Non poteva passare inosservata, pur nella valanga di ammissioni e rivelazioni clamorose, la frase a domanda risponde: “…Al porto di Savona abbiamo fatto arrivare tonnellate di droga…era un attracco sicuro…utilizzando le bananiere…cocaina nascosta anche sott’acqua….”. Almeno dal filmato trasmesso su Nove TV (vedi…..), inchieste giornalistiche di approfondimento (Kings of Crime), l’intervistatore- scrittore Roberto Saviano pare non approfondisca per sapere qualcosa di più. Ma forse potrebbe non essere così.
E’ difficile e inverosimile credere che il ‘pentito di mafia’ per due decenni (tra gli anni ’80 e 90) incontrastato ‘re della mala’ in Veneto, autore di rapine clamorose, evasioni, condannato per 7 omicidi, non abbia confessato qualcosa di più sul ‘porto franco’ di Savona – Vado Ligure. Perchè era stato scelto e con quale sicurezza affidavano i loro traffici nello scalo dove pure non sono mancati sequestri di droga anche ingenti. Maniero si è dilungato sul sistema corruzione messo in campo nel carcere e fuori dal carcere. Non ha neppure rivelato, sempre seguendo la trasmissione, con quali mezzi le partite di droga raggiungevano, via strada, le destinazioni principali del Nord, del Sud e in mezza Europa.
A seguire il suo discorso nel business miliardario, quello che è la prima fonte di arricchimento delle organizzazioni mafiose italiane, non sono mancate le infiltrazioni in gangli dello Stato. Non solo per fuggire dal carcere (in un caso pagando 500 milioni di lire ad un capo guardie), ma anche corrompere investigatori infedeli (almeno due che percepivano 5 milioni al mese per passare notizie sulle indagini di polizia giudiziaria) della squadra mobile veneta e dei Ros di Padova, mentre a un giudice dice di aver versato una mazzetta da 20 milioni di lire. E ancora, la banda non aveva bisogno di rivolgersi al mondo politico di cui non si fidava e non era il caso, semmai era più utile affidarsi ai servizi segreti, ovviamente con ingenti somme. In un altro passo ha spiegato che ogni tanto bisognava fare qualche ‘favore’ agli inquirenti facendo sequestrare partite di droga o catturare qualche frillo.
Lascia increduli comunque, e pare corretto chiarire che nessun inquirente o magistrato savonese risulta chiamato in causa, ascoltare che l’unica base utilizzata, in tanti anni, è stata Savona. Non ha citato altri porti di ‘sbarco’, Genova ad esempio. Un interrogativo su possibili complicità savonesi era già emerso durante una delle tante indagini, arresti pochi e sequestri (sull’archivio stampa ne troviamo 8, con un paio di falsi allarmi o soffiate andate a male). In almeno un paio di circostanze la magistratura aveva disposto perquisizioni in abitazioni ed uffici di insospettabili che avevano a che fare con Porto Vado, gravitavano nel commercio e trasporto di frutta esotica via mare. Aleggiava anche il sospetto, a quanto pare senza possibilità di riscontri, di qualche arricchimento facile, non parliamo di milioni, ma miliardi, vere e proprie fortune.
Chissà se Felice Maniero, dopo i benefici di legge e 17 anni di carcere effettivo, libero dal 2010, inizialmente sotto protezione, sa o ha riferito qualcosa di più ai magistrati inquirenti sulla ‘zona franca’ che la sua banda aveva a Savona. Quali erano i punti di riferimento, quantomeno se c’erano basisti, quali le falle dell’apparato delle forze di sicurezza che pure sapevano, erano sempre in allerta all’arrivo di bananiere a Porto Vado. Certo, grazie alla sua collaborazione, seguita da altri della sua potentissima banda, sono stati assicurati alla giustizia italiana 500 persone dedite a delinquere. Neppure una, per quanto si sa, in quel di Savona e provincia.
Faccia d’Angelo, viveur che girava l’Italia, l’Europa, il mondo, frequentava casinò ed hotel di lusso, che non sapeva come spendere denaro provento di mega rapine e droga. Lui fu beffato, scovato due o tre volte, durante la latitanza dorata. Oggi vive in una località che definisce sicura, sapendo di essere un potenziale obiettivo di vendette. “Non mi farò sorprendere, non ho bisogno di protezione, faccio da solo. Sono diventato piccolo imprenditore, leggo molto e la mia passione resta quella dei quadri….. e nella vita non avrei saputo fare altro ‘mestiere’ se non il ‘capo’….”. Non risponde, non convince quando gli si chiede dell’ipotesi avanzata da un magistrato inquirente: su un bottino stimato di 100 miliardi di lire, sequestrati meno di una decina. I soldi li depositava o li faceva depositare su conti Svizzeri, soprattutto e in Austria.
