“(…) Perché la società progredisca verso quella o qualsiasi altra meta deve realizzare una condizione. Essa non può essere un mostro titanico, una bestia di tre tonnellate di corpo e due etti di cervello. Non deve orientare il suo sforzo principale al prodotto finale ordinario del tenore di vita, ma al prodotto finale generale degli strumenti culturali. Non deve vantarsi del suo sviluppo estensivo, di aggiungere industria a industria e di nutrire l’anima dell’uomo con un’abbondante richiesta di lavoro. Deve vantarsi del suo sviluppo intensivo, dello sviluppo intensivo puro che aumenta il tempo libero globale, che aumenta la piena libertà di molti e in maniera crescente quella di tutti per il campo delle attività culturali.
Non deve vantarsi della scienza per il fatto che la scienza gli riempie la pancia. Non deve appiccicare il naso a un solo corso di questo o quel dipartimento. Deve sollevare di più lo sguardo e sempre di più verso i campi più generali e difficili della ricerca speculativa, perché è da essi che deve derivare la delicata composizione di unità e di libertà, in cui soltanto il progresso può nascere, lottare e vincere. L’unità senza libertà è facile: mettete su un dittatore e dategli una polizia segreta. La libertà senza unità è facile: lasciate che ogni asino si vanti al sole di una stupida adulazione. Ma unità e libertà insieme: questo è il problema. Richiede disciplina di mente e volontà: un’acutezza di apprendimento che non sia vincolata a questa o quella routine provinciale di idee familiari, e che non abbia ancora ceduto allo scetticismo amorfo; una vivacità di risposta alle situazioni che sappia riconoscere quando i vecchi giochi sono superati, che sappia sacrificare i vantaggi della realizzazione passata, che sappia ricominciare da capo senza amarezza, che sappia dare il proprio contributo senza anticipare dividendi all’amor proprio e al proprio tornaconto.
Il punto è evidente: una burocrazia può imitare ma non può creare, poiché lo spirito soffia dove vuole, e tutte le nuove idee sono considerate assurde sino a che il contrario non venga dimostrato dall’iniziativa individuale, adattata all’immaginazione creativa, portata avanti con il rischio personale. Il caos può creare, ma esso crea di tutto: esso pensa a gas velenosi come ad anestetici e li usa entrambi; esso inventa meccanismi finanziari che promuovono brillanti espansioni ma patiscono incomprensibili recessioni; costruisce la ricchezza delle città e le loro periferie; inveisce contro il male, però deve gettare ogni civilizzazione nel calderone dell’esperimento prima di poter discernere se un’altra novità meriterà una benedizione o una maledizione; fiacca la mente con una Babele di contraddizioni e lascia la volontà preda del capriccio e del fanatismo. Per concludere: tutte le funzioni dei ritmi primario e secondario sono parti integranti del processo universale.
Questo non consiste soltanto nell’ampliamento, nell’intensificazione per un maggiore ampliamento ed entrambi per avere piaceri e svaghi più economici. Il progresso e l’intensificazione culturale che restituiscono l’uomo al tempo libero e alle attività culturali sono anch’essi parti essenziali – parti troppo facilmente trascurate – del ritmo mondiale delle trasformazioni economiche. Né sarà sufficiente avere qualche massimo fattore culturale comune, come accettare le scienze fisiche ma senza preoccuparsi della loro superiore integrazione, con la scusa che questa è troppo difficile, troppo oscura, troppo indefinita, troppo remota. Questo era l’atteggiamento del mostro titanico nei confronti dell’ingegno, ma quel mostro è ormai estinto.” (Bernard Lonergan, Studi di economia, ed. Città Nuova, 2013, pp. 54-56).
Bisognerebbe pensare al fattore “tempo libero”, prima ancora che al lavoro in un certo senso, come indica bene il Codice di Camaldoli. Se siamo destinati ad essere cibo per vermi e nulla più tanto vale implementare il “produci consuma crepa”. Altrimenti il fine più alto è arte religione famiglia contemplazione del vero del bello del buono, mistica, divinizzazione supernaturalizzazione dell’uomo e l’economia a misura d’uomo che ne consegue. Si vive per lavorare o si lavora per vivere? O si vive e lavora per qualcos’altro? Incrementare le virtù: per questo tutto serve e c’è sempre un di più. L’azione più nobile? Il dono di sé. Gratuito. La virtù che vale di più? L’amore. Pensiamo al no profit, al volontariato (ove l’Italia è campione mondiale!), all’economia del gratuito; pensiamo alla società del gratuito (come la definiva don Oreste Benzi) in contrapposizione alla società del profitto. E non dimentichiamoci mai, come orizzonte di lavoro e di speranza certissima, che il massimo profitto economico si ha nella “società di santi” e che un’economia perfettamente (fisiologicamente) funzionante si ha solo in un contesto globale di civiltà cristiana (cfr. Giuseppe Toniolo), più o meno esplicita. Il futuro è il privato sociale: solidarietà e sussidiarietà orizzontale e verticale.
Il futuro è l’impresa responsabile, il futuro sta in un progetto di democrazia planetaria ove i potentati finanziari delle corporations et similia possano trovare un argine sufficiente al loro strapotere sulle e nelle singole nazioni. Serve un nuovo ordine mondiale, res publica “catholica”, cioè “universale”, ovvero quella che il Papa chiama globalizzazione del poliedro in contrapposizione alla globalizzazione della sfera. Penso che occorra andare verso la “terza fase” di cui parlava Aldo Moro, ovvero verso una democrazia compiuta…e i dieci segreti di Medjugorje ci verranno incontro a completare il lavoro.
Gianluca Valpondi