Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Dal cuneese incombe il tarlo nero
dopo il punteruolo, nuovo allarme in Liguria


Dopo la ‘peste delle palme’ (punteruolo rosso) che ha devastato le città rivierasche della Liguria di ponente, causando un danno ingente soprattutto al patrimonio arboreo comunale e alle casse pubbliche, un altro grosso rischio minaccia ed incombe dal confinante cuneese. In un mese sono stati già abbattuti 450 alberi, colpiti dal tarlo asiatico del fusto, insetto alieno originario della Cina, trovato a Madonna dell’Olmo di Cuneo a settembre. Il secondo focolaio del Piemonte, dopo la val Susa. Il coleottero non ha antagonisti in natura e fa marcire gli alberi in pochi anni erodendoli dall’interno. Scoperto per la prima volta in Europa, in campo aperto nel 2001, identificandolo come parassita soggetto a quarantena. Da allora vengono continuamente alla luce nuovi siti di infestazione. E senza dimenticare l’allarme  Xylella degli ulivi in Puglia.

Anoplophora glabripennis – Non c’è due senza tre è un proverbio della cultura popolare italiana, lo si trova simile anche in altre culture e lingue, come per esempio nell’inglese “good things come in threes, bad things come in threes“. L’idea alla base per gli eventi fortuiti è che se un evento della stessa sorte o natura si ripete almeno due volte, molto probabilmente si ripeterà ancora. La sua invocazione può essere speranzosa o pessimistica a seconda del contesto. In chiave ottimistica se l’evento è qualcosa in cui speravamo, ci si augura che possa continuare a verificarsi, per esempio: “Ho già vinto due volte… non c’è due senza tre!”, mentre in chiave pessimistica: “se qualcosa è andato male per due volte di seguito probabilmente andrà male anche una terza” (vedi per analogia il primo assioma della Legge di Murphy).

Dunque dopo il punteruolo rosso, il punteruolo nero, ora il tarlo nero maculato bianco, tutti provenienti dall’est asiatico [Cina], come il cimice marrone, quello che ha soppiantato il verde. Se la prevenzione verso il tarlo è simile alla prevenzione verso il punteruolo rosso, avremo una regione “pelata”: aceri e carpini sono le essenze che per il 50 % popolano i boschi immediatamente dopo la fascia costiera ligure.

Da “La Stampa” – “In un mese sono stati già abbattuti 450 alberi a Cuneo per il tarlo asiatico del fusto, insetto alieno originario della Cina trovato a Madonna dell’Olmo di Cuneo a settembre (il secondo focolaio del Piemonte, dopo la val Susa). Il coleottero non ha antagonisti in natura e fa marcire gli alberi in pochi anni erodendoli dall’interno. Il Comune di Cuneo in un comunicato stampa spiega: “In questa fase c’è stata una stretta collaborazione fra l’Ufficio verde pubblico del Comune e il settore Fitosanitario e gli operai forestali della Regione. I cittadini interessati finora dai tagli hanno collaborato con molta disponibilità nonostante i disagi delle operazioni. Tutto il materiale tagliato viene cippato e conferito ad una centrale a biomasse. Nei prossimi mesi continueranno anche i monitoraggi da parte del Settore Fitosanitario della Regione Piemonte in collaborazione con Ipla (Istituto Piante da Legno e Ambiente) ed i carabinieri forestali della Stazione di Cuneo”. In caso di “residui da potatura” in tutta l’area cuscinetto di due km di diametro imposta dall’Unione Europa (a Cuneo “copre” diverse frazioni e parte dell’Altipiano) viene “vietata la movimentazione, fuori dalla zona indicata nella mappa, del legname e dei residui di potatura di Aceri, Betulle, Carpini, Cercidiphyllum, Faggi, Frassini, Ippocastani, Koelreuteria, Olmi, Ontani, Pioppi, Platani, Salici e Tigli. I residui di potatura e di taglio, solo delle piante sopra elencate, potranno essere portati a Madonna dell’Olmo in via Chiri dove, da inizio dicembre, è presente un’area di stoccaggio.Ancora: “Se, quando si taglia, si vedono tarlature o larve come quelle delle foto occorre avvisare il Settore Fitosanitario della Regione Piemonte: piemonte.fitosanitario@regione.piemonte.it – 011.4321473. Se non ci sono segni di tarlo asiatico si può utilizzare il legname per uso proprio solo all’interno della zona cuscinetto (area interna alla linea tratteggiata in bianco sulla planimetria) oppure portarlo nell’area di raccolta in Via Chiri a Madonna dell’Olmo“.

