L’esito delle elezioni politiche 2013 presenta, a quanti intendono misurarsi nell’analisi dei dati, aspetti molto interessanti e per certi versi inediti: il risultato del Movimento 5 Stelle, per esempio, rappresenta un record europeo assoluto per formazioni esordienti alle elezioni politiche nei diversi paesi.
Cerco, però, di andare per ordine.
La previsione di un aumento del “non voto” è stata puntualmente rispettata. La quota dei partecipanti al voto che era arrivata nel 2008 all’80,91% è scesa al 75,19%, con un calo del 5,72%.
Inclusa la percentuale del 2,57% relative alle schede bianche e alle schede nulle, il totale dei voti validi è calato di quasi 2.500.000 unità nel corso dei cinque anni (i dati che espongo sono relativi all’elezione per la Camera dei Deputati per la quale concorre il “plenum” degli aventi diritti, essendo il voto del Senato precluso ai giovani tra i 21 e i 25 anni).
Il totale dei voti validi è quindi di 34.002.523: quindi il totale del non voto tocca circa 13 milioni di elettrici ed elettori (nel 2008 10.500.000 circa) con un incremento di 2.500.000.
Ferma restando la necessità di approfondire la dinamica dei flussi si può quindi affermare che nessuna forza politica sia risultata in grado di intercettare in misura significativa la disaffezione e, di conseguenza, l’alto tasso di volatilità fatto registrare verso le nuove liste che hanno ottenuto significativi risultati (8.688.545 voti per il Movimento 5 Stelle, 2.823.814 voti per la Scelta Civica di Mario Monti, 1.090.802 voti per SeL) si può considerare del tutto interna al sistema.
In queste condizioni è apparso del tutto fuori luogo parlare di “eccezionale rimonta” da parte di Silvio Berlusconi e del centro destra: la coalizione ha perso, in cinque anni, 7.141.406 voti (il PDL ha ceduto 6.297.000 voti circa, la Lega Nord 1.600.000, parzialmente compensati dai suffragi raccolti da nuove formazioni, fra le quali ha ottenuto senz’altro un risultato considerevole, date le circostanze, Fratelli d’Italia con 666.001 voto).
L’effetto “rimonta” (mai del resto stato in campo per davvero) è stato dovuto al contemporaneo vistoso calo del PD e della coalizione di centrosinistra che nel 2008 era composta dallo stesso PD e dall’IDV raccogliendo 13.689,330 voti, mentre la coalizione formatasi per il 2013 tra PD, SeL e Centro Democratico di Tabacci e Donadi ne ha raccolti 10.047.507 (un saldo negativo di 3.642.000 circa).
In realtà il PD aveva goduto di sondaggi favorevoli al momento delle “primarie”, sia per l’assenza in quel momento di competitori sul piano politico (Monti faceva ancora il tecnico “super partes”, il centrodestra appariva smarrito e senza guida, il Movimento 5 Stelle era sicuramente sottostimato), sia per l’enfasi mediatica che quell’avvenimento aveva suscitato: ebbene lo stesso PD è rimasto prigioniero nel recinto stabilito dalle primarie. Tra il 3 milioni di partecipanti a quell’evento (un evento da fruire è stato scritto) e gli 8.642.700 voti raccolti il 24 e 25 febbraio emerge la dimostrazione di una scarsa capacità dei partecipanti alle primarie di rappresentare uno “zoccolo duro” di attivisti capaci di coinvolgere davvero ampi strati dell’opinione pubblica.
Inoltre il PD ha confermato la debolezza delle sue scelte rispetto al “partner” di coalizione: sia l’IDV nel 2008, sia Sel nel 2013, hanno raccolto meno voti del consueto “partner” del PDL, cioè la Lega Nord che pure in forte crisi, anche in questa occasione ha superato il confronto diretto.
Sorge a questo punto una domanda: da dove arrivano allora gli oltre 11.500.000 voti che rappresentano la somma dei voti raccolti da Movimento 5 Stelle e Scelta Civica di Monti? Difficile rispondere, ma si può ipotizzare, fatto salvo il dato di “cannibalizzazione” da parte di Scelta Civica dei suoi alleati (l’UDC ha ceduto sul campo circa 1.400.000 voti passando da 2.000.000 a 600.000, mentre FLI si è fermata a soli 150.000 voti ottenuti su tutto il territorio nazionale), un ingresso “bipartisan” di voti a favore del Movimento 5 Stelle.
Sarebbe la prima volta che, in Italia dalla modifica della legge elettorale avvenuta nel 1993 con l’adozione del maggioritario poi corretto nell’attuale proporzionale con premio di maggioranza, un fenomeno del genere si è manifestato in tali rilevanti proporzioni, di effettivo passaggio da entrambi i fronti del defunto bipolarismo italiano, a una “terza forza” dalle caratteristiche per ora di tipo precipuamente protestatario e formata sul modello del “partito elettorale personale”.
