Tanto tuonò (nel Pd savonese) che piovve. Anzi diluviò. Ilaria Caprioglio è la nuova inquilina, perché no first lady, di Palazzo Sisto IV. Al centrodestra targato Lega riesce il sorpasso sul più sgangherato centrosinistra della storia e infrange i sogni (mal riposti) di Cristina Battaglia, sconfitta dal malessere del suo partito e dallo scontento, ma usiamo un eufemismo, della città.
Era capitato nel 1994, quando l’ingegner Francesco Gervasio, uomo tutto d’un pezzo, grande esperienza manageriale in 3M, riuscì nel non facile compito di superare il dottor Aldo Pastore, medico di fabbrica, primo a denunciare i veleni dell’Acna, persona d’alto spessore etico e umano. Un’altra partita con tutto il rispetto.
L’inquieta Ilaria, già presidente del Circolo degli Inquieti (creatura concepita da Elio Ferraris, suo Pigmalione, già segretario del Pci negli anni di teardiana memoria), laurea in giurisprudenza, un non troppo lontano passato di frequentatrice delle sfilate milanesi, si ritrova sulla logora poltrona di Federico Berruti. Ci arriva con i voti della Lega e del sempre prolifico Pietro Santi, ex dc di lungo corso, indomito sostenitore di Claudio Scajola, e di una eterogenea pattuglia del vecchio centro destra con la consistente spinta di scontenti e rancorosi in libera uscita dal primo turno.
Un traguardo conquistato da autentica outsider (il M5S, rimasto escluso dal ballottaggio, ha buttato alle ortiche una grande chance di vittoria con una candidatura poco premiante) ma non da isolata. Il Mortirolo, la salita spesso decisiva per vincere il Giro d’Italia, può in qualche modo essere la metafora della sua scalata a Palazzo Sisto IV. Partenza lenta, prime tappe in mezzo al gruppo, qualche imbarazzo di fronte alla muscolarità delle squadre avversarie, poi una lenta ma costante progressione, sostenuta da una gregario di lusso: il governatore Toti, sempre pronto a passarle la borraccia ad ogni sintomo di crisi,ma anche per fare le prove generali in vista della scalata a Palazzo Tursi. L’approdo al ballottaggio aveva sorpreso i più, ma emergevano i segnali di rimonta. Cresceva, cammin facendo, la voglia di tentare la fuga decisiva. Così, l’Ilaria ha preso coraggio. Si è presentata alla sfida decisiva con una formazione compatta e determinata. Tutti insieme appassionatamente per dare la spallata decisiva.
L’esatto contrario del fronte opposto, tormentato e sfilacciato da diatribe, sospetti e faide interne, in un clima avvelenato dalle pasticciaccio brutto delle primarie sfociato nell’esclusione dalla corsa di Livio Di Tullio (dimissionatosi dal Pd ad urne chiuse) e l’uscita di scena di Isabella Sorgini, già regina del welfare, e dell’irriducibile Lirosi con il suo portafoglio di voti. Non sono servite le comparsate di ministri in ordine sparso compresa la divina Boschi. E nemmeno le passeggiate e apericene in compagnia del sempre presente Luca Martino sotto la tutela di Massimo Zunino e con alle spalle l’ombra di Carlo Ruggeri (a volte ritornano). Ed è andata com’è andata. Male. Una sconfitta pesante, da dilettanti allo sbaraglio, Pd allo sfascio, rappresentanza al minimo storico in consiglio comunale, inevitabili dimissioni del segretario Briano, al centro del ciclone e scontato capro espiatorio. Qualcuno, e non solo lui, deve pur pagare la scelleratezza di aver spaccato il partito e di aver mandato allo sbaraglio l’ingenua Cristina, certo immeritevole di passare alla storia per il peggior risultato elettorale della sinistra savonese.
Bilancio. Per la prima volta nella sua storia Savona avrà un sindaco -donna (una sindaca? “No, chiamatemi Ilaria”, sparge miele la neo eletta), espressione per di più di uno schieramento inedito al governo della Città composto dalle forze che tradizionalmente, negli ultimi vent’anni, hanno composto sul piano nazionale quello che è stato definito lo schieramento di centrodestra, in particolare da Forza Italia e dalla Lega Nord, più qualche altro soggetto gravitante in quell’area politica da Ncd, a Fratelli d’Italia (erede per li rami di quella Alleanza Nazionale filiazione diretta del Movimento Sociale Italiano fondato dagli eredi della Repubblica Sociale e tradizionalmente del tutto minoritario sotto la Torretta).
