Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Nostalgia canaglia. I 3 casini di Savona, il bisogno d’amore e una puttana infelice


“Mi ricordo e a volte sogno ancora, la camera del casino con la mia adorabile puttanella, un travaso di emozioni innarrestabili, pensavo solo a lei, non avevo altro in testa, a volte pregavo il Signore di aiutarmi a dimenticare ma non c’era nulla da fare, a distanza di molti anni, ho compreso che tutta quella ossessione altro non era che l’ansia del vivere”.
NOSTALGIA CANAGLIA, I CASINI DI SAVONA
Il bisogno d’amore / è il gesto di tenerezza / di una puttana infelice / in un casino a ore.
Quando il compianto Nanni De Marco, amico di penna e di bischerate, mi chiese di collaborare al suo celebre ‘Cento savonesi raccontano le case chiuse’, libro di ammiccamenti e prurigini oltre che di straordinario successo, mi ritrovai nel dilemma se apparire o non, avendo un’attività pubblica, scelsi una via soft con qualche articolo (‘La strada di una donna’, ‘Pallida luna’, ‘La finestra sul pianerottolo’) nel contempo fornendo a Marco in via riservata immagini del mio archivio storico: di questa scelta, pur con lo stravolgimento dei tempi e il deterioramento dei costumi, non mi sono pentito.Indro Montanelli. che mai aveva fatto mistero di frequentatore assiduo dei casini, al pari di celebri colleghi, Vergani, Fraccaroli, Lilli, ebbe a scrivere nel suo incendiario pamphet ‘Addio Wanda’ (Longanesi editore, 1956) ‘sono stato un avversario della legge Merlin ma ora non c’è più nulla da fare, oggi le battone straripano per le strade delle città senza alcun controllo … la società è volgare e bacchettona, si fa del moralismo idiota come se si potesse applicare il moralismo al sesso che, fortunatamente, ha leggi tutte sue, in quelle case abbiamo imparato ad essere veri uomini … non c’è Dio senza Diavolo e il prostituirsi è il migliore di tutti i diavoli, in bel diavolaccio all’italiana … i nostri soldati sono i migliori del mondo perchè non vanno avanti con fucili e cannoni ma a casini e puttane da espugnare come trincee’.
E ancora Giancarlo Fusco, altro cantore nostalgico delle case chiuse, ‘niente musica e niente balli, nell’harem a prezzo fisso, in una Italianetta di piccoli borghesi in redingote, poi in orbace e via via a seguire in una moda improvvisata, solo congressi carnali’.
Non dimenticando, pure se fuori dal contesto, come testimonianza diversa, l’impegno sacerdotale di carità cristiana di Don Andrea Gallo fondatore della ‘Comunità San Benedetto al porto di Genova’, in aiuto ai ‘diseredati della vita’;  in una intervista al giornalista Marcello Zinola del Secolo XIX ebbe a dire ‘penso e credo al riscatto delle donne e degli uomini che si prostituiscono, il vero problema da affrontare è lo sfruttamento come azione immorale e sovente criminosa’.
 
La signora Lina Merlin, senatrice, ostinata e purtroppo anche socialista (ma poi fu allontanata dal PSI), il 20 settebre del 1958, decretò la fine delle case chiuse, credendo in tal modo di poter eliminare uno ‘sconcio  oltre che difendere la dignità delle donne’, significativa e per alcuni aspetti emblematica la data del 20 settembre stesso giorno e mese dell’apertura della breccia di Porta Pia (nel 1870 da parte delle truppe italiane), una concomitanza disgraziata che vide altre e meno papali ‘brecce’ desolatamente chiuse e mai più riaperte, il tramonto di una istituzione per molti aspetti di valore sociale, un atto che rese ”gli italiani meno italiani’, l’ipocrisia a mortificare il diritto al piacere,
Delle conseguenze, palpabili in ogni angolo di strada, una piaga terribile, evitiamo di scrivere per non fare inutile retorica, il problema morale è sminiuto oltre che ambiguo, anche la Chiesa si mostra latitante, evidentemente il mercemonio della prostituzione è oggi concepito come un fatto ineluttabile e neppure il più eclatante; interventi di polizia negli anni passati  avevano in parte ridotta la prostituzione  ‘peripatetica’ ma poi, con l’avvento di internet, tutto è riprecipitato in una nuova e ancor più pericolosa Sodoma e Gamorra.
