La Corte d’appello di Brescia (pres. Enzo Platé) ha assolto e revocato la condanna a 18 mesi di reclusione inflitta al dr. Michele Russo accusato di tentata concussione ai danni del dr. Alessandro Barbanti, primario ospedaliero di Albenga nel frattempo deceduto. I fatti scaturivano da un’oscura vicenda che per 25 anni ha ‘infangato’ il magistrato, allora tra i più giovani procuratore capo della Repubblica d’Italia, mentre aspirava al posto di procuratore generale della Repubblica di Genova. Una storia intrisa di massoneria, di servitori dello Stato che ottennero di mettere sotto controllo il telefono dell’ufficio di Russo a Savona, dotarono di una cimice un testimone (Antonio Fameli) convocato dallo stesso magistrato nell’ambito di un’inchiesta su prestiti ad usura in Riviera ad opera di una finanziaria. Russo accusato ingiustamente di aver voluto favorire una giovane donna di Mendatica falsamente indicata come amica ed amante.
Il verdetto della Corte d’appello di Brescia, seconda sezione, è stato emesso questa mattina dopo 4 ore di camera di consiglio. Una vicenda paradossale da Belpaese anche per chi l’ha seguita fin dall’inizio e che, da cronista di giudiziaria, ha cercato invano di documentare la verità reale. Anche come testimone nella prima fase processuale a Milano. Per decenni ha prevalso la verità giudiziaria, quasi un accanimento contro un magistrato che può aver anche sbagliato, ma non si era macchiato di atti-reati di disonestà, semmai non si era asservito ai poteri ‘invisibili’, ma non troppo, che comandavano nel ponente ligure. Proprio oggi, per coincidenza, il blog della Casa della Legalità ha messo in rete tutti gli atti della commissione parlamentare d’inchiesta su Licio Gelli e la P 2, inviati dall’allora giudice istruttore Francantonio Granero; decine di pagine di documenti, nomi e cognomi, verbali di interrogatorio. Documenti noti a pochi savonesi, ignoti e sconosciuti alla stragrande maggioranza dei cittadini , soprattutto alle nuove generazioni. Con un altro magistrato finito inizialmente nel mirino, il giovane (all’epoca) sostituto procuratore Filippo Maffeo che fece perquisire alcune logge massoniche, in particolare quelle all’obbedienza di Piazza del Gesù e fu al centro di un durissimo esposto alla procura generale della Repubblica di Genova a firma di Enrico Califano, in quel periodo delegato magistrale della Liguria.
Negli atti d’inchiesta emerge uno spaccato esemplare del ponente ligure e della Liguria negli anni ’80 e durante il ‘regno Teardo’ e quando non mancavano i giornalisti ‘fratelli’ di merende e del doppio gioco. Sono trascorsi più di tre decenni, la massoneria affaristica, lobbistica, trasversale, è più forte di prima, con una presenza quasi capillare in Provincia di Savona, nell’imperiese, in molti Comuni, negli ospedali, uffici pubblici, banche, tra liberi professionisti, nella Asl.
Il dr. Russo era assistito dall’avvocato Federico Grosso, docente universitario e figlio dell’insigne Giuseppe che è stato sindaco di Torino e presidente della Provincia. A Brescia si è giunti al termine di un tortuoso e lungo iter giudiziario dopo che la Corte d’appello di Venezia ha assegnato gli atti processuali ai giudici bresciani anzichè a quelli di Trento. Proprio a Brescia in due precedenti giudizi la revisione del processo per la condanna a Michele Russo era stata dichiarata inammissibile. Verdetto di inammissibilità pronunciato pure in altre due sentenze a Venezia.
Michele Russo, a 83 anni compiuti, una vita ed una carriera distrutta, non si è mai dato pace. Nel more del verdetto era stato trasferito alla Corte d’appello di Torino. Quindi le dimissioni dalla magistratura prima dell’ultima pronuncia della Cassazione. Con la tenacia e la forza della disperazione, dell’innocenza ha continuato a lottare, a citare testimoni affinchè nuovi giudici ripercorressero le tappe del suo sconvolgente calvario umano e giudiziario. Testi peraltro già sentiti, ma a quanto pare in modo sommario e parziale. Alla fine sono stati proprio alcuni di loro a demolire l’infamante accusa di tentata concussione e spalancare le porte ad una ‘verità inconfessabile‘. Il dr. Russo era finito nel mirino, a quanto sembrerebbe, per certe sue inchieste, per aver osato perquisire, indagare, accusare pezzi da ’90 del pianeta massonico ponentino, albenganese in particolare. Pur commettendo errori, qualche leggerezza, ma senza quella illegalità (tentata concussione di un teste) che si cercò di cucirgli addosso.
Tra i testi che lo hanno scagionato c’è lo stesso Antonio Fameli, il dr. Stefano Bonagura che per un periodo finì a sua volta nei guai ed ora è in pensione dopo un fine carriera da vice questore a Imperia e Sanremo. Il geometra Massimo Marci che era stato alle dipendenze di Fameli, a Borghetto S. Spirito. In precedenza, quando era ancora in vita, scagionato pure dal teste Figliossi di Alassio, quando era titolare di un negozio di antiquariato poi fallito.
Il verdetto definitivo di condanna di Michele Russo risale al 1995. L’assoluzione ‘riparatoria’ arriva in un momento in cui le condizioni di salute di Russo destano qualche preoccupazione.