Il tarlo asiatico delle latifoglie in Europa – Alle scuole elementari la maestra ci ha insegnato che dal Piemonte alla Liguria si passava per il Colle di Cadibona. Dalla “Granda” alla Liguria, il tragitto è più breve; basta passare dal Colle di Tenda. Per gli insetti il percorso è ancora più breve: volano. Questo insetto particolarmente pericoloso, che non ha antagonisti in natura, è stato reperito per la prima volta in Europa in campo aperto nel 2001, identificandolo come parassita soggetto a quarantena. Da allora vengono continuamente scoperti nuovi siti di infestazione. Il ricercato speciale, è un insetto bellissimo. Il suo elegante manto nero costellato qua e là di macchie bianche e azzurre e le sue lunghe antenne meritano di essere guardati nella fotografia stampata sui fogli. Peccato che sia a dir poco terribile. Questa specie invasiva di coleottero viene introdotta prevalentemente tramite palette di legno, casse da imballaggio contenenti granito proveniente dalla Cina e Bonsai. Il coleottero è in grado di deporre le sue uova solamente nel legno vivo, mentre il completamento del suo sviluppo può avvenire anche all’interno in tavole di legno segato; questo tarlo è lungo in tutto 3 centimetri.Un trattamento termico degli imballaggi di legno correttamente eseguito impedirebbe lo sviluppo del coleottero durante la spedizione o nel Paese di destinazione. Purtroppo, anche se provviste del timbro di certificazione corrispondente, il trattamento termico degli imballaggi è spesso assente, oppure non è stato eseguito in profondità.

Il tarlo (o cerambice) asiatico del fusto (Anoplophora glabripennis) identificato dalla sigla inglese ALB (= Asian Longhorned Beetle) infesta diverse specie di latifoglie native – anche alberi perfettamente sani – che possono essere uccisi nel giro di pochi anni. Le sue larve, provenienti da semine composte da circa 70 uova deposte singolarmente nell’arco di uno o due mesi, si annidano nel tronco e danno origine a insetti adulti che fuoriescono dagli alberi aprendosi con le mandibole fori rotondi e ben visibili nella corteccia: una volta liberi nell’ambiente compiono brevi voli che fanno aumentare di molte centinaia di metri il loro dominio ogni anno. Il rischio che il loro ciclo di vita fa correre a produzioni, foreste e giardini pubblici e privati, è elevatissimo. Solo in Lombardia le aree sottoposte a misure fitosanitarie ammontano a 400 chilometri quadrati e più di 18 mila alberi sono stati abbattuti dal 2001 a oggi: l’Ersaf, l’ente Regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste, ha monitorato nell’ultimo triennio circa 2,5 milioni di piante. Per non parlare degli investimenti finanziari messi in gioco che si aggirano su un’infinità di milioni.

Per un decreto ministeriale del 2007 gli alti fusti infestati dal tarlo devono essere infatti distrutti: la pianta si sradica e tronco e ceppaia sotto il suolo vengono ridotti a pezzetti, o meglio sbriciolati. Ma non solo. La stessa fine devono farla anche gli alberi apparentemente sani e quindi non «sintomatici» posti nel raggio di 20 metri da quella colpita dal tarlo. Eliminare le piante cosidette sensibili all’insetto, le latifoglie in genere come per esempio ontani, aceri, carpini, pioppi, rose e betulle per riqualificare l’ambiente con alberi inattaccabili quali per esempio le conifere, le acacie[] e le robinie: è questo a tutt’oggi l’approccio utilizzato per contrastare l’avanzata del tarlo asiatico. «Di questo passo non solo si è destinati a continuare a spendere un’infinità di denaro, ma non si risolve il problema alla base e si modifica la biodiversità dell’ambiente nonché la visione d’insieme del paesaggio», commenta Mario Colombo del dipartimento di Protezione dei sistemi agroalimentare e urbano e valorizzazione della biodiversità dell’Università degli studi di Milano.