Un fenomeno che ritengo non debba essere assegnato a quella che la vulgata corrente definisce come “antipolitica”, ma piuttosto considerato come una novità dell’offerta politica, basata insieme su di un mix tra metodi tradizionali (il comizio in piazza), strumenti innovativi (il web) e una forma inedita di “Capo che parla alle masse”, forse una forma post-moderna che potrebbe anche preludere a una trasformazione nell’esercizio del ruolo.
L’affermazione del movimento 5 Stelle segna comunque il “de profundis” per il particolare “bipolarismo all’italiana” fondato su larghe (e litigiose coalizioni) ma per un certo periodo entrato nella mentalità del cosiddetto elettore “mediano”.
Le due coalizioni maggioritarie nel 2008 avevano assommato l’84,46% dei voti validi (46,81% il centrodestra, 37,55% l’alleanza PD-IDV).
Adesso le prime due coalizioni assommano all’incirca al 58,73%, con una flessione complessiva del 25,73%.
La caduta del bipolarismo richiama il tema della modifica della legge elettorale che, in questa occasione, ha davvero fornito una pessima prova rispetto alla capacità del meccanismo di fornire un esito sulla base del quale garantire –come si dovrebbe- rappresentanza e governabilità. Inutile fare l’elenco delle criticità; l’assegnazione del premio di maggioranza su base regionale al Senato, le liste bloccate, l’esagerato premio di maggioranza ottenibile senza il raggiungimento di alcuna soglia minima (nel caso la coalizione vincente alla Camera con il 29,54% ottiene il 54% dei seggi: una dimensione davvero squilibrata).
Quello della legge elettorale dovrebbe essere il punto di partenza (e magari anche d’arrivo) della prossima legislatura anche perché il combinato disposto tra l’insufficienza della legge a garantire una adeguata rappresentanza politica nel Paese e la crescita dell’astensionismo rappresenta una fonte di delegittimazione istituzionale che non credo proprio possa essere facilmente ignorata.
E’ evidente che il passaggio, ormai reso evidente dei fatti, dal bipolarismo a una nuova forma di multipartitismo, rende necessaria una riflessione su di una proposta di legge elettorale proporzionale la cui formula possa garantire al meglio la rappresentanza delle diverse sensibilità politiche presenti nella società italiana.
Infine il disastro di Rivoluzione Civile: sinceramente pensavo che il disastro dell’Arcobaleno, nel 2008, avesse rappresentato il flop più vistoso nella recente storia elettorale dell’Italia repubblicana. Il record è stato battuto: nelle elezioni 2008 Arcobaleno e IDV (forze d’origine di Rivoluzione Civile) aveva ottenuto oltre 2.670.000 voti, Rivoluzione Civile ne ha conseguito 765.054. Considerato che SeL (frutto in larga parte di una scissione di Rifondazione Comunista) ha avuto circa 1.000.000 di voti, si può dire che Rivoluzione Civile ha ceduto un altro milione di voti, suddiviso tra Movimento 5 Stelle e astensione. Sempre valutando il risultato di SeL si può anche affermare, con una certa tranquillità, che l’apporto fornito a Rivoluzione Civile, beninteso in termini di voti e non certo in termini di militanza, dalle forze che avevano fatto parte della Lista Arcobaleno (Rifondazione Comunista, PdCI, Verdi) , è risultato ridottissimo, al punto da far pensare come quasi sparito un elettorato di appartenenza “storica”.
Il fallimento di Rivoluzione Civile pone con massima urgenza il tema di una nuova soggettività politica rappresentativa di una sinistra d’alternativa comunista e anticapitalista aprendo, attraverso adeguati meccanismi di coinvolgimento della base sociale, un forte dibattito sui temi della crisi e della sua gestione in termini di ricollocazione di classe, delle lotte sociali, di una qualità dell’agire politico non vincolato dalla personalizzazione della politica e dal peso di esigenza di governabilità, ma collocato nel pieno del rispetto dell’identità parlamentare della Repubblica così come disegnata dalla Costituzione Repubblicana.
Franco Astengo
DA PARTITO A PARTITO: UNA PRIMA ANALISI SUI FLUSSI ELETTORALI
In quest’occasione presento una primissima analisi sui flussi elettorali verificatisi nell’occasione delle elezioni legislative generali del 24-25 febbraio 2013: i dati trattati sono quelli concernenti la Camera dei Deputati.
Le cifre, ovviamente, sono state ridotte alle migliaia: un lavoro eseguito sulla base dei dati delle diverse circoscrizioni e che dovrà essere affinato, in seguito e con molta pazienza, per avere a disposizione numeri più esatti.
