Un’intera pagina del Secolo XIX (edizioni Savona e Imperia). Con protesta inedita, clamorosa, qualificata, dello storico ‘Raviolificio San Giorgio’ (produzione artigianale di tutto il segmento della pasta fresca) di Ceriale. Non ha avuto echi di stampa che meritava, neppure da notizia in breve, silenzio dal big Ivg (Il Vostro Giornale) con migliaia di lettori e che può competere con la ‘palestra dell’informazione’ di Facebook. Un sasso lanciato nello ‘stagno’, nel mare magnum delle sagre a go go ? Una struggente contraddizione, scrive Paola Moroni in altro articolo del blog, di un viaggio gastronomico nel Ponente Ligure tra profumi, tradizioni e ricordi. Il proliferare di sagre, ma anche ristoranti cinesi, giapponesi, kebab, paninoteche, Hamburgher, start -up pseudo culinarie gestiste da donne. Non è questione di scandali o scandalismo, di chi potrebbe farci la ‘cresta’, di un marciume sociale che avanza, semmai mettere finalmente mano e ordine all’esplosione di eventi festaioli all’insegna dell’enogastronomia. Dove può accadere che in una sagra di montagna si offra ‘pesce fritto e alla griglia’ e al mare, con il solleone, porcellino allo spiedo, oppure trote di allevamento.
Le sagre antesignane sono nate negli anni ’50 e valorizzavano una specialità storica, rigorosamente territoriale e soprattutto da mono prodotto. Oggi sono diventate pseudo ristoranti, osterie, trattorie, rosticcerie, friggitorie, quasi sempre all’aperto, sottraendo milioni di Euro a chi svolge annualmente o stagionalmente l’attività di ristorazione, anche ai bar e panetterie peraltro irrazionalmente inflazionati. Sottraggono preziosi posti di lavoro a gestioni famigliari. Non discutiamo il fine di sagre e feste culinarie i cui proventi sono destinati ad attività di volontariato e onlus. Puntiamo l’indice del nostro dissenso (forse non siamo soli e comunque in minoranza, a quanto pare) sull’incredibile moltiplicazione degli eventi (chiamateli pure enogastronomici ?), sulle ormai rarissime presenze di vere specialità locali, ora si suole dire a km 0 (termine abusato, anche nei negozi con l’insegna Il Contadino, una bufala !). Si corrode, si demolisce lo stesso principio ispiratore con cui le prime sagre erano organizzate con successo crescente. E si ignora persino la storia delle nostre sagre. Come e quando sono nate. Anche a noi, ultimo dei mini-blog di volontari (ci differenzia l’assenza totale di pubblicità a
pagamento, né redazionali promozionali, link sponsorizzati e pagati 250 € cadauno), capita che nel fare informazione sbagliamo. Ma se dall’autorevole pulpito della Rai (nel caso Tg3 Regione), nella presentazione della Sagra del Michettin 2018, in diretta, dal vice capo redattore Stefano Picasso, cittadino cellese, si ascolta: “Con la 44 esima edizione….è la sagra più antica della provincia, forse della Liguria…”, qualcuno l’ha informato male, altri sobbalzano dalla sedia. Ad esempio, gli anziani loanesi, le memorie storiche. Cittadina che detiene la palma, con la Sagra del Crostolo nata nel 1959 e che ha compiuto 59 anni a luglio. Perchè il ‘crostolo‘ ?
L’iniziativa in occasione dei 350 anni dall’inaugurazione del monastero- convento – complesso di Monte Carmelo (1609). Il ‘crostolo‘ era una ricetta – specialità povera del menù dei frati. Per
renderla più accattivante un gruppo di amici di Borgo Castello (l’abitato più antico e vicino al convento) erano soliti raccontare che si trattava di una ricetta segreta tramandata nei secoli. In realtà era un sapiente impasto a base di farina, impreziosita dall’olio d’oliva, acqua di sorgente, lievito naturale, innaffiata di ‘nostralino’, opera di un mitico panettiere del Borgo stesso (Checchin Tassara) che si avvaleva della collaborazione di alcune massaie, di Pippo De Francesco, fungeva da cassiere il comandante Ratto, infaticabile prometter e presentatore Cencin De Francesco (personaggio unico nella storia loanese del secolo scorso, solito a non perdere un funerale, dai ricchi agli umili).
