Gli Ogm rappresentano una minaccia particolarmente grave per l’agricoltura di montagna. Non a caso l’Austria, il paese più montano della UE, è l’alfiere della resistenza agli Ogm in Europa. In Italia viene dalla Valle d’Aosta l’iniziativa più decisa. Intanto il sindaco di Pontinvrea sostiene: “Le Unioni di Comuni sono il mezzo per arrivare ai macro Comuni e distruggere tutte le piccole realtà dell’entroterra. Nel nome di un miglioramento dei servizi e del risparmio si vanno progressivamente a sterminare le piccole amministrazioni.” Anche la tv regionale e Rai 3 Liguria ha dedicato al primo cittadino ampio risalto. (Vedi nota).
La notizia è del 23 dicembre. La III commissione consigliare del consiglio regionale della Valle d’Aosta ha approvato il testo della legge anti-Ogm Disposizioni in materia di impiego di organismi geneticamente modificati sul territorio della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste. Abrogazione della legge regionale 18 novembre 2005, n. 29 (Disposizioni in materia di coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche). L’iter del provvedimento approvato in commissione con l’astensione dell’UVP (Union Valdôtaine Progressiste) che ha manifestato riserve sui controlli affidati al Corpo Forestale Regionale ora proseguirà in aula dove è scontata l’approvazione finale. Il provvedimento è frutto dell’iniziativa dell’ UV (Union Valdôtaine) e si inquadra nel programma politico autonomista per la presente legislatura che, alla voce “agricoltura” prevede:
Garantire in ogni ambito le produzioni di qualità, con adeguata attenzione al settore viti-vinicolo, anche attraverso politiche di esclusione degli OGM, la valorizzazione dei prodotti a “km zero”, il sostegno alla diffusione dell’agricoltura biologica e biodinamica.
La legge parte dal presupposto che in montagna la coesistenza” (aleatoria in pianura) è del tutto impossibile:
(Art. 2). In considerazione del particolare assetto morfologico,idrogeologico e climatico del territorio regionale, costituito per un terzo da aree protette riconosciute e tutelate a livello europeo, e della forte frammentazione e parcellizzazione della proprietà fondiaria che impediscono di prevenire, attraverso misure di coesistenza, la presenza involontaria di OGM nelle coltivazioni di cui all’articolo 1, la coltivazione di OGM è vietata sull’intero territorio regionale.
L’Art. 3 affida il controllo della legge al Corpo Forestale della Valle d’Aosta. Disporre di un ente autonomo di controllo in materia agricola, forestale, ambientale rappresenta un elemento importante di una politica per il territorio realmente autonoma come sanno bene i montanari delle regioni ordinarie che lamentano come il CFS si comporti come una polizia di parte ambiental-animalista, preoccupata di tutelare la fauna selvatica che sta a cuore agli ambientalisti di città.
Il disposto degli artt. 4 e 5 (obbligo di rimozione e sanzioni) consente di dire che la Valle d’Aosta “fa sul serio”:
Il Corpo forestale della Valle d’Aosta ordina al conduttore del fondo la rimozione e la distruzione delle piante coltivate e delle eventuali sementi che da esse si siano prodotte. In caso di inottemperanza, il Corpo forestale della Valle d’Aosta provvede direttamente addebitando le spese al conduttore del fondo.
E per chiunque violi il divieto di coltivazione scattano sanzioni da 50 a 500 mila euro. Sanzioni serie come si vede e non solo virtuali come avviene in tanta normativa italiana.
La difesa della ruralità, dell’agricoltura contadina è difesa di autonomia e libertà
La nuova legge non fa che confermare una linea coerentemente perseguita in Valle d’Aosta. Va ricordato che la Fontina è uno dei pochissimi prodotti Dop che prevedono il divieto di Ogm. Un divieto che a sua volta è possibile perché la politica valdostana e il disciplinare della Fontina prevedono l’obbligo dell’allevamento per la produzione del latte della razza Valdostana, una razza che valorizza i foraggi locali e non la soia Ogm e i mangimi Ogm utilizzata in Italia anche per la produzione di Dop di montagna.
Tutte questioni di forte e immediata rilevanza politica in un mondo dove il potere globale si basa sull’imposizione di Ogm, di sistemi con largo uso di pesticidi e concimi chimici. La politica autonomista delle regioni autonome alpine (segnatamente la Regione Valle d’Aosta e la provincia di Bolzano dove la cultura e la politica italiane fanno meno presa) si distingue per iniziative a favore dell’agricoltura e della montagna e per non lasciarsi omologare a politiche nazionali espressione dei poteri forti metropolitani. Non c’è autonomia, non c’è libertà se si cede al sistema globale di dittatura del cibo. In realtà il conservatorismo alpino, la ruralità, tanto odiata dai progressisti, oggi appaiono rivoluzionari (mentre il progressismo è il tristo reggi coda ideologico della globalizzazione, di un biocapitalismo che con il bio-tech, le bio-masse e altre bio-fregature sa sempre più di tanatocapitalismo).
Autonomia utile, necessaria, legittima
Quando la potestà legislativa autonoma è utilizzata, come nel caso nella legge valdostana anti Ogm, per tutelare la specificità del territorio e dell’agricoltura di montagna ci si rende conto che – al di là di posizioni di privilegio che non hanno a che fare con il nucleo dell’autonomia – l’autonomia speciale rappresenta un valore da difendere e da estendere, non da cancellare.
