-18. È rivolto a ragazze e ragazzi di tutte le età. Se siete interessati iscrivetevi al “Gruppo Facebook Briciole di Costituzione” oppure comunicatemi l’iscrizione alla mailinglist. Vi sarei grato se aderiste all’iniziativa e la diffondeste nei vostri diari, blog, siti, giornali, tv.
Michele Del Gaudio
Le osservazioni di Peppe e Felicio sulla maternità:
Peppe Franzese: Viva Gaia della mitologia greca che genera divinità. Viva il culto egiziano/etrusco della Dea Madre (c’è un manufatto antichissimo conservato nei musei vaticani), Viva il culto della Madre Terra e quello cattolico di Maria. Viva il culto della Grande Madre, archetipo di Gustav Jung. Viva la protezione naturale di qualsiasi essere animale verso i propri piccoli: dalle semplici api alle tane delle lupe, dal coccodrillo sui margini del fiume al nido dei gabbiani tra le rocce spumeggiate dai marosi.
Viva la mamma, viva tutte le mamme.
Felicio Izzo: Caro Michi, come ti ho già detto, le tue briciole costituiscono un irrefrenabile stimolo per riflessioni e considerazioni. Chiamano alla partecipazione. A fare di una voce un coro. Allora si può essere anche provocatoriamente fuori e dissonanti o amplificarne il volume o semplicemente – come se fosse semplice! – armonizzarlo.
Oggi la voce, forse, è dissonante. E’ una storia vera o solo immaginata. La differenza, nel momento in cui diventa cosa scritta, è insignificante e irriscontrabile. La provenienza, certa, è mia moglie che vive la realtà di una scuola “difficile”, in un contesto “difficile”. La difficoltà sta nella condizione di diversità dalla nostra, di realtà. Quella “dalla parte dei vincitori”.
Prussurè! Mio padre s’è fatto pigliare che tenevo quattro mesi. I primm’ tiemp’ andavamo in carcere a trovarlo. Accussì l’aggio visto ‘a primma vota. Po’ è uscito che tenevo quasi otto anni, ma nun è turnato a casa. So’ juto io a casa sua. Da nnuie nun puteva trasì. Ci sta n’at’ al posto suo e non ci po’ fa niente. Anzi è già assai si nun è passat’ a ringraziarlo. O l’ha fatto. Ma chest’ nun ‘o saccio. E non voglio saperlo. Chill’ è troppo ruoss’ per lui!
Allora, io m’addomando, comm’ se ffà a essere omm’ se ti devi stare. Accussì. Come mio padre.
Sono andato a casa sua. Stava cu n’ata. Ci stava n’ata femmena. Non abbiamo quasi parlato. Ma mammà me l’aveva detto. Non amareggiarlo. Nù ffà ‘ntussecà. Fai a verè! Fingi! E accussì aggio fatto. Accussì. Sul’ ‘i sordi non li ho presi. Ma no per disprezzo o scuorno. No! Per giustizia. No, prussurè, non ridete. Anzi, ‘o saccio ca non ridete. Vuie. E’ per questo ca parlo cu vuie. Giustizia. Me pareva giusto accussì. Pecchè i sordi servono cchiù a iss’ ca a mme. E così è juta.
Quattro mesi e s’è fatt’ piglià n’ata vota. Mammà po…è semp’ mammà. Sul c’ha fatt’ altri due figli. Doie femmene, però! Ca me so’ sore. E l’aggia vulè bbene. Anzi io ‘e voglio bbene averamente.
Ma na cosa v’aggia dì, prussurè. Comm’ faccio a capì cos’è na carezza. Quando è over’ e quann’ è accussì. Comm’ ci si sent’ accucciuliat’, sì, comm’ e nu cane ca rorm’. Comm’ e Benny, ‘u gec rassell che teniamo, che accussì si mette ncopp’ ‘o divano. E pare c’aspett’.
Ma io certe cose non v’avess’ dì. Pecchè ‘o saccio ca n’omm ciert cose nun l’adda neanche pensà. E io, prussurè, tengo già dieci anni. Sì, riec’ ann’. Sì, m’hanno bocciato, ma sul’ ‘na vota. Fui l’anno ca papà ascett’. Erano troppe le assenze, ricetter’. Era overo. Andavo da mio padre. Ma senza trasì in casa. Mi mettevo llà fuori e aspettavo. Po’. Po’…vedevo a chella e me ne andavo. Ma no a scola, però. Chissà quando lo vedrò n’ata vota. Fuori però, non in carcere. In carcere nun è ‘o stess’.
Ma io aggia fa l’omm’, prussurè. L’omm’!