La candidata del centro destra ha vinto perché nell’intervallo tra i due turni è stata capace di intercettare oltre 3 mila voti in più della sua avversaria, in un quadro complessivo contraddistinto da disaffezione e incertezza, con un elettorato per la gran parte privo di una bussola minimamente efficace. Si è così chiuso il ciclo della sinistra di governo e poi del centro sinistra: un ciclo molto lungo, al riguardo del quale vale la pena di sviluppare un’analisi critica, sia pure, breve e schematica.
Svolgendo un passo indietro, come nei vecchi romanzi d’appendice, è il caso di ricordare come, nel periodo contrassegnato dall’utilizzo del sistema elettorale proporzionale e dall’elezione del Sindaco e della Giunta nel seno del Consiglio Comunale (1946-1990), il Comune di Savona sia stato governato, quasi ininterrottamente, da coalizioni di sinistra all’interno delle quali il Pci era risultato forza maggioritaria; tra gli 1966 e 1970 vi fu una breve parentesi di centro-sinistra, dimodochè il Psi è rimasto il solo partito, che in tutto questo periodo, non aveva mai lasciato la “stanza dei bottoni” di Palazzo Sisto IV, salvo due brevissimi intervalli contraddistinti da un monocolore Pci (1984-1985) e da un bi-colore Pci-Pri (1989-1990).
Se vogliamo, quindi, esaminare con attenzione questa lunga fase storica di governo della Città dobbiamo principiare dall’analisi dei rapporti tra le due forze di quella che è stata, nella storia d’Italia, la “sinistra storica”.
Il Pci è stato a Savona il partito di una classe aristocrazia operaia (la città dove Gramsci aveva fondato il partito in Liguria e che vantava il secondo numero di abbonati all’Ordine Nuovo dopo Torino) della Resistenza e della ricostruzione della Città dalle macerie della seconda guerra mondiale: quel lascito è stato del tutto abbandonato, smarrito, in funzione di un deleterio presunto pragmatismo senza principi almeno da oltre vent’anni. E la nostra non è assolutamente nostalgia ma richiamo all’esigenza che il futuro poggi sull’idea di un passato che non può essere dimenticato. Era saggia norma sapere che “siamo tutti nani sulle spalle di giganti”. Nel corso di questi anni il Pci espresse 8 sindaci (Aglietto, Lunardelli, Urbani, Carossino, Scardaoni, Marengo, Magliotto, Tortarolo) il Psi 2 (Martinengo, con la coalizione di centro- sinistra e Zanelli, in carica come primo cittadino alla guida di giunte formate con entrambe le combinazioni di centro-sinistra e di sinistra).
Al mutamento del sistema elettorale (legge 81/93) contrassegnata dall’elezione diretta del Sindaco e dall’attribuzione del premio di maggioranza, abbiamo avuto, dal 1994 al 1998, eletto Sindaco, Francesco Gervasio, alla guida di una inedita coalizione Partito Popolare-Lega Nord-Forza Italia (esperimento tentato a Savona, in molte occasioni come vedremo meglio in seguito “città-laboratorio- politico”, e mai più ripetuto); dal 1998 al 2006 Carlo Ruggeri , alla guida di una coalizione di centrosinistra comprendente, in un primo tempo anche Rifondazione Comunista poi passata all’opposizione, e dal 2006 fino a domenica notte Federico Berruti, anch’egli di centrosinistra inclusa Rifondazione Comunista.
Nel corso di questo itinerario Savona ha smarrito il dato della partecipazione politica e la sua antica identità di città produttiva ed operaia nella logica di scambio tra produttività industriale e speculazione edilizia: la cifra sulla quale si è imperniato l’arretramento storico della Città.
Le due candidate a sindaco pervenute al ballottaggio alla fine hanno assommato circa 22.000 voti: assieme sarebbero state sconfitte non solo da Gervasio e Pastore che nel 1994 di voti ne assommarono 43.000, ma da solo anche dallo stesso Ruggeri 1998 capace di oltrepassare i 22.000 consensi e avrebbero superato a fatica l’ultimo Berruti arrivato a 19.000 voti. Nel frattempo è stata sciupata l’eredità di un patrimonio storico, politico, economico e culturale, smarrita un’identità che non sarà mai più recuperata.