Problemi evidentemente per tutti i Paesi, non a caso è ‘il mestiere più vecchio del mondo’, nel Nord Europa si è cercato di porre rimedio a questo stato di mercificazione clandestina con i famosi ‘Centri Eros’, autogestiti dalle stesse prostitute in ambienti dati in affitto dalle autorità locali, registratori di cassa e libri contabili, con a carico tutte le spese inerenti per le utenze, visite mediche settimanali e obbligatorie, ricoveri ospedalieri, assicurazioni e ovviamente in percentuale il pagamento delle tasse sul reddito dichiarato (che già dal 41 d.C. ci aveva pensato l’imperatore romano Caligola imponendo un prelievo del 20%. sui guadagni derivanti dalla prostituzione)
Il ricordo di quei tempi è ancora vivo, un mondo sicuramente più intrigante di questo artefatto di oggi e di come propongono con fini prettamente commerciali riviste patinate del porno, internet, smartphone, tablet, una liberazione al piacere (come scriveva Gustave Flaubert nel suo celebre romanzo ‘Madame Bovary’, ‘l’urto dei sogni con la realtà quotidiana’), un calcio alle ipocrisie e ai falsi principi, intesi come peccato e fonte di non pochi guai e castrazioni mentali, un percorso senza rotte predeterminate (da religione Cattolica e perbenismo), senza bussole, senza fari illuminanti, senza salvagenti, solo naufragi felici nel mare del piacere,‘ils envoient leur coscience au bordel et tiennet leur contenance er regle’ (Michel de Montaigne).
A Savona le case di meritricio, almeno quelle ufficiali censite dalla Questura, erano tre.
‘A Spagnola’, tariffa 7 lire, un solo grande ambiente a pochi gradini a salire da corso Mazzini, al n°12 bis, fronte la fortezza del Priamar, con finestre nel cortile della via Untoria sottostante.
‘Via Fraschieri‘ nell’omonima strada, tariffa 5 lire, tre piani, inizialmente con un solo ingresso al n°2 e successivamente ampliata con altro ingresso al n°4, la più  nota e ‘commerciale casa d’appuntamenti della città’ per via della capienza e del prezzo equo delle prestazioni.
‘Via Quarda Superiore’ al n°20 (vedasi a proposito articolo sullo stesso blog ‘le signorine di via Quarda’), ambiente unico al primo piano, prezzi variabili secondo le richieste dei clienti, una ariosa finestra sul mare della darsena, luogo abusivo per lunghi anni e censita solo dopo qualche tempo a seguito della scoperta, con processo e condanna di alcuni funzionari compiacenti.
Gli anedoti, le commedie, i drammi consumati in queste ‘oasi del piacere facile’, ‘luoghi di perdizione’ per alcuni, sono impressi nelle nostre menti e mai cancelleremo, sono flash struggenti che aiutano a ricordare per continuare, a una certà età, a voler voglia di vivere; il sabato sera le mogli facevano finta di credere che il marito fosse al bar con gli amici e le figlie al cinema, è successo di qualche fatto clamoroso con incontri all’insaputa tra loro di parenti  ma tutto si risolveva in silenzio per il quieto vivere e il perbenismo di facciata; c’erano poi i soliti buontemponi, goliardi impenitenti, che all’improvviso urlavano ‘mamma, ma che fai qui?’ oppure ‘ma quand’è che il Vescovo lascia libera la Giuseppina,  sta facendo forse una doppia con i soldi delle elemosine della domenica?’, insomma si rideva e con gusto.
‘Giovanotto che l’abbiamo l’età?’, si barava per poter entrare spesso falsificando i documenti, comunque la maitresse quasi sempre lasciava correre, se succedeva qualcosa a seguito di controlli improvvisi si attaccava al telefono per far intervenire qualche buon amico delle forze dell’ordine che provvedeva a sistemare prontamente.