La Robinia pseudoacacia è una pianta della famiglia delle Fabaceae. La caratteristica comune a tutte le specie della famiglia delle Fabaceae è la presenza del legume o baccello; un frutto della pianta, formato un carpello che racchiude i semi. Giunto a maturità il baccello si apre in corrispondenza delle due suture, dorsale e ventrale, rilasciando i semi. La specie è originaria dell’America del Nord, precisamente della zona degli Appalachi, dove forma boschi puri. Il nome Robinia deriva da Jean e Vespasien Robin (padre e figlio), giardinieri del “Jardin du Roi” a Parigi a cui furono attribuiti primi riferimenti a questa specie di pianta. Fu Linneo a dedicare loro il nome della pianta. “Questa pianta in Europa è ormai ampiamente naturalizzata ma spesso ancora considerata una specie infestante a causa della sua velocità di crescita, soprattutto se ceduata: i ricacci (polloni), che fuoriescono sia dalla ceppaia che dal suo esteso apparato radicale, crescono molto velocemente e soffocano le piante di specie autoctone [], soprattutto le querce, in quanto sono caratterizzate da una crescita piú lenta.

Sono vaste aree della pianura Padana, dove spesso essa ha sostituito i pioppi e i salici autoctoni che crescevano lungo le rive dei fiumi. Come detto, i boschi di robinia impediscono la crescita al loro interno di molti tipi di flora e funghi del sottobosco, che crescerebbero invece in foreste costituite da altri alberi autoctoni come querce, faggi, castani ecc. Possono dunque comportare una diminuzione della biodiversità. Una volta appurato che in un particolare ambiente la presenza della robinia rappresenti un effettivo elemento di disturbo per la vegetazione autoctona, si pone il problema del controllo della sua diffusione. Per ridurre la sua presenza all’interno dei boschi nei quali si è insediata, è necessario lasciare invecchiare le piante, in quanto la relativamente modesta longevità della specie determina un deperimento relativamente precoce delle piante.

È importante ricordare che, in ambienti naturali integri, la robinia non si comporta come specie invasiva, come quando la sua presenza rimane limitata ai bordi delle strade e ai viali e ai giardini dove è stata appositamente piantata e non si ritrova nei boschi. In questi casi, a trecentocinquant’anni dalla sua introduzione, può ormai essere considerata come entità integrante della flora italiana ed è da considerarsi alla stregua di altri alberi introdotti nei secoli passati e poi acclimatatisi, apprezzabili per le loro qualità. Indispensabile una lotta coerente e conseguente Il tarlo asiatico delle latifoglie è un organismo soggetto a obbligo di notifica e deve pertanto essere combattuto in modo coerente e conseguente. Tutti i dati raccolti in Europa sono segnalati alla EPPO (European and Mediterranean Plant Protection Organization). L’EPPO è l’ente, costituito nel 1951, incaricato della cooperazione europea (comprendente 50 paesi) in materia di protezione delle piante a livello europeo e mediterraneo.

In Europa sono otto le infestazioni che sono state completamente estirpate. Tutte le altre sono tuttora in fase di monitoraggio.Solo quando in un sito infestato non viene osservato più nessun insetto o sintomo durante almeno 2 generazioni, l’infestazione può essere considerata come debellata. In regioni nelle quali il periodo di sviluppo è più esteso a causa della stagione vegetativa prolungata oppure se gli stadi di sviluppo risultano essere maggiormente dispersi, il termine per dichiarare debellata una infestazione può essere anche prolungato a 3 generazioni prive di sintomi.

Il monitoraggio viene svolto visivamente tramite specialisti istruiti che si arrampicano sugli alberi ed è inoltre supportato in alcuni casi di infestazione da team con cani segugi appositamente addestrati, o di rilevatori elettronici di rumori, capaci di rilevare le rosicature apportate dalle larve al legno delle piante infestate.  I ricercatori determinano i coleotteri, le larve, le pupe o le uova rinvenuti, così come i relativi sintomi. A volte, per identificare in modo inequivocabile, sui reperti si eseguono della analisi del DNA. La lotta chimica e l’uso di insetti parassitoidi possono trovare una loro giustificazione, ma il taglio e la distruzione delle piante colpite resta lo strumento più efficace per il contenimento dell’espansione del coleottero.