Ci si rende conto del perché oggi destra e sinistra italiane (compresa la Lega che con la svolta lepenista ha definitivamente liquidato un autonomismo di facciata) perseguano un progetto di accorpamento delle regioni che è sempre quello della Fondazione Agnelli. Sotto la proposta della Regione Lombardia a guida “autonomista” (si fa per dire) che è stata poi modificata per salvare l’Emilia Romagna e raggiungere la convergenza con il Pd. Una prospettiva che vedrebbe abolite le autonomie speciali alpine (Friuli, TAA, Vallée) e mantenuta l’autonomia delle isole (evidentemente sulla base della considerazione tecnocratica che il dato geografico pesa di più di quelli culturali e storici). Ovviamente Maroni e Renzi non si preoccupano di conoscere l’opinione degli interessati. Di certo ad Aosta, Udine, Trento, Bolzano non sono d’accordo. Ma, per fortuna, non sono d’accordo neppure i garanti internazionali delle autonomie valdostana e sudtirolese (a Parigi, Vienna e Berlino) con i quali l’itaglietta ha poco da fare la voce grossa.
Dietro alla nuova proposta di “macro-regioni” c’è sempre la solita logica che guida anche la fusione dei comuni, la creazione di Unioni che riducono i sindaci a personaggi decorativi con la fascia tricolore. Si fa credere che abolendo livelli di governo e ampliando la dimensione delle unità amministrative si riducano i costi della macchina politico-amministrativa. In realtà i costi non dipendono dall’estensione delle unità ma da come è impostata la macchina. In Svizzera dove la politica deve rendere conto sul serio ai cittadini di come sono spese le risorse finanziarie e dove vi sono strumenti partecipativi che consentono di mettere in riga il ceto politico, i costi di funzionamento dei cantoni (che pure hanno ampie competenze, superiori a quelle delle regioni italiane) sono ridicoli rispetto a quelli delle provincie.
La politica neo centralista
Nell’ambito di una sana amministrazione lo spostare i livelli decisionali vicino a dove i cittadini vivono i problemi non è solo questione di democrazia, di capacità di ascolto, di capacità di conoscere e affrontare i problemi come si presentano localmente, ma è anche condizione di efficacia dell’azione pubblica e, in definitiva, ciò consente di utilizzare meglio le risorse per il funzionamento degli apparati pubblici.
La logica che presiede alle operazione di accorpamento (comuni o regioni) risponde un po’ al seguente ragionamento: “dal momento che i centri decisionali e di spesa sono vittime dalla corruzione e dagli sprechi dei politici e dei burocrati riduciamoli in modo da risparmiare”. Non sarebbe meglio eliminare la corruzione e gli sprechi?
Nella montagna del ponente ligure e in provincia di Cuneo è in atto una vera e propria rivolta dei sindaci dei comuni di montagna contro le Unioni. Essi chiedono di equiparare le Convenzioni tra comuni per la gestione di servizi e funzioni (che non ledono le prerogative di autonomia dei comuni) alle Unioni. Il sindaco di Pontinvrea, nell’entroterra savonese, Matteo Camiciottoli (sopra) ha dichiarato, rifiutando l’Unione:
“Le Unioni di Comuni sono il mezzo per arrivare ai macro Comuni e distruggere tutte le piccole realtà dell’entroterra. Nel nome di un miglioramento dei servizi e del risparmio si vanno progressivamente a sterminare le piccole amministrazioni”.
In realtà con l’accorpamento si perseguono chiare finalità politiche. Se pensiamo ai comuni è palese che l’esproprio delle loro funzioni a vantaggio di aggregazioni consente alle segreterie dei partiti nazionali di disporre di canali di influenza più efficaci. La cosa è vera soprattutto in montagna dove, nel contesto delle fusioni e delle aggregazioni, assumono funzione egemone i centri di fondovalle o allo sbocco delle valli dove il ceto amministrativo locale, a differenza di quello dei piccoli comuni delle Terre Alte, è in connessione con gli apparati dei partiti italiani.
“Annegata” in grandi regioni o macroregioni la voce delle Terre Alte, che è una voce scomoda per i poteri forti metropolitani, terminali di quelli globali, finisce per non poter essere più distinta. La manipolazione delle masse urbane, che vivono in una condizione esperienziale sempre più mediata da canali facilmente controllabili, consente di giocare il “consenso di massa” contro le comunità “periferiche”, di non tenere conto delle loro condizioni specifiche, di attuare politiche apertamente colonialiste.
Michele Corti (www.ruralpini.it)
Nota redazionale: Nelle Unioni di Comuni gli obiettivi di saldo si redistribuiscono solo se c’è l’intesa. Viene stabilito che ai Comuni istituiti a seguito di fusioni e che sono virtuosi nel rapporto tra spesa del personale e spesa corrente non si applicano per i primi cinque anni successivi alla fusione i vincoli né alle assunzioni a tempo indeterminato, né alle assunzioni con contratti flessibili. Vengono definiti come virtuosi i Comuni che hanno un rapporto tra spesa del personale e spesa corrente inferiore al 30 % nell’anno precedente la fusione. Vale inoltre il contributo di 5 milioni alle Unioni dei Comuni per la gestione in forma associata.