In ogni caso, però, l’ordine di grandezza dello scambio avuto tra le maggiori forze politiche dovrebbe essere, a livello – appunto – di grandi numeri quello che ho cercato di individuare nell’occasione.
Ovviamente i livelli d’interscambio saranno stati sicuramente più sofisticati, ma la domanda di fondo cui interessa rispondere, in questa fase, credo sia la seguente: dove sono finiti i milioni di voti persi dalle principali forze politiche a favore del Movimento 5 Stelle, della Scelta Civica di Monti, e dell’astensione?
E’ evidente che anche le forze politiche perdenti avranno avuto dei flussi di entrata, sia pure minimi, ma proprio questi flussi potranno essere individuati, in futuro, con un approfondimento di analisi condotto in maniera molto più sofisticata.
Ho cercato, sia pure in modo grossolano, di lavorare sulle cifre assolute proprio per evidenziare l’entità degli spostamenti in quanto le percentuali finiscono con lo attenuare l’impatto nella percezione di chi esamina i dati.
Andando per ordine vediamo allora l’indirizzo delle perdite:
il PDL ha perso 6.300.000 di voti circa, così indirizzati: 600.000 voti circa alle piccole liste alleate, 2.700.000 all’astensione, 1.400.000 alla Lista Monti, 1.600.000 al Movimento 5 Stelle.
Il PD ha perso 3.500.000 di voti circa, così indirizzati: 1.500.000 al Movimento 5 Stelle, 400.000 alla Lista Monti, 200.000 all’alleato SeL, 1.400.000 all’astensione.
La somma ottenuta nelle elezioni del 2008 da Arcobaleno e IDV era di circa 2.700.000 voti, di conseguenza la lista Rivoluzione Civile, appoggiata da tutti i soggetti che avevano fatto parte di queste formazioni, ha ceduto circa 2.000.000 voti fornendone 600.000 a SeL (frutto di una scissione di Rifondazione Comunista), 800.000 al Movimento 5 Stelle e 600.000 voti all’astensione.
L’UDC ha ceduto, tra il 2008 ed il 2013, 1.400.000 voti, rimpinguando la lista Monti per 1.000.000 di voti circa, con 400.000 nuovi astenuti.
La Lega Nord ha perso 1.600.000 voti, con 1.000.000 voti dirottati verso il Movimento 5 Stelle e circa 600.000 all’astensione.
Verifichiamo adesso i flussi di entrata per i 3 soggetti che ne hanno principalmente usufruito (salvo ripeto movimento minori che dovranno essere fatti oggetto di ulteriori indagini).
Il “non voto” ha avuto 2.700.000 nuove adesioni dal PDL, 1.400.000 dal PD, 600.000 dalla somma Arcobaleno e IDV, 400.000 dall’UDC, 600.000 dalla Lega Nord, mentre ha ceduto 2.000.000 di voti circa al Movimento 5 Stelle.
Il Movimento 5 Stelle ha avuto 2.000.000 di voti circa dall’astensione, 1.600.000 dal PDL, 1.500.000 dal PD, 800.000 dalle liste che hanno formato Rivoluzione Civile, 1.000.000 dalla Lega Nord. Con il Movimento 5 stelle si apre davvero un capitolo nuovo: esso, infatti, è protagonista di un alto tasso complessivo di volatilità elettorale (oltre il 30% a dimostrazione del fatto che l’offerta politica è stata davvero interpretata come “diversa” da larghi strati dell’elettorato) ma, in una forma del tutto inedita in queste dimensioni, in una misura davvero “bipartisan”. In questo senso, sconfinando dal tema posto in questo intervento, il comportamento elettorale dei parlamentari di questo Movimento non potrà che essere misurato davvero sul giudizio caso, per caso: il “modello Sicilia” tanto per intenderci che potrebbe, però, anche ad una positiva rivalutazione dell’iniziativa parlamentare, frustrata in questi anni dall’eccesso di decreti legge e di voti di fiducia.
La Lista Scelta Civica per Monti, dal canto suo, ha ottenuto circa 400.000 voti dal PD, 1.400.000 dal PDL e 1.000.000 dall’UDC: una composizione che, da questo punto di vista, la vede più sbilanciata verso il centro-destra che non in altre direzioni.
Sarà necessario, nei prossimi giorni, verificare anche la dislocazione geografica del voto che pure, grosso modo sembra seguire linee più tradizionali, anche se è da far rilevare come sia emerso un caso clamoroso di difformità nell’esito tra il “colore” politico dell’amministrazione regionale e l’esito del voto: mi riferisco al caso della Puglia che mi è parso davvero eclatante nello scarto che si è rivelato tra la dimensione amministrativa e quella politica.
Franco Astengo