Sono cosciente che con questo articolo mi farò molti nemici, ma spero nel contempo, mi farmi qualche amico. L’estate 2013 è finita. Molti cittadini di Borghetto S.Spirito e non, titolari di bagni marini, bar, negozi di alimentari, frutta e verdura, abbigliamento e altri generi, avranno fatto un bilancio economico delle loro attività. Auguro che siano soddisfatti, compatibilmente con la crisi economica che stiamo attraversando.
Ma non è l’argomento che vorrei trattare in queste righe: bensì parlare di TURISMO e di ciò che possiamo intendere con questa parola.
Lo spunto mi è dato da un articolo di Tomaso MONTANARI, su Il Fatto Quotidiano del 22 settembre 2013, intitolato “VIA I RESIDENTI, DENTRO I TURISTI. IL MODELLO DELL’EMPORIO ITALIA”. L’argomento sono le Grandi Navi che transitano nel Canal Grande di Venezia e dei pericoli che ne possono derivare e del concetto generale di turismo. Trascrivo alcuni stralci:
“L’assedio perpetuo e invincibile delle Grandi Navi non è che il culmine teatrale e simbolico della morte di Venezia e del suicidio del nostro Paese. Venezia non è più una città: i suoi cittadini sono espulsi, giorno dopo giorno, da un processo (ormai avanzatissimo) di trasformazione in macro-oggetto di consumo con servitù inclusa nel prezzo…..Perché una classe dirigente a metà tra l’incapace e il criminale ha trasformato una città in un prodotto di marketing, svendendo, distruggendo, privatizzando, banalizzando…..Ma questa malattia non riguarda solo Venezia, riguarda un po’ tutto il Paese. Non si contano i profeti di quella che Joseph Stiglitz chiama “economia della rendita”: l’idea di sfruttare il “petroli” (cioè la bellezza del paesaggio e del patrimonio artistico italiano) per arricchirci senza ricerca, senza innovazione, senza merito. E proprio come succede nei paesi del Terzo mondo dotati di grandi riserve di materie prime, lo sfruttamento di queste ultime non crea un ciclo economico virtuoso o una redistribuzione di ricchezza, ma alimenta monopoli e produce desertificazione sociale. E a farne le spese non sono solo il paesaggio e il patrimonio….E’ lo stesso futuro di un Paese che immagina se stesso come una nazione di soli osti e albergatori, capace di vivere solo grazie alla rendita del turismo…La vera sfida è che il turismo non si risolva necessariamente nell’ennesima manifestazione del consumismo e dell’omologazione universale, ma riesca a diventare un momento di liberazione personale e di incontro sociale. L’alternativa è tra continuare a coltivare una rendita desertificante e decidersi a costruire le condizioni per un turismo sostenibile: un turismo “spalmato” su tutto il tessuto culturale del Paese…”
Chiedo scusa per la lunga premessa che porta ad una sorta di metafora tra Venezia e Borghetto Santo Spirito, anche se i termini di paragone possono sembrare (e sono) molto improbabili. Il concetto su cui dobbiamo ragionare, però, è quello di TURISMO e cosa esso significhi per noi.
Il Turismo è l’unica, vera “industria” che esista a Borghetto S.S. E’ la semplice realtà nella quale i finti 5.100 residenti vivono e alcuni di essi lavorano. Scarse e di piccolo indotto, le altre realtà economiche che operano nel tessuto del cosiddetto “comprensorio”, inteso come il territorio che va da Borgio Verezzi ad Albenga e relativo entroterra.
Industria nata dalla cementificazione di buona parte del nostro suolo, (con la conseguenza di un danno irreversibile all’ambiente), è stata resa possibile grazie ad una delle più grandi speculazioni edilizie della Liguria, dopo quella avvenuta a Rapallo. Possiamo parlare di “Borghettizzazione”, che inizia con il primo condominio di cinque piani sul mare, costruito nel 1958, e termina nel 1978 con l’adozione di un vero Piano Regolatore. In seguito si continuerà a costruire , fino ai giorni nostri, e se entrerà in vigore il nuovo P.U.C. (Piano Urbanistico Comunale), varato dalla Giunta MALPANGOTTO, portato quasi in porto dalla GiuntaVACCA e che attraccherà (prima o poi) in banchina sotto la Giunta GANDOLFO, altri circa cinquemila alloggi verranno costruiti a Borghetto S.Spirito, che si dovranno sommare ai dodicimila già esistenti.
Tutto in nome del Turismo inteso, ancora una volta, purtroppo, come cementificazione del territorio (… lo sfruttamento di queste ultime (risorse) non crea un ciclo economico virtuoso o una redistribuzione di ricchezza, ma alimenta monopoli e produce desertificazione sociale. ).
Dopo quasi sessant’anni nulla è cambiato.
Un altro aspetto è come viene gestita questa “industria” da parte delle Pubbliche Amministrazioni, dei vari operatori economici e la qualità di ciò che viene proposto ai turisti. Non voglio in questo articolo parlare degli alloggi, non tutti in regola, è risaputo, con i criteri richiesti dalle norme regionali. Voglio parlare del concetto di divertimento.
Questa estate, ad un programma di buon spessore sia culturale che di svago presentato dal Comune, che ha offerto spettacoli ed intrattenimenti di varia natura (dal teatro alla musica lirica, folcloristica e leggera, dalla letteratura alla pittura, alle visite guidate del centro storico ed altro) si è contrapposto un’assordante e anarchica orgia musicale che ci è stata propinata una sera si e l’altra anche , contrabbandando gli ululati dei vari DJ Francone & C. per “Turismo” , mentre in realtà possiamo considerarli solamente un mero esercizio di far cassa, tipo “anche questa sera è andata” o “prendi i soldi e scappa”, senza un minimo di programmazione in sintonia con le manifestazioni promosse dal Comune e alla totale mancanza di una seria intenzione di proporre ai villeggianti un divertimento di qualità.
Non credo che tutto ciò possa definirsi turismo, né posso accettare l’ormai fin troppo sfruttato ed errato concetto che dice “…ma i villeggianti vogliono questo“. Non è vero. Ne sono la dimostrazione i successi degli spettacoli teatrali e della buona musica.
Ecco la condivisione del “lamento” di Tomaso MONTANARI: “La vera sfida è che il turismo non si risolva necessariamente nell’ennesima manifestazione del consumismo e dell’omologazione universale, ma riesca a diventare un momento di liberazione personale e di incontro sociale”.
Concetto molto difficile da accettare, soprattutto, ripeto, in un momento di crisi con quello che stiamo attraversando, ma se vogliamo migliorare l’accoglienza e migliorare noi stessi, la nostra mentalità, la nostra professionalità, dobbiamo rivoluzionare il concetto di operatori economici e iniziare ad interrogarci. A pensare che forse c’è un modo diverso di fare turismo. Senza perdere altro tempo prezioso. O sbaglio?
Silvestro Pampolini