Il 2 novembre 2012 la notizia della morte. Da Wikipedia: Renzo Mantero (Porto Venere, 11 febbraio 1930 – Pietra Ligure, 1º novembre 2012) è stato un medico, chirurgo e scrittore. Dopo gli studi liceali (Liceo Scientifico Antonio Pacinotti – La Spezia), frequenta l’Università di Genova. Si laurea in medicina e chirurgia nel 1959, nel 1962 si specializza in ortopedia e traumatologia. Mantero ha operato più di 30 mila mani. È considerato il luminare della chirurgia della mano nel panorama italiano e internazionale. Portano il suo nome 15 tecniche operatorie, 18 strumenti chirurgici, 200 pubblicazioni. Ha rimesso a posto le mani di sportivi (la campionessa di scherma Dorina Vaccaroni), di musicisti (il violinista Cogan), di operai infortunati, di bambini malformati. È scomparso a 82 anni per un ictus. Massone, fu membro della loggia Sabazia di Savona, appartenente al Grande Oriente d’Italia. Tra i suoi studi ricerche sugli aspetti medici nella Divina Commedia e nella peste manzoniana, sulla simbologia della mano nella cultura cristiana e demoniaca, sulle mani nell’opera di Verga, Mastro don Gesualdo, di Pablo Neruda e di Pirandello.
di Gianfranco Barcella
Il prof. Renzo Mantero, chirurgo della mano, uomo dal molteplice ingegno, di profonda dottrina, capace di un’attività scientifica eccezionale, oggetto di rispetto e ammirazione della comunità scientifica internazionale, non deve essere dimenticato proprio dai Savonesi. E pensare che per tutta la sua vita <ù prufessù> ha dimostrato un attaccamento profondo alla città di Savona (pur savonese di adozione) dove ha esercitato la sua attività di chirurgo, di ricercatore scientifico, di docente e di divulgatore culturale, con grande capacità di interazione con la società tutta. Possiamo affermare senza tema di smentita e forse con un briciolo di retorica che è stato un vero e proprio < profeta della mano>.
Alcuni forse non hanno gradito, la limpidità del suo stile di vita, caratterizzato da un’attività eccezionale, frutto di una tempra forte che aborriva l’ipocrisia, pur incastonata in un corpo minuto. In sintesi potremmo affermare, come sosteneva Sandro Pertini, un altro illustre savonese che aveva un carattere non facile perché era un uomo di carattere. Ho attribuito, non a caso, al prof. Mantero l’appellativo di savonese di adozione perché era nato a Portovenere nel febbraio del 1930 e come tutta la gente di mare amava le sfide valicando i confini che limitassero il suo agire. Desiderava esplorare l’ignoto con lo spirito dell’uomo rinascimentale. La sua filosofia di vita è ben espressa dai versi di Neruda, tratti dalla lirica: <La nave>: “Tutti eravamo nati da una donna e da un uomo/. Tutti avevamo fame e subito denti/. A noi tutti crebbero le mani e gli occhi per lavorare e desiderare ciò che esiste”/.
I paleontologi hanno acclarato inoltre che da quando l’uomo ha raggiunto la postura eretta e ha liberato le mani dalla funzione motoria, proprio attraverso gli arti superiori ha sviluppato le opere dell’ingegno e le facoltà cognitive; questo processo si è accresciuto in modo esponenziale con l’uso del pollice opponibile. Non ha caso il Nostro era solito ripetere con mirabile sintesi: “Le mani sono state la nostra intelligenza primordiale” . E sono diventate il motore della sua irrinunciabile vocazione di vita.
Il padre desiderava che diventasse capitano di lungo corso ed il suo destino era quello di solcare gli oceani per seguire la rotta tracciata del suo avo che navigava. Così scelse il mare e frequentò per tre anni l’Istituto nautico. Un brutto giorno, un destino totalmente diverso, bussò alla sua porta. Era il tempo di guerra. Durante un bombardamento a La Spezia, non riuscì a raggiungere in tempo un rifugio e si riparò nel primo portone utile per avere un minimo riparo. La casa crollò e rimase prigioniero sotto le macerie, per fortuna incolume. Sentiva intorno urla disumane finché lo raggiunse una voce rassicurante: “C’è qualcuno, lì sotto?” Ebbe la prontezza di orientare i soccorritori che lo liberarono dai calcinacci. Dovette calpestare un tappeto di cadaveri, vittime di una sorte ben più crudele di quella che era toccata a lui. Fu colpito in particolare dal cadavere di una donna con i visceri che traboccavano dalla pelle e la borsetta posata sullo squarcio sanguinante. Fu folgorato da quella visione orribile ma non turbato. Durante il cammino verso casa, a Porto Venere, un cammino di tredici chilometri ebbe modo di ripensare più volte a quello che aveva visto, mentre dal petto gli sgorgava il desiderio di poter fare qualcosa per lenire quelle atroci sofferenze. Doveva acquisire le competenze necessarie per prendersi cura del suo prossimo ed iniziò da subito a documentarsi.