L’esordio reso ancora più spettacolare da una macchina impastatrice, all’aperto, e per ‘tirare la sfoglia di parecchi metri si erano ‘inventati’ una serie di rulli e poi il mega pentolone per friggere. I profumi raggiungevano il lungomare e zone periferiche. L’affluenza, soprattutto di abitanti del comprensorio e non solo, di anno in anno aveva persino imposto la chiusura di Viale Rimembranza e l’intera via Bulaxe, oltre le stradine laterali. Molti adulti, di oggi, hanno ricordi d’infanzia. Il ‘crostolo’ ora si è modernizzato, trasferito sulla passeggiata a mare, ha assunto la veste ‘commerciale’, pur sempre ad opera del volontariato, organizzato dalla Pro Loco. Ha lasciato il caratteristico Borgo Castello proprio per motivi di capienza, essendo rivolto soprattutto ai turisti, alla massa.
Un’altra sagra, poi cessata, dedicata esclusivamente alla melanzana, tra le produzioni tipiche, con le pesche, era in calendario a Borghetto S. Spirito, allora agricola (il cemento ha distrutto economia ed immagine….). L’organizzatore era la famiglia Batan, con Guido giovanissimo, di località Prigliani e la preparazione in casa Batan. Un’altra sagra, primi anni ’60, si teneva a Pietra Ligure e coinvolgeva tutto il paese. Oggi la Sagra di Ranzi, all’insegna del tipico ‘Nostralino’, è davvero un fiore all’occhiello, un’eccellenza, sia quanto a qualità dei menù, sia perchè il Comitato, con mutui, ha provveduto dapprima a realizzare spazi adeguati all’aperto, poi ha investito per dotarsi di un’attrezzatura da cucina di prim’ordine, da far invidia ad un ristorante degno di questo nome. Anche in questo caso c’è chi ricorda quando la serata della sagra vedeva appese all’albero la damigiana di Nostralino. Chi ha dimestichezza del mestiere (parliamo di addetti professionalmente ai lavori della gastronomia) non ha dubbi nell’indicarla come la più qualificata. Mentre ha perso patina di tipicità, col tempo, corrosa dalle nuove tendenze, la ‘Sagra dei Gumbi‘ di Toirano dove si era persino arrivati a dover far fronte ad un superaffollamento. Con qualche mega rissa di troppo.
Bisogna pure rimarcare che la Sagra del Michetin, per anni, ha avuto ‘massaie’- nonne, figure davvero caratteristiche, gran lavorio a mano. Tutto era ‘casalingo’, a cominciare dai ravioli, alle tagliatelle, coniglio alla ligure. Pochi piatti, ottimi quanto ad ingredienti e sapienza di preparazione, gusti e profumi, digeribilità; dal produttore, al cuoco ‘di casa’, al consumatore. Col tempo, con le nuove normative sui ‘prodotti freschi’ (solo a Massimino si continuano a preparare 3- 4 quintali di ravioli, rigorosamente a mano, uno per uno, vengono solamente surgelati, vista la quantità). Oggi con la necessità di acquistare dai grossisti derrate alimentari anche al limite della scadenza, si tira sul prezzo. La ‘matrice originaria’ è mutata. Non vogliamo ergerci a giudici, non è il caso. Purtroppo è cambiato, certamente in peggio, il bagaglio ‘culinario culturale’ del consumatore. Il ‘piatto della nonna’ è un lontano ricordo, la preparazione all’antica in famiglia è un’eccezione, non parliamo delle nuove generazioni.
E poi le sagre assomigliano sempre più ad un grande catering a cielo aperto o sotto teloni improvvisati. Le ‘cucine’, piuttosto al passo con i tempi, assomigliano alle batterie dei militari quando si trasferivano, nella stagione estiva, per le esercitazioni. Lo scopo, diciamocelo senza ipocrisie, non è tanto quello di valorizzare la produzione locale, semmai ‘vendere’ un menù più o meno ligure, per far cassa, a scopo benefico, per associazioni, realtà sportive, pubbliche assistenze, da ultimo le parrocchie, gli enti non profit. Però si sta correndo un grave rischio, Anzi prima o poi si vedranno effetti deleteri.
L’annuncio a tutta pagina del Raviolificio San Giorgio va interpretato più che una protesta plateale, il grido d’allarme di un operatore – non l’unico beninteso – che ha scelto la qualità come filosofia commerciale. Avremmo voluto che Marino Cornali, contitolare con la moglie, spiegasse perché ha reagito alla scelta del Comitato della sagra di escluderlo dopo 25 anni. Ha preferito evitare altre polemiche che di polemico non c’è nulla. Semmai una presa d’atto. Vale a dire ? A noi risulta che il nuovo parroco ed i suoi stretti collaboratori (dal settembre 2017 ha fatto il suo ingresso in parrocchia don Mattia Bettinelli proveniente da Stellanello) hanno messo a confronto il prezzo a chilo (parecchi quintali) dei ravioli di borragine e ravioli di carne. Quelli di Cornali erano più cari, da qui l’irrevocabile decisione all’insegna del risparmio. Non sappiamo se si sia tenuto conto del rapporto qualità – prezzo, ovvero degli ingredienti utilizzati. La farina che, a seconda del tipo, del mulino, della provenienza, delle caratteriste, varia di molto nel prezzo all’ingrosso; non parliamo della carne, dell’olio e così via. Abbiamo cercato di contattare, invano, don Bettinelli, risponde la segreteria telefonica e lasciato un messaggio. Che pensa il reverendo della frase pungente di Cornali: “Ci spiace per tutti coloro che amano la nostra pasta e che non potranno gustarla come la tradizione”.