Più o meno, l’arredamento era lo stesso per tutte le case chiuse, un ingresso ampio con in un angolo la cassa con la maietresse agghindata di ori, collane, orecchini, spille e anelli a mo’ di albero di Natale, a sovrintendere ogni cosa, tutto intorno addossate alle pareti  panche o sedie con dietro, d’inverno, i termosifoni a tutto calore, poi le salette, o la scala per i piani superiori, dove venivano consumati i rapporti, discreta pulizia sia pure con quell’odore inconfondibile di disinfettante misto ai profumi delle signorine, alle pareti i soliti cartelli pubblicitari del ‘Mom’ polvere per eliminare le piattole e dell abusato ‘Flit’ importato dagli americani nell’immediato dopo guerra e miracoloso, si diceva, per tutto e per tutti.
Vogliamo qui terminare con tre testimonianze, ognuna riferita a una delle tre case di tolleranza, operanti allora a Savona, non specificamente indicate per una forma di tutela delle signore intervistate, ieri signorine, oggi in età avanzata ma con discreta salute e limpidezza di ricordi,  felice matrimonio se pur vedove, figli e nipoti, stabilitesi a seguito della legge Merlin nella nostra città, i fatti sono veri così come i nomi. Maddalena’, proveniente dal Basso Piemonte, una scatenata biondina molto richiesta dai clienti per i suoi straordinari scioglilingua  ‘ogni mese inviavo quei pochi soldi guadagnati, privandomene quasi del tutto, ai vecchi genitori ammalati che mi credevano impiegata come commessa in una lavanderia; un giorno riconobbi nella sala d’attesa Don C*****, parroco di un paesino vicino a Ceva e anche lui mi riconobbe, si avvicinò e come se nulla fosse mi disse di stare tranquilla, già aveva scelto la signorina con la quale salire in camera e che in ogni caso mai e poi mai avrebbe detto nulla ai miei genitori…: non passò neppure una settimana che mio padre piombò come una furia nel casino, prendermi a schiaffi e dopo una scenata memorabile rivolta alla maitresse, farmi salire sul primo autobus diretto a casa, insomma quel prete aveva posto in atto i buoni principi delle opere di bene e delle marchette’.
Carmen’ , proveniente dal Veneto, formosa e non altissima e per questo con scarpe con ridicoli tacchi a mo’ di turaccioli di sughero, allegra e disponibile con i clienti di una certa età che non esitavano per ingraziarsela a farle piccoli regalini anche in oro, collanine e anelli  ‘quel maledetto 20 settembre non sapevo dove andare, senza soldi, senza futuro. senza protettore, dovetti vendermi quei pochi gioielli che possedevo per campare alla giornata, la Merlin aveva promesso un sacco di cose, in realtà non ne mantenne una, per molto tempo ho pensato a lei come alle peggiori delle donne’.
‘Lilly’, milanese, giovanissima forse neppure ventenne, delicata e pallida, un viso perennemente imbronciato da lolita, una vita vissuta con giorni e giorni cadenzati dal ritmo delle marchette ‘tutti finti orgasmi per non deludere i clienti, su e giù dal letto, i reni doloranti e la maggior parte dei soldi guadagnati spesi in sciocchezze, ma almeno vivevo, ero spensierata, poi la Merlin distrusse ogni futuro, un incubo, in seguito fui fortunata a trovare un uomo che indifferente al mio trascorso volle sposarmi’.
… e un giorno, di quelli ‘canaglia’, mi prese all’improvviso il desiderio di rivedere la casa dove avevo trascorso gli anni del dopo guerra.
Via Quarda, poco era cambiato a parte l’edificio accanto della Camera di Commercio ristrutturato, l’atrio del caseggiato con lo stesso  portone in legno rivestito di lamiera, i ventiquattro ripidi scalini a terminare con la finestra sospesa sul mare della darsena: con lo sguardo ormai stanco a rincorrere i fantasmi di un passato struggente, non più i bastimenti a scaricare il carbone, l’odore acre dello zolfo e della pece, i marinai e la magia dei pescatori.
A sinistra del pianerottolo la porta d’ingresso di quello che era stata un celebre casino, appartamento ora occupato da qualcuno per come indicava la targhetta.
Di fronte, sulla destra, la mia casa di famiglia, la porta sempre la stessa costruita da mio padre a ricordarmi il duro lavoro.
Un nodo alla gola, troppo violenta l’emozione, di corsa a ridiscendere le scale, qualche inquilino a guardarmi distrattamente ma nessuno mi aveva riconosciuto.
Gianni Gigliotti

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G.Gigliotti

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