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Imperia. L’incredibile avventura di Juan Sebastian Elcano, il primo uomo a compiere il periplo della Terra


L’incredibile avventura di Juan Sebastian Elcano. Piangeva Juan Sebastian Elcano, Bastiàn (come lo chiamava la mamma, a Getaria, sul mar di Biscaglia, dove i paesi baschi incontrano i paesi d’oc), mentre pensava cosa scrivere al re Carlo di Spagna.

di Roberto Amoretti

L’arch. Roberto Amoretti a Tenerife (al Médano per la precisione) a fare
wing foil con gli amici e documentarsi sulla  spedizione di Magellano

Piangevano tutti, su quella caracca scassata dal nome altisonante “Victoria”: avevano appena avvistato San Lucar de Barrameda, da dove erano partiti tre anni prima, il 20 settembre 1519, tra un tripudio di folla festante, con 250 uomini e cinque belle navi (Trinidad, San Antonio, Concepciòn, Santiago e Victoria) tutte impavesate, al comando di Ferdinando Magellano.

Aveva un progetto ambizioso il portoghese Magellano: raggiungere il paese delle spezie da ovest, attraversando l’Atlantico e superando le Americhe a sud, attraverso un passaggio nautico che solo lui conosceva (o perlomeno dichiarava di conoscere, con tanta sicurezza che convinse re Carlo a mettergli a disposizione cinque navi, gli equipaggi e tutto il necessario per la spedizione).

Bastiàn guardava i suoi uomini, una ventina di disperati irriconoscibili, con la barba lunga e la pelle bruciata dal sole e dal sale. Nessuno li aspettava più, dopo tre anni senza dare notizie tutti pensavano che Magellano e i suoi si fossero persi negli infiniti oceani…

In realtà quasi tutti erano morti, ma quella ventina di marinai sfiniti, guidati da uno sconosciuto trentenne, che non parlava neanche bene il castigliano, erano lì a testimoniare che la missione era compiuta, il giro del mondo era completato, e molto meglio di loro potevano testimoniarlo i sacchi di chiodi di garofano stivati nella pancia della “Victoria”

Fin dai primi giorni Bastiàn capì che il viaggio sarebbe stato molto complesso e ricco di insidie quando, nella baia del Médano, a Tenerife, dove la flotta era alla fonda per rifornirsi di acqua e limoni, assistette a una furibonda lite tra MagellanoJuan de Cartagena, il fedelissimo del re Carlo, nominato dal re (che non si fidava del portoghese Magellano) comandante aggiunto della spedizione. Magellano con un pretesto fece arrestare Juan de Cartagena, mettendolo ai ceppi. Il mattino dopo, quando la flotta, lasciata la Montaña Roja a dritta, fece rotta verso il Brasile, Bastiàn istintivamente si fece il segno della croce, come vedeva fare ai vecchi marinai di Getaria, quando uscivano dal porto.

Superare l’Atlantico fu relativamente facile, con l’aliseo che spingeva sicuro le cinque navi. Sulle coste del Brasile iniziarono i problemi: tutti si resero conto che il “passaggio” raccontato con sicurezza da Magellano, in realtà era solo un’ipotesi. Infatti il portoghese, mentre bordeggiavano verso sud, dava l’ordine di risalire tutte le baie che incontravano, sperando fosse il passaggio per l’oceano delle spezie. Che queste baie fossero gli estuari di enormi fiumi lo capirono ben presto notando che, navigando verso l’interno, l’acqua diventava dolce…

Era il mese di marzo del 1520 e, dopo aver risalito invano l’ennesimo fiume,  Magellano decise di fermare la flotta per la stagione fredda (che in quei mari è al contrario che da noi). L’ordine non fu preso bene dai capitani Quesada e Mendoza e da parte degli equipaggi, e il malcontento cominciò a serpeggiare. Anche Bastiàn era convinto che non fosse una buona idea fermare a terra cinque navi e centinaia di marinai, in realtà un’accozzaglia di avventurieri e tagliagole di tutte le razze, e si unì all’ammutinamento contro Magellano, collaborando alla liberazione di Juan de Cartagena. L’ammutinamento però fallì, e la reazione di Magellano fu terribile: gli ammutinati, in catene, dovettero assistere all’esecuzione di Quesada e Mendoza, squartati come vitelli, mentre Juan de Cartagena fu abbandonato su un’isola deserta, con un prete (se Dio era con loro, come predicavano, sicuramente li avrebbe salvati…).

Ascoltare le urla disumane degli squartati, per Bastiàn e per gli altri ammutinati, fu come scendere all’inferno e quando Magellano, invece di dare l’ordine di uccidere anche loro, li graziò, fu per loro come tornare in vita, e non dimenticarono mai più quell’episodio.

Ripresero il viaggio verso sud, tra montagne altissime, con neve e ghiaccio che talvolta arrivava fino al mare, con muraglie mai viste, che talvolta franavano in mare, con boati impressionanti. Erano abitate quelle terre inospitali, e sulle alture i locali accendevano grandi fuochi (non si capì mai se per minacciare o per dialogare).