Per noi il ‘caso’ va oltre. Lo scriviamo e lo documentiamo da almeno un decennio, quando ci siamo resi conto, dati alla mano, che le ‘sagre’ stavano letteralmente esplodendo e sfuggendo di mano. Quando avevamo le prime notizie che tutto si basa sulla quantità, sul numero di presenze, sul ricorso sempre più frequente ad acquistare ‘offerte – sconto’ dai grossisti, in qualche caso ‘fondi di magazzino’. Sagre dove di ‘promozione gastronomica locale’ c’era poco o nulla. Spacciare come avviene troppo spesso ‘piatti tipici’ per ‘produzione propria’ o artigianale, del contadino locale, è una presa in giro al limite dell’inganno, della truffa. Basta sfogliare la rassegna stampa – ma il giornalismo dei nostri giorni ha perso la buona abitudine – per leggere già un decennio fa le proposte, sempre cadute nel vuoto, di una regolamentazione regionale. Anche i Comuni, i sindaci, parlamentari locali, avevano ‘abbaiato’ convenendo sulla necessità di mettere ordine, di fare presto. Ogni tanto si legge, e non da oggi, di questa o quella protesta di Confcommercio, Confesercenti, Pubblici esercizi. Non è cambiato nulla. Anzi, se i nostri conti sono pressapoco esatti, siamo passati nelle due province del ponente ligure, in un decennio, da 317 sagre o feste gastronomiche alle 800 e passa del 2017 e quest’anno si supera ancora.
Andando avanti di questo passo finiremo per ‘uccidere’ molte attività famigliari commerciali, le stesse sagre cominceranno a perdere nomea e clienti. Forse non è casuale che le sagre, in Liguria, hanno raggiunto guinnes da primato, calpestando le autentiche tradizioni culinarie del territorio. Le feste gastronomiche sono di ‘moda’ pure in altri paesi europei, dove però se ne tiene una, al massimo due all’anno, a seconda della stagione e dei prodotti (accade anche per la birra, il vino), concentrate soprattutto in ambito comprensoriale. Sono motivo di attrazione e di promozione alla conoscenza di identità di una zona, sviluppo economico e commerciale.
Nei giorni scorsi i media imperiesi hanno dato notizia ” Un unico marchio di Riviera per le sagre di alta qualità”. Da estendere nelle province liguri e piemontesi confinanti, è scritto. Sagre rigorosamente legate a prodotti tipici e di vera eccellenza. Saranno contraddistinte dal marchio – slogan: ‘U descu de chi’ (la nostra tavola”). Iniziativa portata avanti dal consorzio In Riviera che riunisce i comuni dell’estremo Ponente, da Ospedaletti al confine di Ventimiglia. Il via operativo, il 2 agosto con i ‘basolli’ di Seborga e il 4 i ‘pignurin’ di Ospedaletti. Stessa data i ravioli a Pigna e il 5 agosto la ‘porchetta’ a Rocchetta, sempre il 5 a Castelvittorio il ‘trutun’, il 9 il ‘gran pistau’ a Pigna. E ancora, i ‘crusetti’ a Rocchetta, ‘castagnola’ a Ventimiglia, ‘birra artigianale’ a Bordighera, ‘pansarola’ ad Apricale, i ‘barbagiuai’ a Camporosso.
Il turismo sempre più ‘passa per la gola’, però non bisogna abusarne. Si stanno affacciando i ‘Deco‘ (denominazione comunale) ed è importantissima la promozione che va di pari passo con la produzione autentica. E come dar torto al giovane sindaco di Ventimiglia quando invita “a fare sistema e promuovere non una singola località, ma l’intero comprensorio”. Signor sindaco, sapesse quante volte abbiamo letto, da un angolo all’altro della Liguria, l’esigenza di ‘fare sistema‘, sagre incluse. Purtroppo non ci crede più nessuno, o quasi. A giugno si è votato per un governo di cambiamento del Paese – Italia. Se non si riesce a cambiare neppure per le sagre..!? Speriamo sia la volta buona. Se il buon giorno si vede dal mattino, con la cappa di silenzio, dei media cartacei e on line, che ha avvolto la protesta, sacrosanta (?), di un produttore serio e solitamente riservato, non siamo neppure a metà dell’opera.
Luciano Corrado