2 agosto 1980,Bologna: mozzicone di sigaretta e memoria di una strage. Le ‘logge coperte’ del ponente ligure
“Si è trattato di un mozzicone di sigaretta, la bomba non è mai stata trovata”: si è pronunciato in questo modo, qualche giorno fa, l’eterno Licio Gelli, il Maestro Venerabile della Loggia P2, ricordando l’immane strage compiuta alla stazione di Bologna il 2 giugno 1980 per opera, intendo ribadirlo anche in questa sede, dei fascisti e dei servizi segreti, più o meno deviati.
La frase di Gelli è rimasta senza repliche perché in questo momento l’intero circo mediatico – politico è impegnato sulle piste della trattativa “Stato – Mafia” del 1992 e a commentare, al proposito, con la consueta puntuale piaggeria l’enorme “arroganza del potere” che ancora una volta si è espressa in tutta la sua volontà di prevaricazione.
Un silenzio che ha tralasciato, così, un punto fondamentale d’analisi che pure poteva essere colto: quello della continuità non solo tra la strage di Bologna e la trattativa “Stato –Mafia” intesa quale continuità nella storia del “doppio Stato” o della “tela di ragno” (come la definì Flamigni, a proposito del delitto Moro), ma come snodo importante dell’intera storia del nostro Paese.
Uno snodo che, in quel 1980 nel corso del quale come ha ricordato Diego Novelli in un suo libro fu messa alla prova la democrazia e che si concluse con i 35 giorni alla Fiat e la marcia dei cosiddetti “quarantamila”, mise in evidenza, almeno agli occhi degli osservatori più attenti, non tanto il “ritorno” al terrorismo fascista (che pure si era verificato) ma l’esigenza di una “teoria politica del terrorismo” che, almeno da Piazza della Fontana in avanti, aveva rappresentato uno degli elementi costitutivi della gestione del potere nel nostro Paese.
Furono svolti alcuni tentativi di analisi in questa direzione, di collegamento tra il terrorismo stragista di evidente matrice “nera”, i servizi segreti, la massoneria occulta della quale la Loggia P2 appariva come l’espressione più evidente (il 1980 fu anche l’anno in cui Gherardo Colombo scoprì gli elenchi di Castiglion Fibiocchi che comprendevano anche le prove del collegamento tra P2 e Mafia, attraverso logge coperte siciliane provviste anche di diramazioni nel Ponente Ligure: tanto per ricordare che, quanto alla mafia al nord, nessuno ha scoperto nulla di nuovo…).
Altri denunciarono il fatto che, in quella direzione, non si fosse mai svolta una valutazione di fondo: il Centro di Riforma dello Stato, diretto da Pietro Ingrao, convocò un convegno su questo tema, proprio ad Arezzo; alcuni coraggiosi tentarono analisi anche in sede locale.
Intanto che le indagini sulla strage marcavano il passo qualcuno, che magari oggi si batte per la “coesione nazionale”, rispose che sarebbe stata sufficiente la riforma dei servizi segreti e che una collocazione diversa della sinistra nel quadro politico (c’erano già stati il “governo delle astensioni” e la “solidarietà nazionale”) avrebbe rappresentato un’ulteriore garanzia per il successo dell’operazione di riforma che tendeva a cambiare il modo di agire d’interi pezzi dello stato e che, comunque, il terrorismo nero, cui si era accompagnato quel tipo di attività dei servizi di sicurezza fosse ormai in declino, se non addirittura in via di estinzione.
Di fronte a questa sconcertante analisi che pure, a sinistra, ebbe piena cittadinanza si replicò – pur nel rischio di rimanere profeti inascoltati – al riguardo della necessità di vedere lo stragismo attraverso una nuova lente, da parte di una sinistra istituzionalmente matura e capace di vedere lo spessore del meccanismo statuale, che riproduceva abilmente se stesso attraverso l’espansione dei corpi separati, aggiungendo come, almeno da Piazza della Fontana in avanti, analizzando i passaggi procedurali si poteva ben vedere come vi fosse stata una gestione politica dei procedimenti.
La sinistra, all’epoca, sulla base di queste analisi avrebbe dovuto elaborare un’idea di riforma dello Stato non attraverso una serie di “elemosine riformistiche”, ma realizzando, non tanto e non solo una magari ottima serie di proposte di legge, ma lavorando a realizzare una trasformazione radicale del quadro politico.
Al centro, insomma, doveva ritornare, secondo questa ipotesi, il tema della “volontà politica”.
Ciò non avvenne, per molteplici ragioni che non ho qui lo spazio per analizzare e che comunque riguardano l’intero corso della storia d’Italia, e abbiamo così assistito – da quel fatidico 2 agosto 1980 – al realizzarsi progressivo di quel meccanismo di autoritarismo, negazione della democrazia, affermazione di poteri occulti contenuti proprio nel documento sulla “Rinascita Nazionale” elaborato nel 1975, proprio dalla Loggia P2 di Licio Gelli, che oggi torna a sostenere che la strage non c’è mai stata.
Vale la pena, invece, come fa puntualmente una compagna recarsi, ogni volta che si scende alla stazione di Bologna, a leggere i nomi scolpiti nella lapide che ricorda quel tragico giorno: un utile esercizio della memoria di un momento fondamentale nella storia d’Italia, non soltanto di tragedia per le famiglie delle vittime ma di dramma per la qualità della nostra democrazia.
Sono debitore, infine, delle analisi relative alla mancata risposta della sinistra in quel momento e nella prospettiva storica più ampia, a un testo, redatto nel Settembre 1980 (pochi giorni dopo la strage) introdotto da Aldo Garzia, con interventi di Stefano Rodotà (all’epoca deputato della Sinistra Indipendente) e di Massimo Cacciari (all’epoca deputato del PCI) e apparso sulle colonne del mensile “Pace e Guerra”, l’organo del “Centro per l’Unità della Sinistra” promosso da esponenti del PdUP, della Sinistra Indipendente e del PCI (Il “Centro Magri-Napoleoni” tanto per intenderci).
Non ho timore di essere tacciato di passatismo: però altra capacità d’analisi e altra volontà di iniziativa politica.
Franco Astengo
Savona, 28 luglio 2012