Appena giunto a casa andò a cercare un libro di anatomia per artisti nello studio del nonno che faceva il restauratore ed amava profondamente l’arte. Doveva conoscere il corpo umano in ogni dettaglio per poter operare: così iniziò il suo percorso per diventare chirurgo. Quando confidò a suo padre la sua scelta, ricevette una risposta degna del vero educatore: “Ti ho forse ordinato io, di andare per mare?”
A ventiquattro anni era medico e assistente di un chirurgo, specializzato in chirurgia infantile, ma lo attendeva il servizio militare a Firenze. Sotto le armi ottenne il grado di sottotenente medico. Con una lettera di raccomandazione del nonno, gli fu concesso anche il permesso di seguire le lezioni d’arte all’Accademia di Belle Arti e lì incontrò grandi maestri tra i quali ricordiamo Pietro Annigoni che teneva lezioni di nudo e lo storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti con il quale strinse amicizia. In seguito lo studioso e politico di vaglia divenne un suo paziente perché venne operato ad entrambe le mani. Prima però rimase ammaliato dalle sue lezioni su Giotto, grazie alle quali ha imparato ad apprezzare l’arte come ricchezza di vita disciplina che ha sempre integrato la sua passione principe per la scienza medica.
Il caso volle che completasse il servizio militare a Savona. Già aveva conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia all’università di Genova e si era iscritto al corso di specializzazione in Chirurgia generale nel 1954 e aveva ripreso a respirare l’aria ligure. Per inciso, durante i corsi universitari aveva seguito per tre anni gli insegnamenti del professor Stroppeni, il direttore della Clinica Chirurgica dell’Università di Genova . Operava come aiuto il professor Francesco Soave, tra i primi in Italia a dedicarsi alla cardiochirurgia infantile. Quando quella promessa della Medicina andò ad esercitare la sua professione all’ospedale Gaslini di Genova, Mantero,ancora studente, l’ha seguito perché era interessato ad approfondire anche la sua disciplina. Nacque così un rapporto di stima reciproca che li ha legati per tutta la vita. Già da studente aveva dimostrato la sua brama di sapere che ha sempre connotato la sua vita fino all’ultimo dei suoi giorni.
A Savona, smessa la divisa militare ha continuato a frequentare come volontario il reparto di chirurgia generale, all’ospedale San Paolo tentando di sbarcare il lunario come medico generico. Come si suol dire <faceva le notti> al pronto soccorso, trascorrendo le <dodici ore di buio>, confrontandosi in prima persona con le patologie più varie e disparate e cercando di mettere a frutto ciò che di giorno apprendeva in corsia accanto ai suoi maestri. E’ stato un periodo della sua vita, dedicato completamente alla professione e gravato da grande solitudine. Terminata la specializzazione che allora durava cinque anni partecipò ad un concorso pubblico e fu assunto prima come incaricato e poi come assistente di Chirurgia Generale nel reparto diretto dal celebre Prof. Scalfi. Non trascurò di recarsi all’ospedale Rizzoli di Bologna per perfezionarsi nella branca della Traumatologia ed a Parigi per apprendere le tecniche di Chirurgia della Mano, ancora sconosciute in Italia. Da vero cultore della materia si preoccupò di divulgarla nel nostro Paese e fondò una scuola apprezzata nel mondo.
Sulla porta dello studio del suo primo maestro di Chirurgia della Mano, il professor Iselin di Parigi c’era un aforisma che fu cambiato per ben quattro volte, con cadenza decennale. Il primo recitava così: “La chirurgia della mano non esiste“. A distanza di dieci anni anni, comparve la seguente dicitura: “La chirurgia della mano esiste ma va perfezionata“. Trascorso un altro decennio tutti poterono leggere: “Ora bisogna diffonderla!” E per ultimo si dichiarò: “Bisogna perfezionarla!”. Questi proclami furono per Renzo Mantero la nota dominante di tutta la sua vita. Occorre solo precisare una postilla che aggiunse di suo pugno: “Non serve riparare una mano se non si conosce a chi appartiene né che cosa è abituato a fare”. E così ha dato <una grande mano al mondo>.
Gianfranco Barcella
QUANDO IL SECOLO XIX SAVONA LO DESIGNO’ ‘SAVONESE DELL’ANNO’