Il 13 agosto 1840, un umile imprenditore di Bardonecchia, Giuseppe Francesco Medail, dopo aver esaminato ogni passo le sue montagne, d’estate e d’inverno, studiando i vari ostacoli sia dalla parte italiana come in quella francese, dopo aver misurato che Bardonecchia e Modane erano allo stesso livello, e che l’interposto monte Freius era il più stretto fra tutti i monti, inviò un memoriale a Torino, esponendo il suo pensiero prima ancora della progettata costruzione del Passo stradale del Moncenisio e della ferrovia Torino-Susa. Non ebbe risposta. Ne inviò un altro all’inizio del 1841, ma ebbe lo stesso poco fortunato esito. Il suo era un progetto audace e avveniristico e nel preambolo della sua relazione diceva: “Per migliorare la strada da Torino a Chambery e renderla tale da rivaleggiare in qualunque stagione con quella dei nostri vicini, conviene abbandonare la strada del Cenisio e forare le Alpi del tratto più breve, cioè sotto il monte Frejus, fra Bardonecchia e Modane”.
Questo “tratto più breve” dell’audace progetto misurava circa 13 chilometri. Una follia per quei tempi, senza le moderne perforatrici . Il progetto non toccò neppur l’onore di una discussione, sicché fu sepolto negli archivi di Stato. Medail chiuse gli occhi a Susa il 5 novembre 1844 e non ebbe la soddisfazione di veder presa in considerazione il suo progetto.
Il suo progetto, che dopo l’esilio e la morte di Carlo Alberto, passò di mano in mano con tante paternità; ma la più originale fu quella dell’ing. milanese Giovan Battista Piatti che (dopo essere stato a Londra a curiosare) il 12 febbraio 1853 su quell’audace progetto di Medail, concepì in concreto un doppio disegno: come affrontare l’immane opera di scavo basandosi sull’applicazione dell’aria compressa. “Proposta per la strada ferrata fra Susa e Modane di un nuovo sistema di propulsione ad aria compressa da motori idraulici, e abbozzo di progetto per il traforamento delle Alpi”. Era un opuscolo stampato a Torino dalla tipografia Castellazzi e Garretti. Anche questo progetto passò di mano, anche perchè Piatti non l’aveva brevettato, nè aveva gli agganci giusti dentro il governo Sabaudo. Il 15 gennaio 1854, tre ingegneri (Sommeiller, Grandis, Grattoni) su quel progetto chiesero il brevetto d’invenzione e lo proposero al ministero dei lavori pubblici. A un anno esatto dall’opuscolo di Piatti (arma vincente nella ciclopica perforazione).
A parte la diatriba sulla priorità, il “progetto” dei tre ingegneri giunse finalmente in Parlamento il 29 giugno 1857. La grande opera fu approvata con 98 voti favorevoli contro 18 avversi. Il 31 agosto 1857 Vittorio Emanuele inaugurava i lavori col dar fuoco alla prima mina alla galleria di Modane; il 14 novembre dello stesso anno dava fuoco a quella sul versante piemontese. Le perforatrici meccaniche non erano ancora state perfezionate, i lavori di scavo furono iniziati a mano, ma dopo cinque anni sia da una parte che dall’altra non si era andati oltre i 700 metri di galleria, e fatti tanti sacrifici di uomini e di denari. Ne rimanevano di metri 11.500 !! Qualcuno già disperava, perchè si stava procedendo a passo di formica. Ma poi arrivarono le nuove macchine (pneumatiche ad aria compressa, idropneumatiche, scalpelli meccanici con diamanti ecc.) i lavori ebbero una forte accelerazione e poterono esser compiuti in poco più di tredici anni. Si lavorò anche tutta la vigilia e tutta la mattina del Natale 1870. Questo perchè in una breve pausa nel versante italiano, a mezzogiorno della vigilia, si erano uditi dei rumori sordi e confusi; operai e tecnici si guardarono trepidanti tutti in faccia alla luce delle fiaccole, poi qualcuno azzardò: “non c’è dubbio, sono i minatori del versante opposto”. I lavori ripresero con maggior lena, lo scalpello affondò negli ultimi massi; poche ore dopo il governo riceveva questo telegramma:”Bardonecchia . Quattro ore e venticinque minuti. Lo scalpello ha forato l’ultimo diaframma di quattro metri e ci parliamo da una parte all’altra”.
L’errore di dislivello e di deviazione laterale risultò essere di pochi centimetri. Una meraviglia dell’ingegneria! Un opera audace, allora unica la mondo!