A Saviano ha pure spiegato cosa sarebbe utile fare per neutralizzare il commercio di droga in Italia. Liberalizzarla. Le organizzazioni mafiose hanno il sacro terrore che i governi, i legislatori possano adottare questa misura e fanno di tutto affinchè non avvenga. E’ un reddito illegale garantito e sicuro. Senza grandi rischi. Un altro cancro del sistema Italia che Maniero ritiene inespugnabile, è la lotta seria, efficace, vera, alla corruzione e all’evasione fiscale. Parla di 250 miliardi di Euro annui, cita il libro di uno studioso (Luca Pizzi) secondo il quale arriveremmo a superare il Pil della Germania. Con 585 miliardi di € in più, in Europa, saremmo la nazione più ricca del continente europeo. E aggiunge: “Potremmo investire davvero nella Sanità pubblica, nella scuola e nell’ambiente creando posti di lavoro. Invece su corruzione ed evasione fiscale non si è mai fatto nulla di serio, hanno vinto e sconfitto la piaga del terrorismo perchè c’era l’impegno massiccio e determinato dello Stato, quel che manca invece per corruzione ed evasione. C’è gente che ruba cifre colossali seduti sulle loro poltrone….e c’è chi muore, 90 mila all’anno, da inquinamento atmosferico…”.
Quali altre leggi mettere in campo per neutralizzare o comunque ridurre al minimo corruzione ed evasione ? Maniero: ” Applicare ai corrotti e corruttori, agli evasori, le leggi antimafia, escluderli da qualsiasi beneficio carcerario, varare una legge premiale per chi collabora. Se c’è la volontà si può fare subito….ma campa cavallo, altro che lotta ai migranti….ai poveri disperati”.
Ecco qualche passaggio dell’intervista di Saviano a proposito della droga, non viene riportato il passo su Savona unisco scalo italiano, a quanto pare, utilizzato dalla banda Maniero.
Quanto si ricavava dal traffico di droga?
“Molto. Guardi, il traffico di droga oggi è l’unica fonte di reddito – a parte il racket, che io non credo sia molto importante – delle mafie”.
A Maniero la coca arriva direttamente dalla Colombia; da lui si riforniscono per il mercato settentrionale anche camorra e ‘ndrangheta. Le stesse mafie che vendevano droga in tutta Italia, sul Veneto devono fare un passo indietro, perché lì c’è Maniero. Non appena aveva visto la droga, infatti, il boss del Brenta aveva intuito non solo il grande business che avrebbe potuto ricavarci, ma anche la necessità di occupare quel mercato. Maniero si appella alla solita logica: anche se non vorresti fare soldi con la droga, se non la gestisci tu, chi la gestirà ti eliminerà.
Quando iniziate a fare traffico di droga?
“Negli anni ’80 quando sono arrivati siciliani, camorristi e ‘ndranghetisti a venderla”.
Quindi arrivano le mafie storiche a commercializzarla, e lì capite che…
“Che non era possibile non farlo noi altrimenti avrebbero preso il mercato, e li avremmo avuti in casa!”
È vero che inizialmente lei era contrario al traffico di droga?
“Sì”.
Ho incontrato Maniero, ora collaboratore di giustizia. Studiando e incontrando boss, killer e gregari di mafia, capisci che si possono dividere in due categorie: quelli che scelgono il crimine contro il mondo e quelli che scelgono il crimine per scalare il mondo. Non si sfugge a questa divisione. Ci sono boss per cui la vita è una guerra in cui ognuno si prende ciò che vuole in base al proprio coraggio, alla propria spietatezza: questi vedono lo Stato come un’altra organizzazione di banditi governata da persone tutto sommato interscambiabili, che si alternano al potere.
Il loro guadagno sarà tanto più alto quanto più riusciranno a contrapporsi alle istituzioni, a sfidarle, a batterle. E ci sono boss che, invece, vogliono infiltrare lo Stato e utilizzare il crimine per avere un ruolo istituzionale: non guadagnano dalla alterità rispetto alle istituzioni, ma dall’identificazione con esse, mirano a diventare loro stessi le istituzioni.
Il boss Felice Maniero apparteneva alla prima categoria, a quei boss di mafia che valutano l’essere giusto non in relazione al rispetto delle leggi, ma in relazione alla capacità di stare al mondo.
Il giusto non è giusto perché indossa una divisa, ma perché risponde a valori che il mafioso stesso valuta come fondamentali, come l’essere feroce, magnanimo col debole, efficiente o sprezzante del pericolo. La filosofia morale criminale parte da un pilastro chiaro: potere, danaro, donne sono gli obiettivi di tutti: c’è chi è nato con maggiore possibilità di averli e chi deve invece trovare una strada per raggiungerli. Maniero ha una visione del mondo chiara, descrive se stesso come qualcuno che non voleva passare la vita in fabbrica, guadagnare due soldi, rimanere confinato alla provincia.
Roberto Saviano