Quale Savona si avvia al ballottaggio per eleggere il nuovo sindaco? E quale risposta vorrà ma soprattutto saprà dare chi, tra Cristina Battaglia, la suffragetta del Pd, e Ilaria Caprioglio, la lady del centro destra, si siederà sulla appassita (per risultati e per immagine) poltrona di Federico Berruti? Una Città che si ritrova più povera, più grigia, più fragile, declassata e senza punti di riferimento. Sfiduciata, incompiuta, sfibrata e incerta su presente e futuro.
Il primo turno di questa tornata amministrativa non ha certo scaldato gli animi di elettrici ed elettori, alla fine sono arrivati 30.204 voti validi su 50.789 aventi diritto (il 59,46%, ben lontano dalle percentuali da “zona rossa” dei tempi in cui il Pci delle grandi fabbriche e del porto manteneva molto di più di una egemonia amministrativa).
Tornando all’oggi: i 15 giorni di intervallo tra il primo e il secondo turno non hanno risollevato i mancati entusiasmi della prima tornata. Salvo qualche punzecchiatura qua e là, la stesura di improbabili appelli di reduci e di sconfitti di varia natura, qualche apparentamento dal sapore neppure troppo vago di opportunismo, la presentazione di qualche assessore in pectore magari ingaggiato extra-moenia, la Città sembra aver vissuto con apparente disincanto queste due settimane di attesa. Forse il dato di maggiore curiosità è rappresentato dalla previsione di qualche clamoroso rientro nella futura giunta di inamovibili di lungo corso, già super sperimentati, oppure addirittura il rientro di qualcuno dei “fu” pezzi da 90 dell’epoca del cemento “a mano armata”.
La previsione è quella di un incremento dell’astensionismo: si tratterà di vedere se resteranno i voti sufficienti per realizzare il “ribaltone” tanto sperato soprattutto dalla giunta Toti (sempre presente nelle iniziative della candidata del centrodestra), oppure se rimarrà, magari per inerzia, soltanto lo spazio per una vittoria “in discesa” della candidata del centrosinistra, grazie al mantenimento di una quota di questo margine di partenza di 1.563 voti.
La nuova inquilina di Palazzo Sisto IV troverà macerie, al di là di maquillage grossolani su progetti e soldi in cassa (leggasi buco nero del bilancio). E dovrà fare i conti con i problemi di una Città nel mezzo di una crisi che dissangua le famiglie e sta riducendo, giorno dopo giorno, mese dopo mese, le capacità di sostegno di figli e nipoti. Un quadro desolante, reso più avvilente dalla spoliazione e dal progressivo declassamento della Città in ogni suo ganglio vitale e nei punti di riferimento decisionali. Una perdita di identità che parte da lontano e che nel corso degli anni non ha trovato una difesa, né una soluzione.
Come definire diversamente la recente decapitazione della Carisa, privata di presidenza e Cda, di fatto passata sotto il totale controllo di Carige, e il passaggio dell‘Autorità Portuale sotto il controllo di Genova, di fatto amputazioni che si aggiungono allo svuotamento della Provincia, alla fusione della Camera di Commercio con La Spezia e Imperia, alla perdita della direzione dell’Automobile Club di Savona a favore di Imperia-Sanremo. Decisioni che, evitata in extremis la perdita della Prefettura, fanno comunque mancare i riferimenti, le possibilità di relazione tra cittadini e istituzioni. E che, nella più assordante rassegnazione, sembrano destinare Savona ad un rapido oscuramento, alla perdita di centri e poteri decisionali. Una Città avvilita, indifesa, delusa e purtroppo rappresentata poco e male.
Il primo colpo di scure era stato inferto sulla Provincia, intesa come ente rappresentativo di 69 comuni e 287.906 mila abitanti, privata di ogni risorsa, immolata sull’altare di una fin qui velleitaria spending review in salsa renziana (a proposito il deficit pubblico ha toccato un nuovo record). Nel palazzo firmato dall’architetto Nervi restano uffici vuoti, dirigenti, impiegati e uscieri in via d’estinzione. Forse della Provincia nessuno sente la mancanza, resta da verificare quale e quanto sarà l’effettivo risparmio della decapitazione di un organismo fortemente indebitato da dissennate gestioni di centro sinistra prima e di centro destra poi, senza più poteri di sostegno al territorio, spogliato di ogni possibilità di programmazione e di intervento.
Ma la decapitazione della Provincia era solo il primo segnale di una spoliazione annunciata e già avviata. Come è avvenuto, in un silenzio assordante, con la recente fusione degli enti camerali di Savona, Imperia e La Spezia, imposta dal nuovo corso renziano, Un’operazione di impoverimento con pesanti tagli alle risorse per migliaia di piccole e medie imprese del territorio, dall’industria all’artigianato, dall’agricoltura al commercio e al turismo. Savona, forte del maggior numero di imprese iscritte, mantiene la sede della presidenza (presidente Luciano Pasquale) e del nuovo e unico consiglio camerale. Ma resta la riduzione di tre realtà e autonomie con tutte le loro specificità e capacità operative di intervento e di collegamento con il territorio e il tessuto economico.