Sette mesi (1871) dopo il primo treno percorreva la lunghissima galleria di 12.233,55 metri del traforo del Cenisio. Lasciamo pure il merito agli ingegneri esecutori; ma Carlo Cattaneo affermò che il traforo del Cenisio si doveva specialmente “a un lampo di genio di Giovan Battista Piatti“. Che pochi ricordarono né da vivo, né da morto. Morì ignorato nelle tribolazioni e povero. Solo Milano gli dedicò un monumento.
Torniamo al 1853. Impegnato su altre linee, il Governo piemontese affidò all’industria privata le linee da Genova a Voltri, da Torino a Pinerolo, da Santhià a Biella. L’anno dopo (1854) quelle da Valenza a Casale e Vercelli; da Alessandria a Stradella con diramazione da Tortona a Novi. Nel 1856 quelle da Alessandria ad Acqui e da Chivasso a Ivrea; nel 1859 quelle da Torreberretti a Pavia e da Novara alla Cava d’Alzo sul Lago d’Orta. A una così intensa attività di uno Stato non tanto grande nè tanto ricco, contribuì efficacemente il ministro Paleocapa, che animò il Governo e i privati alle nuove imprese, e trattò e concluse quasi tutte le concessioni accennate sopra. Di modo che il Piemonte in pochi anni formò una rete ferroviaria che, oltre alle interne comunicazioni, gli assicurava la congiunzione con le linee degli Stati limitrofi. A dire la verità, questi non sempre disponibili a congiungersi.
LE DICHIRAZIONI DEL SINDACO DI VADO LIGURE – In questi giorni, il sindaco di Vado Ligure Monica Giuliano, presente a
Torino per appoggiare il suo Si alla TAV: “Dobbiamo cominciare a ragionare in un’ottica un po’ più ampia e renderci conto del fatto che Liguria e Piemonte sono due regioni che insieme possono creare una rete di infrastrutture importante. In questo quadro dal punto di vista portuale, Vado diventerebbe l’anello di congiunzione per un traffico merci di levatura mondiale” “Mi auguro che non si arrivi al referendum, ma che ci sia un’azione di responsabilità da parte di chi ci governa” “Vado Ligure, Genova, La Spezia, siamo tutti anelli di una catena logistica e infrastrutturale di rilevanza mondiale. Non possiamo perdere un’occasione come la TAV”.
Questa presa di posizione per dire che tra pochi mesi, quando sarà inaugurato il nuovo Terminal container, il più automatizzato fra quelli realizzati finora in Italia, e che si avvia a diventare operativo. Il terminal container di Vado Ligure è una delle sfide maggiori della portualità italiana degli ultimi anni. La piattaforma è stata contestata almeno su due fronti, entrambi i quali sostengono che l’opera non serve: i comitati di cittadini temono un peggioramento delle condizioni di vita a Vado, mentre molti operatori portuali genovesi considerano che il terminal non genererà nuovo traffico, ma ne sottrarrà alle banchine della Lanterna.
Apm invece sostiene che porterà a Savona circa 1 milione di teu a regime conquistando anche nuovi mercati, di Baviera, Svizzera, Austria e Francia. Per ottenere questo risultato la società terminalistica del gruppo danese punta sull’utilizzo della ferrovia.
Da Savona partiranno treni lunghi 450 metri che collegheranno il terminal con gli interporti dell’Italia settentrionale. Lo scalo savonese diventerà uno di quelli con maggiore attività intermodale mare-ferrovia. L’obiettivo è il 40 per cento del traffico totale movimentato su treno, un dato paragonabile o superiore a quello degli scali che oggi in Italia hanno maggiore traffico ferroviario, ossia Trieste e La Spezia.
Un punto su cui il terminal si sta muovendo è quello dell’occupazione. Già oggi la piattaforma fa lavorare 142 persone per l’attività dell’ex Terminal Reefer, su un’area di 37 mila metri quadrati dove si muovono circa 600 mila pallet di frutta fresca all’anno, generando un traffico di 70 camion al giorno. In futuro, grazie anche alla presenza nella compagine societaria della cinese Cosco, verrà sviluppato, accanto al traffico principale dei container, quello dei carichi eccezionali. Il piano di assunzioni prevede, in aggiunta ai lavoratori del Terminal Reefer, 237 lavoratori in una prima fase, che saliranno a 309 con l’entrata in servizio del terminal, nel marzo 2019, per diventare quattrocento con la piattaforma a regime, dal 2020, quando sarà pienamente operativa la capacità di 1,1 milioni di teu.
