Ma qualche maligno mi ha detto che in Piemonte a molti politici la cultura non piace “perché non paga, perché non fa guadagnare”. C’è da chiedersi se esista qualcuno capace di capire il valore di certe opere d’arte, senza trascurare che il Colosseo fu usato per secoli come cava di pietra (“Quod non fecerunt barbari, Barbarini fecerunt”), gli acquedotti romani furono usati come approvvigionamento di mattoni e la Madeleine fu abbandonata per decenni, finché qualcuno ne capì il valore e decise di farla restaurare: si chiamava Napoleone. Per questo ho pensato di includere qualche immagine della ferrovia, casomai qualcuno avesse preso certe decisioni senza neppure averla vista.
La ferrovia dell’alta Val Tanaro, opera d’arte di fine Ottocento, ha uno stile irripetibile fatto di arditi viadotti in mattoni, alti su Ormea e ancor più su Ceva e sul Tanaro di Nucetto, fatto di gallerie e di ponti, opere che oggi nessuno costruirebbe solo per farci correre sopra un trenino da quattro soldi, su 35 chilometri a binario unico. Eppure, in questo momento, qualcuno ha deciso di sopprimerla. Per pura incultura: perché non si distrugge un’opera d’arte solo per risparmiare quattro soldi. E tantomeno per fingere di farlo. Anche perché, a proposito di risparmio, dal momento in cui si decide di non usare più la ferrovia, è inevitabile che i passi successivi siano la sua dismissione e la sua demolizione. Come se l’opera d’arte non valesse più nulla, anzi come se fosse molto peggio di nulla: perché il costo per demolirla spesso è molto più alto di quello necessario per tenerla in vita.
Un’opera d’arte è un patrimonio di tutti, non solo di una città, di una regione o di una valle. Trenitalia ne ha tante, sparse dappertutto, e sembra non curarsene. Ma per l’alta Val Tanaro la ferrovia è semplicemente unica, oltre ad essere il solo investimento importante che lo Stato italiano abbia mai fatto proprio lì: un’altra ragione perché non ci sia politico al mondo che possa decidere di distruggerla. Col rischio di fare, alla fine, la stessa figura di chi ha buttato via i mobili di casa per poi costringere i nipoti a comprarne altri dopo un secolo, identici, nei negozi degli antiquari a prezzi da capogiro.
La stessa figura dei Barberini a Roma. Milano piange ancora l’abbattimento delle mura spagnole seicentesche, a suo tempo costate undici anni di lavoro e una somma enorme, mura simili a quelle che a Lucca
restano uno dei maggiori poli di attrazione e una delle passeggiate più belle; e l’eliminazione dei Navigli scotta così tanto che qualcuno pensa di ripristinarli.
L’ipocrisia dei distruttori milanesi è arrivata al punto che, quando è stata abbattuta la chiesa di S. Giovanni in Conca, salvarono una parte dell’abside, per tramandarne la memoria come se fosse un rudere mentre era solo il risultato di uno sconcio. Roma piange ancora gli sventramenti insensati fatti dal fascismo nel centro storico e la distruzione della villa Ludovisi a fine Ottocento per una bassa speculazione edilizia. Genova, il suo Ponente e il castello Raggio sono stati sconciati per nobili ragioni industriali: oggi, che queste ragioni non ci sono più, resta lo sconcio imperituro. Ci manca solo che l’alta Val Tanaro, incapace di difendere un’opera d’arte che le appartiene, debba piangerne in futuro la demolizione con la futile soddisfazione di potersela prendere troppo tardi con gli irresponsabili che l’hanno imposta, abusando dello straccio di potere che hanno avuto in un certo momento, usando il pretesto di un risparmio discutibile, senza pagarne le conseguenze neppure con una diminuzione di popolarità.
Supponevo che da tempo si fosse imparato a non fare sciocchezze di questo genere: ma mi sbagliavo. Perché forse esistono ancora sacche di superficialità dove si pensa di salvare la Patria distruggendo le opere d’arte del passato, e forse una di queste si trova in Piemonte. Se è così, allora spero che arrivino nuovi politici più illuminati, con una visione del futuro meno banale. Anzi, semplicemente con una visione del futuro.
In proposito, vorrei ricordare proprio ai politici che una delle maggiori entrate dell’Italia è costituita dal turismo, che le città d’arte sono prese d’assalto dai turisti e che il turismo italiano è in calo solo per l’idiozia di chi dovrebbe farlo incrementare e invece lo disprezza proprio perché convinto che “la cultura non dà mangiare”. E, dal punto di vista del turismo, la futura ferrovia Ceva Ormea – se fosse tenuta bene, se fosse servita bene, se si fosse capace di farla funzionare come si deve, se fosse “venduta” bene – sarebbe davvero un’attrattiva quasi unica nel suo genere. Perché, non sono molte le valli montane arricchite da un trenino, orrendo per via degli sporchi, brutti e vetusti veicoli impiegati da Trenitalia, ma navigante su una struttura artistica elegante, oltre che funzionale.