Quando ormai avevano perso la speranza di trovare il “passaggio”, durante l’esplorazione dell’ennesimo canale verso ponente si accorsero che l’acqua rimaneva salata: ecco il sospirato passaggio verso l’oceano delle spezie!

Il nuovo oceano si aprì dopo qualche giorno, enorme, pacifico, e finalmente poterono fare rotta verso nord-ovest, verso il caldo, verso le isole delle spezie. Anche questa volta le informazioni di Magellano si dimostrarono un po’ approssimative: egli era convinto che l’oceano che stavano attraversando fosse molto meno vasto di quanto era in realtà, ma per fortuna, dopo un tempo interminabile in mare aperto, seguendo il volo degli albatros, finalmente avvistarono terra.

Erano isole ricche di alberi da frutta e bestie da cacciare e la gente era ospitale. Troppo bello per durare: Magellano, nonostante l’impegno preso con re Carlo di non interferire nelle questioni locali, si lasciò convincere da un capotribù ad aggredire il capo rivale, nell’isola adiacente. Il Capitano era convinto che, grazie alla polvere da sparo (sconosciuta a quei selvaggi), sarebbe stata una passeggiata: fu un errore fatale!

Ad attenderlo centinaia di guerrieri, male armati ma pronti a tutto pur di difendere la loro isola. Fu una strage, Magellano morì, con i 49 uomini che aveva portato con sé: era il 27 aprile 1521. Per Bastiàn e per la restante parte degli equipaggi fu un dramma: non avevano ancora raggiunto le Molucche, le sospirate isole delle spezie, e avevano già perso il loro comandante, l’unico che, forse, aveva un’idea della rotta giusta da percorrere per arrivare là, ma soprattutto per riportarli a casa.

Duarte Barbosa, il cognato di Magellano, e João Serrão furono nominati nuovi comandanti, ma fu per poco tempo: appena una settimana dopo la morte di Magellano, il raja dell’isola di Cebu organizzò un banchetto per omaggiare gli ufficiali della spedizione. Bastiàn, che aveva il comando della “Concepciòn”, era invitato anche lui, ma all’ultimo momento si diede malato, fu la decisione che gli salvò la vita: i ventisei ufficiali della spedizione che parteciparono al banchetto vennero brutalmente uccisi in un agguato.

Dopo varie vicissitudini ed errori di rotta, il 15 agosto 1521 Espinosa prese il comando della “Trinidad” e Bastiàn prese il comando della “Victoria”, le uniche due navi rimaste, in quanto la “Conceptiòn“, ormai inutilizzabile, fu bruciata, e l’otto novembre, poco più di sei mesi dopo la morte di Magellano, le due navi gettarono l’ancora al largo di Tidore, il primo produttore di chiodi di garofano al mondo, l’isola che Magellano aveva sognato senza mai raggiungere.

Il sultano di Tidore aveva già avuto a che fare con molti commercianti stranieri e sapeva come funzionava il mercato: vennero presi gli accordi necessari e si caricarono i chiodi di garofano sulla Trinidad e sulla Victoria.

A questo punto le due navi si divisero: la Trinidad, dopo essersi fermata a Tidore per alcune riparazioni, avrebbe intrapreso il viaggio di ritorno ripercorrendo la rotta già fatta, attraversando l’oceano Pacifico e, attraverso lo stretto di Magellano, tornare in Atlantico per raggiungere la Spagna. Non l’avrebbero mai più rivista…

Bastiàn, al comando della “Victoria“, aveva da compiere un’impresa sulla carta ancora più ardua: attraversare l’oceano delle Indie e risalire tutta l’Africa atlantica, senza la possibilità di fare scalo nei porti conosciuti, tutti controllati dai portoghesi, portoghesi che avevano il monopolio del commercio delle spezie, e sicuramente li avrebbero fermati in modo violento…

Da questo momento iniziava per lui un altro viaggio, ancora più incerto, con una nave ormai logora, che imbarcava acqua e con un equipaggio inaffidabile. Memore della fine orribile di Quesada e Mendoza, squartati come vitelli, concordava con i suoi uomini ogni scelta (saltare porti conosciuti voleva dire fare i conti con scarsità di acqua e di cibo, talvolta con veri e propri digiuni e razionamenti di acqua). Spesso la scelta era tra morire in un porto per mano dei portoghesi o di stenti in alto mare…

Questi i pensieri che si accavallavano nella mente di Bastiàn, mentre si avvicinava al molo di San Lucar de Barrameda. Ma ora basta pensare in occitano, si disse, proviamo a scrivere (in castigliano): “Mas sabe su Alta Majestad lo que en más aves de estimar y temer es que hemos descubierto e redondeado toda la redondeza del mundo, yendo por el occidente e veniendo por el oriente…”

Imperia, 24 febbraio 2024. Roberto Amoretti

P.S. L’articolo è stato tradotto, con passione e perizia, in occitano da Rosella Pellerino e pubblicato su OUSITANIO VIVO
> (http://www.espaci-occitan.org/news/news/vostra-maestat-sabietz-quavem-fach-lo-vir-del-mond-roberto-amoretti/)


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