Nel quadro delle future assunzioni, il terminal si è impegnato ad assorbire almeno metà dei quaranta partecipanti al corso di formazione per operatori di terminal portuali, organizzato da Is.for.coop e che fa parte del programma di iniziative avviate dalla Regione Liguria nell’ambito del programma “Blue economy”, le cui iscrizioni sono ancora aperte fino al prossimo 12 gennaio 2018. Il corso, gratuito e della durata di 600 ore, è rivolto a 40 disoccupati, giovani e adulti, in possesso di qualifica triennale, diploma di scuola secondaria superiore o laurea, conseguita sia con il vecchio che col nuovo ordinamento universitario.
Per evitare un traffico di 70 camion al giorno e permettere che i teu e relativi camion portatori dei teu, provenienti dalla Baviera, Svizzera, Austria e Francia, arrivino a Vado, senza intasare l’Aurelia bis e senza “vomitare” fumi di idrocarburi dai tubi di scappamento dei vari mezzi di trasporto [camion] quali monossido di Carbonio (CO), idrocarburi non combusti (HC), Ossidi di azoto (NOx), Ossidi di Zolfo (SOx) e di Particolato carbonioso (PMx).
Il primo tende a stratificarsi al suolo mettendo maggiormente a rischio le vie respiratorie dei più piccoli (umani o animali che siano). – per il secondo il problema più grave sta nel fatto che alcuni composti a base di idrocarburi sono cancerogeni. – per il terzo, sono presenti affezioni dell’apparato respiratorio aggravando significativamente le condizioni delle persone affette da asma. L’esposizione, anche per soli per 15 minuti, a concentrazioni di NOx maggiori di 5 ppm determina tosse persistente e irritazione delle mucose delle vie aeree. – un’esposizione prolungata a concentrazioni anche minime può comportare faringiti, affaticamento e disturbi a carico dell’apparato sensoriale. – infine il particolato le cui particelle più pericolose per la salute umana sono quelle comprese fra 0.5 e 10 μm di diametro (corrispondenti alla cosiddetta frazione respirabile del PM10), che determinano patologie acute e croniche a carico dell’apparato respiratorio (asma, bronchiti, allergia, tumori) e cardio-circolatorio (aggravamento dei sintomi cardiaci nei soggetti predisposti), è il trasporto su vagoni ferroviari a pianale ribassato.
Da Trucioli ANNO VI, NUMERO 24 DEL 22 FEBBRAIO 2018 – Da almeno un decennio nei paesi oltre confine, in Svizzera in particolare, il trasporto merci avviene ovvero attraverso la così detta: autostrada viaggiante o anche denominata autostrada ferroviaria (è diffuso anche il termine “RoLa” acronimo del termine tedesco Rollende Landstrasse), è una forma di trasporto combinato che coinvolge il trasporto di camion su treni merci. A differenza del trasporto intermodale, l’autostrada viaggiante permette una maggiore velocità, andando a diminuire i tempi del trasporto dai camion ai treni e viceversa. Sono utilizzati speciali carri ferroviari, ovvero carri su di un pianale monoblocco con ruote di piccolo diametro che possono fornire una pista transitabile lungo l’intera lunghezza del treno nei casi di carico e scarico. A bordo di un’autostrada viaggiante, gli autisti dei camion sono alloggiati in una vettura con i sedili o letti. Ad entrambe le estremità del collegamento ferroviario sono costruiti appositi terminali che consentono un facile carico e scarico della merce dal treno.
In Liguria si potrebbero creare le autostrade viaggianti solo da Genova e verso le Regioni più prossime: Emilia Romagna, Toscana e Lombardia; mentre, su tutta la tratta ligure occidentale, la tratta da e verso il Piemonte e la tratta da e verso la Francia, nonché la Spagna, ringraziamo il Governo Centrale che con la sua Alta Sensibilità ai problemi dei Trasporti, preferisce piangere a qualche funerale in più piuttosto che raddoppiare la linea ferroviaria da Genova a Ventimiglia e Nice e permettere, finalmente, a decongestionare il traffico merci autostradale sia sull’A10 e sia sulla S.S. N° 1 Aurelia.
Stessa sorte per il Piemonte nonostante interventi mitigatori sul vecchio tracciato del Frejus e milioni di € spesi per gli adeguamenti delle sagome limite di transito per i carri, l’attuale galleria ferroviaria del Frejus sarà fuori legge. Non a norma con le regole italiane e nemmeno con quelle comunitarie. «Una carrareccia », la definiscono i tecnici che hanno studiando il dossier. Un approfondimento molto delicato perché riguarda la sicurezza nel valico ferroviario più antico delle Alpi. E da quanto sta emergendo in queste settimane è chiaro che la galleria attuale non ha più le caratteristiche di sicurezza previste dalle leggi.