La chimica in questo caso può controllare la situazione in occasioni eccezionali. In tal senso si sta sperimentando al Parco delle cave di Milano un insetticida che, applicato sull’ultimo metro di tronco partendo dalle radici, agisce sulle larve appena fuoriuscite, cioè sul tarlo nel momento in cui diventa adulto. L’approccio scientifico più efficace resta comunque quello biologico, promosso anche dalla Regione Lombardia, che consente la convivenza dell’insetto alieno con le specie nostrane in un equilibrio accettabile per l’ambiente. Su 7-9 specie in grado di controllare il ciclo di vita del tarlo asiatico, i ricercatori ne hanno individuato uno capace di parassitare le sue uova. Un centro americano e uno francese sono già capaci di allevarlo. «Ora tocca a noi, ma per farlo occorre costruire una “serra di quarantena”: lo studio dell’insetto “buono” non può infatti prescindere dalla riproduzione dell’insetto “cattivo”», dice Mario Colombo. I vantaggi del metodo biologico sono innumerevoli. La sua applicazione abbasserebbe la popolazione infestante da mille a cento esemplari pur non facendo scomparire il tarlo asiatico dalle nostre terre, durerebbe nel tempo e ridurrebbe i costi del 99 per cento.

Oltre che in Montenegro. Austria, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Gran Bretagna e Finlandia, in Italia il tarlo asiatico è stato rinvenuto per la prima volta nel 2007 in Lombardia. In seguito la sua presenza è stata segnalato in altre tre Regioni: Veneto, Marche e Piemonte.

Regione Lombardia: Nel giugno del 2007, il coleottero invasivo è stato scoperto a Corbetta, in un giardino privato. Un acero e tre betulle presentavano i sintomi di infestazione. Nel marzo del 2010 sono stati ritrovati due aceri infestati a Vittuone. Nel 2011 e nel 2012 qui non sono più stati osservati i sintomi di un attacco.  Nel 2013 si sono trovati due aceri infestati a Sedriano: si ritiene che l’infezione sia da ricondurre a una azienda che in passato sul sito aveva lavorato con materiale di imballaggio.

Regione Veneto: Nel 2009 in un giardino a Cornuda è stato trovato un acero infestato da ALB, mentre nel 2010 si è trovato un gruppo di alberi infestato nel Comune di Maser.

Regione delle Marche: Nel meso di agosto 2013 sono stati osservati fori di sfarfallamento e ovideposizioni su un acero in un giardino privato a Grottazzolina.

Regione Piemonte: Nel 2018, in Piemonte, sono state scoperte due nuove infestazioni in campo aperto: In luglio a Vaie (provincia di Torino). Sono stati colpiti due aceri in un parco urbano, 23 aceri lungo una strada e un salice. Sui due alberi del parco, alti 12 m, sono stati trovati insetti adulti, larve, uova e fori da sfarfallamento, mentre sugli altri alberi, più piccoli, sono stati soprattutto osservate uova deposte. Misure di tipo fitosanitario sono state messe in atto immediatamente, utilizzando peraltro anche degli insetticidi.
Nel settembre 2018 sono stati scoperti quattro aceri infestati nella città di 
Cuneo (provincia di Cuneo). Anche in questo caso, le misure fitosanitarie sono state predisposte immediatamente. Per entrambe le infestazioni avvenute in campo aperto, le vie di introduzione di questi cerambici invasivi sono tuttora sconosciute.

Se la prevenzione verso il tarlo, come abbiamo detto, è simile alla prevenzione verso il punteruolo, avremo una regione “pelata” a macchia d’olio: aceri e carpini sono le essenze che per il 50 % popolano i boschi immediatamente dopo la fascia costiera ligure. Ma non ci saranno solo i boschi, anche le cittadine lungo la costa perderanno gran parte della flora delle loro “passeggiate”, avremo un paesaggio molto simile alle coste dell’Africa settentrionale, quella che si affaccia al mar Mediterraneo.

Alesben B.



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