Carissimo Babbo Natale, sono Guglielmo Olivero, Willy per gli amici. Trucioli.it ha già scritto di me il 14 dicembre 2014 (vedi…), il 15 ottobre 2015 (vedi…), il 1° dicembre 2016 (vedi…). Dopo 24 anni di ininterrotta collaborazione con La Stampa di Torino, redazione di Savona, vorrei sommessamente raccontarti il mio dramma umano e professionale. E vorrei farne partecipe i tanti colleghi con i quali ho condiviso la vita al giornale. E’ vero molti hanno fatto spallucce, altri forse animati dal ‘chi se ne frega’ o senza memoria. Eppure non ci posso ancora credere !
Caro Babbo Natale, dopo aver conseguito il diploma di Ragioneria e poi la laurea in Giurisprudenza all’Università di Genova, mi sono dedicato a quella che era la mia passione da quando ero piccolo e al contrario di altri bambini, piangevo se andavo a letto senza il Telegiornale e non per un Carosello. Dopo un lungo periodo nelle radio e tv private locali che mi hanno permesso di comprendere tante cose di questo bellissimo mestiere, ho collaborato un anno e mezzo al Secolo XIX di Savona quando la redazione era in via Paleocapa. Ricordo che al mattino frequentavo da volontario la Croce Rossa per un concorso.
Come fosse ieri, dal febbraio 1991, ho iniziato a collaborare con La Stampa dove sono rimasto fino al novembre 2014. In 24 anni mai un dissapore, un litigio, come credo possono testimoniare i capi redattore Sandro Chiaramonti e negli ultimi due anni Dario Corradino. Ogni giorno della settimana, sette giorni su sette, credo di aver svolto il mio lavoro con serietà, senza mai tirarmi indietro quando c’era da lavorare fino a tardi, soprattutto nei week end. Sabato e domenica iniziavo di buon mattino per finire a tarda sera. E poi i periodi quando sostituivo il corrispondente di Albenga che andava in ferie.
Se riavvolgo l’impietoso nastro del tempo, è stata una vita da mediano, anzi da terzino, nel senso che sono sempre rimasto collaboratore, occupandomi dello sport savonese e della cronaca locale, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, prendendo il treno al mattino ad Albenga per Savona, e tornare per cena.
La mia grande passione per lo sport (e non soltanto per il calcio, pallavolo, bocce) mi ha fatto conquistare l’affetto di tanti lettori, spesso allenatori, atleti o semplici appassionati di una disciplina agonistica. Diciamo pure quello sport ‘povero’, ma ricco di ideali e di altruismo, di formazione. D’improvviso la mia vita è cambiata nell’estate 2014 quando sono iniziate a trapelare notizie dell’accordo e fusione tra La Stampa e Il Secolo XIX, e dietro l’angolo non c’erano tagli di stipendi per chi non poteva davvero lamentarsi, ma tagli di collaboratori, pagati tanto a notizia, anche quelli come me che proprio un normale collaboratore non era da molti anni. Il benservito l’ho ricevuto con un amaro commiato pronunciato dal capo servizio dello sport della redazione di Savona, Roberto Baglietto. Non una riga, nero su bianco.
Mi sono rivolto, dopo un grande travaglio, ad uno studio legale che mi ha consigliato di chiedere un contratto di lavoro stabile. Ormai era trascorso un quarto di secolo da quando avevo scritto il primo modestissimo articolo ed ero l’uomo più felice….La risposta aziendale è stata quella di un’immediata sospensione delle collaborazioni, “essendo venuto meno il rapporto fiduciario”. Da due anni non scrivo, anche se mi consolano e molto, le firme che sono state raccolte da tanti lettori ed inviate alla direzione della Stampa per auspicare un mio ritorno. Il segno di aver svolto un buon lavoro che ti permette di camminare a testa alta. Questi due anni sono stati una nuova grande esperienza; ho avuto la fortuna di stare accanto ai miei anziani amatissimi genitori, con i loro acciacchi, assistendoli come una scrupolosa badante che però non può donare l’affetto di un figlio. Ancorché unico.
Caro Babbo Natale, ho dedicato anche molto tempo al volontariato che mi ha fatto comprendere come il mio disagio, la mia sofferenza, sono quasi zero rispetto a quella che sopportano, con grande dignità ed in silenzio, tante persone. Che dire…ho fatto spesso dei sogni dove mi ritrovavo in redazione con i colleghi, anzi gli amici di ogni giorno. I posti che frequentavo nella pause: il bar, la trattoria, l’osteria, la paninoteca.
Qualcuno mi domanda perché non mi appello ai giornalisti di punta e di denuncia che, un giorno si e l’altro pure, si cimentano a smascherare le ingiustizie e le nefandezze del Bel Paese, di tanti politici, di finanzieri e imprenditori, più raramente di editori più o meno d’assalto, più o meno potenti e ricchi. Eppure credo ancora di meritare una dignitosa collocazione proprio alla Stampa, per la sua storia gloriosa e perchè, grazie a mio nonno, è stato il primo giornale che ho imparato a sfogliare. Nonostante tutto, caro Babbo Natale, vorrei si sapesse che non serbo rabbia, risentimento verso l’azienda. Sono stato educato al perdono.
Certo, sarei ipocrita se nascondessi una grandissima amarezza per il modo col quale sono stato ‘congedato’. Non meno amareggiato prendere atto della testimonianza resa davanti al giudice del lavoro da un collega che di fatto ha disconosciuto la realtà, la verità. Credo di essere una onesta persona che forse meritava almeno un colloquio con il direttore del giornale; ricordo quando venne in redazione per una visita di cortesia Mario Calabresi. La sua stretta di mano, quando ero ancora in forza al giornale. Tutto sommato orgoglioso di quei 240 articoli che scrivevo ogni mese, dieci in più o dieci in meno. Orgoglioso delle pagine speciali con la Publikompass. Orgoglioso dei lettori che mi cercavano per darmi notizie, orgoglioso dell’accoglienza che ricevevo nei campi di gioco, tra le benemerite società sportive.
Vorrei salutarti mio Babbo Natale incaricandoti di porgere gli auguri di feste serene ai colleghi giornalisti con i quali ho condiviso 24 anni di redazione, alcuni sono felicemente pensionati: Chiaramonti, Corradino, Carlini, Cervone, Pasquino, Branca, Fico, Vimercati, Pezzini, Boero, i collaboratori Fornasieri, Pizzorno, Costantini. Auguri anche a nome dei miei ‘vecchi’ Nicolina e Mario che mi aiutano a sperare in un dignitoso futuro.
Guglielmo Olivero