Il Pd, forza di governo uscente, oltre a dotarsi di ormai impresentabili atavici reggitori del potere non è riuscito a declinare il tema di fondo della prospettiva di sviluppo: è mancato, ed è stato punito proprio sul terreno che avrebbe dovuto essergli proprio. Quello della capacità di governo. Il tema, a Savona, non doveva essere recintato soltanto nella pure gravissima questione della cementificazione che ha rappresentato comunque il vero e proprio punto di scambio tra il declino industriale e la speculazione: una responsabilità enorme che dovrebbe pesare come un macigno nella coscienza degli amministratori passati nelle stanze e nei corridoi di Palazzo Sisto IV a rappresentare il centrosinistra, agli amministratori dell’Autorità Portuale, della Camera di Commercio, della Cassa di Risparmio, delle associazioni di categoria industriali, commerciali, artigianali.
Ma c’è di più e anche di più grave come l’aver consegnato la città alla schiavitù delle Crociere Costa senza minimamente prevedere possibilità alternative di sviluppo portuale in tempi nei quali sarebbe stato necessario provvedere a forti investimenti pubblici per adeguarne la struttura alle nuove esigenze del trasporto marittimo. Ancora essersi affidati (in questo non c’è soltanto la responsabilità del Comune di Savona, ma dell’intero Comitato Portuale) all’idea della piattaforma Maersk: a un’azienda, cioè che fin dall’inizio non forniva alcuna garanzia sul piano economico e ambientale e che adesso si trova nella situazione di aver perso, nel corso del 2015, l’82% del proprio fatturato. Scelte prima colpevoli che sbagliate da aggiungere alle questioni di carattere urbanistico, ambientale (vedi la vicenda legata al deposito di bitume in porto), all’insufficienza delle infrastrutture di comunicazione, all’utilizzo erroneo di aree preziose come quelle dell’ex- Metalmetron o di inutilizzo di altre, al mancato recupero d’importanti contenitori storici e di abbandono in mano alla speculazione di altri il cui utilizzo pubblico sarebbe risultato decisivo per una diversa prospettiva economica e di aggregazione culturale e sociale, alle sempre più gravi carenze in materia di servizi sociali e al mancato approntamento di un’alternativa all’abolizione della Circoscrizioni e di nuova rivitalizzazione del decentramento, alle difficoltà nella viabilità e nel traffico in una città disordinata, alle “ombre” riguardanti le ingorde società partecipate nei servizi, in particolare al riguardo dell’Ata.
Prima di andare a vedere il presunto qualunquismo- populismo di un Movimento 5 Stelle capace di fallire il ballottaggio come si fallisce un rigore in movimento e poi per vendetta in grado di dirottare i voti sull’aborrito centro- destra nell’indifferenza (ben giustificata) di metà dei savonesi, gli uscenti (dalla porta, senza rientro dalla finestra) farebbero bene a rileggersi l’agenda appena sopra descritta. Ma farebbero bene a rileggerla anche gli attuali e futuri reggitori del potere: la politica ha grandi difficoltà di espressione nell’era del digitale e dell’esclusivo- televisivo e il voto è volatile quant’altro mai ( i savonesi hanno cambiato idea tra mutamento di fronte e astensione, almeno per il 60% in 5 anni e per una quota di poco inferiore nel lasso di tempo intercorso tra le Europee marca 80 euro e oggi). Un monito, non una promessa.
Ilaria Caprioglio ha vinto ed ha il diritto-dovere di guidare la Città per i prossimi cinque anni. Non avrà compito né vita facile. Molto c’è da fare. Poche le risorse. Ci vorranno idee chiare, dialogo con la gente, progettualità, interventi, a cominciare dalle piccole cose, compattezza. E sarà fondamentale la possibilità di contare su una squadra coesa e soprattutto preparata per ogni singolo compito. Il che presuppone la capacità di scegliere in autonomia e di respingere al mittente le inevitabili cambiali in scadenza, leggasi richieste di posti caldi in giunta e non solo da parte di non disinteressati alleati. La corsa è aperta. Tutto secondo copione. Questa è la (brutta) politica, bellezza.
La redazione di trucioli.it