Quaderno della vita di tutti i giorni di Oreste Arnello detto Cirillo, alias Leoncino, durante la sua guerra da partigiano trascritta con attenzione e competenza da Giuseppe Sabatini.
Un giorno qualcuno in casa mi dice: “Ma perché invece di raccontarci come hai vissuto la guerra, saltando di palo in frasca, non fai una narrazione dettagliata di quanto ti ricordi e la metti per iscritto? Dopotutto la tua partecipazione non è stata quella di un semplice spettatore, tu, quei giorni li hai vissuti da protagonista ed è giusto che la memoria di quanto hai fatto non vada perduta”.
Ci ho pensato un po’ e poi ho deciso di accontentarli, raccontando i fatti come sono realmente accaduti perché parlerò soltanto di quello che ho visto con i miei occhi e di quei fatti a cui ho partecipato.
Se racconterò di qualcosa che mi è stato riferito lo preciserò ogni volta perché è lungi da me l’idea di appropriarmi di azioni a cui non ho partecipato, come qualcuno purtroppo ha fatto.
Il mio nome è Oreste Arnello, conosciuto da tutti come Cirillo, nome che mi fu appioppato dalla mia maestra nelle scuole elementari che mi paragonò per il mio carattere ribelle, ad un carrettiere di allora, insofferente come me ad ogni imposizione. Quando scoppiò la guerra ero un ragazzino di quattordici anni, da poco ero stato assunto in Ferrania come apprendista ed ero stato assegnato all’officina. Potei così assistere all’interno della fabbrica alle manifestazioni organizzate dall’azienda per festeggiare l’entrata nel conflitto dell’Italia.
Per me, allora, il fascismo era l’Italia e tutti gli italiani erano fascisti. Dell’antifascismo, invece, sapevo ben poco, a parte qualche mezza parola sussurrata da mio padre e mia madre, per non farsi sentire da noi ragazzi, a proposito di qualche persona conosciuta di cui si diceva in giro di essere socialista… Altra parola che per me non significava nulla.
Nonostante questo, il 10 giugno del 1940 feci, senza rendermene conto, la mia prima azione antifascista. Dopo essermi sorbito discorsi con tanto di heia-heia- ala-là ogni due parole pronunciate, ritornato in officina, senza assolutamente pensare alle conseguenze, commentai ad alta voce le prestazione oratorie di gerarchi e dirigenti e ridicolizzai il loro modo di vestire.
Apriti cielo. Le mie parole giunsero alle orecchie del Capo reparto che mi prese subito da parte facendomi una vigorosa lavata di capo e naturalmente si premurò di convocare anche mio padre.
A parte prediche e moniti, forse anche per la mia giovane età, l’avventatezza di quelle mie parole non provocò altri guai né per me né per la mia famiglia.
Ho voluto raccontare questo fatto, non per esaltare un mio “atto di eroismo” o di ribellione, ma per far capire quale fosse il mio carattere in quei tempi, un carattere che è probabilmente quello di tutti i giovani e che ti porta prima a parlare e ad agire piuttosto che a pensare quali potranno essere le conseguenze delle tue azioni: parole che potevano costarmi care.
Articolo a cura di Bruno Chiarlone Debenedetti