Abbiamo appena letto un comunicato stampa relativo alla decisione di sopprimere un certo numero di treni – incluso quello tra Ceva e Ormea – trasferendo l’intero trasporto agli autobus “a un costo notevolmente inferiore”, per risparmiare un mucchio di soldi: addirittura il 9% quest’anno e il 15% nel 2013. Una cosa che non appare molto difficile se, avendo due servizi in parallelo, uno dei due viene abolito per favorire l’altro. Tanto più se si abolisce quello che paga un’assurda prebenda a Trenitalia mentre l’altro paga solo la tassa di circolazione. Peccato che in questo comunicato non ci sia il minimo accenno al costo dell’uno né a quello dell’altro. Peccato che non ci sia la minima analisi della situazione. Peccato che non si dica ciò che si dovrebbe dire: ossia “abbiamo esaminato la situazione dei due casi paralleli, nella prospettiva di abolirne uno dei due a favore dell’altro e siamo arrivati alla seguente conclusione…”.
Io non so nulla degli altri treni secondari del Piemonte, ma non credo minimamente che per tutti valgano considerazioni identiche. Ciò significa che una decisione di tagli generali è quasi certamente “un tanto al chilo”, superficiale e dannosa, un po’ come le decimazioni che durante le guerre facevano fucilare a casaccio il dieci per cento de soldati di un battaglione, solo perché questo si era ribellato a qualche ordine insensato. Tanto più che, quanto alla Ceva-Ormea, l’eutanasia ferroviaria sembra basata sui seguenti argomenti economici che rileggo: “Pare che la Regione l’anno passato abbia pagato a Trenitalia la bellezza di 17 €/chilometro (1.160.000 € per 68.242 km percorsi dai treni in un anno). Mentre il servizio autobus costa mediamente meno di 2,50 €/ chilometro percorso, ivi incluso il noleggio, la manutenzione, l’autista e il gasolio. Considerato che a sua volta Trenitalia per l’uso della linea ferroviaria paga a RFI 1,30 €/chilometro, dei quattrini ricevuti dalla Regione le restano 13,20 €/chilometro: ossia, oltre 5 volte il costo dell’autobus. Sembra impossibile”.
Dunque, a quanto pare, il grosso della spesa sta in un’incredibile cifra pretesa da Trenitalia, tanto più incomprensibile in quanto, essendo quella che più pesa sulla decisione di chiudere il servizio, quando questo sarà finito Trenitalia non incasserà più nulla. Mentre la situazione potrà essere del tutto diversa se e quando la ferrovia sarà alienata da Trenitalia e utilizzata per farci viaggiare un tram, perché il suo costo vivo non potrà superare quello di una modesta gestione. Perché il tram non ha bisogno di complicati semafori, perché viaggia a vista e può fermarsi dove si vuole (persino dove serve, incluse le stazioni originali, ammesso che servano ancora) e perché non ha bisogno di quei complicati sistemi di automazione che a quanto pare impediscono di usare il treno quando c’è la neve. E perfino le sbarre automatiche dei passaggi a livello potranno essere eliminate perché, pur potendo far comodo (visto che ci sono), tuttavia non sono indispensabili: qualcuno può immaginare come sarebbe il centro di Milano se tutti gli incroci (ossia i “passaggi a livello”) dei tram fossero protetti da sbarre?
In ogni caso – per funzionare e per essere economico – il tram, che offre il vantaggio di correre in sede protetta su una linea
perfino elettrificabile (mai sentito parlare dell’inquinamento atmosferico e della CO2?), ovviamente dovrà sostituire ogni servizio alternativo di autobus. Quindi, nel fare i conti economici, il servizio/treno deve essere paragonato a un servizio/autobus di pari efficienza, considerando l’uno e l’altro come alternative senza concorrenti. E il servizio su binario va valutato come se il costo di questo binario fosse minimo, così come è nullo il costo della strada: perché nessuno può addebitare a un utente l’interesse su un patrimonio inesistente, visto che la ferrovia – una volta dismessa – al meglio è destinata ad essere ceduta da Trenitalia ai Comuni in cui transita, per farne chissà quale cosa di utilità trascurabile.
Tutti sanno che, negli ultimi anni, sulla Ceva-Ormea i treni da molto tempo viaggiavano quasi vuoti, salvo che trasportassero scolaresche. Però mi domando se chi ha deciso di sopprimerla abbia dedicato
un po’ del suo tempo a cercar di capire perché questi treni viaggiassero vuoti, e gli chiedo di considerare l’assurdità di aver messo i treni in concorrenza con autobus capaci di fermare dovunque, mentre i treni devono fermarsi solo nelle stazioni, per quanto queste siano scomode e lontane dagli abitati. Per questo propongo un tram che possa fermarsi dove serve, proprio come gli autobus e che possa essere gestito dalle stesse società che oggi gestiscono gli autobus per evitare concorrenze e conflitti.
Non sarebbe la prima volta che un’analisi economica, poco professionale per quanto appaia sensata, si riveli sbagliata quando si approfondiscono i fatti e i costi. Non sarebbe la prima volta che un’azienda fallisca a causa di decisioni basate su analisi scorrette.
Sarebbe davvero un peccato se la ferrovia Ceva-Ormea, perfettamente funzionante perché ristrutturata una ventina d’anni con un grosso investimento, sostituendo persino binari e traversine, venisse soppressa a causa di un’analisi superficiale e sbagliata. Sarebbe tragico se i conti fossero fatti male e se, alla fine, si scoprisse che la sua abolizione non conduce a nessun risparmio. E, forse, data l’attuale disaffezione per la politica, potrebbe accadere che anche chi ne ha deciso la soppressione alla fine non ne trarrà nessun vantaggio. I Barberini, a distanza di secoli, sono noti soprattutto per le loro aggressioni al Colosseo e al Pantheon: ma, a parte questo, qualcuno si ricorda se abbiano fatto anche qualcosa di buono?
Filippo Bonfiglietti