Una fusione tira l’altra. Come quella costata la perdita dell’Automobile Club di Savona, accorpato a quello di Imperia e Sanremo. E’ scomparso così, a 88 anni dalla fondazione, un pezzo di storia della città e della provincia. Un punto di riferimento per migliaia di automobilisti, ma anche promotore e sostenitore di importanti manifestazioni motoristiche, per tutte il Giro dei Monti Savonesi. La storica sede di via Guidobono rimane come ufficio distaccato. Si auspica che non debba subire modifiche sostanziali l’offerta di servizi. Va ricordato, a questo proposito, come lo scorso anno circa 30mila automobilisti si siano rivolti agli sportelli della sede Aci per varie esigenze: dal “classico” pagamento del bollo alle pratiche per il passaggio di proprietà, dalla demolizione ai vari casi di perdita di documenti, targhe e furti.
Ma è l’assalto all’Autorità Portuale uno dei punti più caldi, motivo di forti tensioni e attriti, al di là dello sterile ma inevitabile campanilismo di antica data. Ancora una volta è l’ombra sinistra di Genova a minacciare presente e futuro di Savona. La crescita e l’effervescenza del nostro porto (Terminal di Costa Crociere con oltre un milione di passeggeri l’anno; la nascitura ancorché contestata piattaforma Maersk di Vado Ligure) non è mai piaciuta e non piacerà mai a Genova. E non solo. Quale miglior occasione della nuova legge sui porti per mettere le mani su Savona-Vado quasi fosse uno scalo minore. Il tutto contrabbandandolo con l’esigenza di una politica e progettualità comune, mutuando i famosi Libri Blu varati negli anni ’80 da Roberto D’Alessandro, craxiano di ferro, in cui il presidente di Palazzo San Giorgio auspicava un sistema integrato degli scali liguri, comprendendo ovviamente anche Imperia e La Spezia. Anche in questo caso la voce e le istanze della Città non hanno mostrato grande peso, né hanno trovato adeguato sostegno da una politica spocchiosa, lontana anni luce dalla storia, dalle richieste del mondo del lavoro e dalle esigenze del territorio e dei cittadini in una realtà stremata dalla crisi.
Molto si è perduto, altro rischia di andare disperso.
Ultimo atto, in ordine di tempo, il passaggio di Carisa, la “nostra” banca, sotto il controllo di Carige. Una fusione che, al di là delle rassicurazioni di facciata e di comodo, apre scenari inquietanti sul futuro dell’istituto di credito. E non può rassicurare, la presenza, ultimo (e unico) presidio savonese, dell’ex-presidente Luciano Pasquale, che ora siede nel Cda di Carige a fianco di Malacalza e Volpi (il re della logistica petrolifera in Nigeria, patron dello Spezia calcio e della Pro Recco pallanuoto). Così, se ne sono andati 175 anni di storia, si è cancellato un altro polo di sostegno e sviluppo dell’economia locale. Ma una cosa va detta forte e chiaro. La Città non deve e non dovrà mai rinunciare alla “sua” Banca; non può e non dovrà subire, né sopportare un taglio definitivo del cordone ombelicale con le varie realtà economiche di Savona e provincia. Sarà necessario vigilare (ma chi ne avrà qualità e forza per non cedere a tentazioni e giochetti di potere?) per scongiurare ogni ulteriore depredazione e con essa una sconfitta senza precedenti, una ferita insanabile. Una vergogna per chi, negli afoni palazzi della politica, insegue (ri)posizionamenti e benefìci post-elettorali alla ricerca, più o meno legittima, di vecchie e nuove poltrone, mentre la Città viene spogliata dei suoi simboli e, ridimensionata della sua storia, perde definitivamente la sua identità.
Una perdita di qualità e potere decisionale, resa più pesante dal vuoto nell’informazione. La fusione delle redazioni di Secolo XIX e Stampa ha posto fine ad una sana competizione e aperto la strada ad una vera e propria omologazione. Due giornali, una stessa voce, notizie-fotocopia. Un quadro desolante, in attesa delle (previste) decisioni del Gruppo Espresso che ha di fatto fagocitato le due testate.
Che ne è del giornalista cane da guardia del potere (“watch dog” come dicono gli inglesi) ; che ne è del vecchio cronista capace di cercare, controllare, verificare, sempre alle calcagna del potere politico ed economico. Ora la Città è più sola; i lettori più indifesi, costretti ad ascoltare solo la “voce del padrone”. Il “cane da guardia del potere” rischia di diventare il “cane da guardia del condominio”. Diceva Alexis De Tocqueville: “Senza giornalismo, niente democrazia“.
A cura della redazione di Trucioli