Il documento che non lascia scampo è il decreto del ministero delle infrastrutture del 28 ottobre 2005 intitolato «Sicurezza nelle gallerie ferroviarie». Spiega che nei tunnel a una sola canna di lunghezza superiore ai 1.000 metri (quello del Frejus è di 13.657) è obbligatorio «entro 15 anni dall’entrata in vigore della legge» avere una «finestra di accesso carrabile ogni 4 chilometri circa». I 15 anni scadono tra quattro anni, cioè nel 2020. L’attuale galleria del Frejus di uscite di sicurezza non ne ha alcuna. Così come è priva di un impianto di ventilazione, decisivo nel caso di un incendio che sviluppi fumi tossici. Le bocchette antincendio, previste dal decreto ogni 125 metri, sono state realizzate in occasione dei recenti lavori di ammodernamento della galleria. Che non hanno consentito però di superare alcuni pesanti limiti tecnici. Come l’esistenza di una sola canna, ciò che impone già oggi il transito alternato di treni merci e treni passeggeri per evitare rischi di incidente.
Se la normativa italiana già decreta, nei fatti, la morte a fine decennio della galleria realizzata da Cavour nel 1871, la normativa europea del 2008 è ancora più restrittiva. Perché la Sti, il documento del 2008 sulle specifiche tecniche di interoperabilità sulle linee continentali abbassa a un chilometro la distanza massima tra le uscite di sicurezza delle gallerie. E stabilisce che quelle uscite di emergenza debbano essere raggiungibili dai mezzi di soccorso e dunque debbano essere larghe non meno di 2,25 metri.
LA GALLERIA BARDONECCHIA – MODANE E’ NUOVA MA VECCHIA – Che la galleria tra Bardonecchia e Modane sia totalmente sprovvista di tutto ciò è del tutto comprensibile. Costruita 150 anni fa non aveva certo le caratteristiche di un moderno tunnel di base. Il problema è che con le norme in vigore oggi andrebbe semplicemente chiusa. I lavori di ammodernamento durati undici anni, tra il 2003 e il 2011, non sono serviti a risolvere i limiti strutturali dell’opera. È stata adattata la sagoma della vecchia galleria per consentire il passaggio di alcuni tipi di carri merci di nuova generazione, è stato ammodernato l’impianto anticendio ma non è stato realizzato un moderno impianto di ventilazione. I problemi della vecchia galleria tra Bardonecchia e Modane si ripropongono, in alcuni casi aggravati, anche per le gallerie che attraversano la destra orografica della val di Susa e che, complessivamente, sono lunghe 27 chilometri, più del doppio del traforo internazionale. La tratta Torino- Bardonecchia è rimasta a binario unico fino al 1984 tra le stazioni di Bussoleno e Salbertrand. Da poco più di trent’anni è stata raddoppiata affiancando al vecchio tracciato un nuovo percorso. In tutto ci sono sette gallerie di lunghezza compresa tra uno e cinque chilometri ma nessuna ha vie di fuga e solo una ha un impianto antincendio.
Difficile immaginare che la questione della sicurezza della linea storica della val di Susa rimanga a lungo in secondo piano. È evidente che le Ferrovie non hanno interesse ad accendere i riflettori su una questione spinosa. Ma è altrettanto chiaro che i vertici della società ferroviaria italiana sono da tempo a conoscenza delle criticità. E anche del fatto che la data del 2020 si avvicina. Sarà impossibile, tra due anni, avere in funzione la nuova linea ad alta velocità. Ma è certo che non si potrà rimanere con una galleria fuori legge e senza alcuna prospettiva.
Sulla autostrada del Frejus A32 ci sarà un aumento di camion porta container, ma sulle statali che scendono e dal Moncenisio e dal Monginevro il cui percorso è un susseguirsi di brevi rettilinei e innumerevoli tornanti, strettoie e strapiombi, per non parlare degli attraversamenti di Frazioni e Paesi, non tutti dotati di circonvallazioni, con tratti di attraversamento la cui sezione è “a filo” muri abitazioni, ci sarà “ridere” meglio da “piangere”, ed intanto i fumi di idrocarburi dei tubi di scappamento dei vari mezzi di trasporto, regalano “salute” a turisti e valligiani.
Alesben B.