Dall’architettura della moda internazionale al silenzio della pittura ligure: storia completa di un uomo che cercò la linea come verità.
di Vincenzo Bolia

Non tutti gli artisti attraversano tre mondi diversi lasciando in ciascuno un’impronta riconoscibile. Chino Bert fu stilista, sacerdote benedettino e pittore, ma soprattutto uomo di una sola vocazione profonda: la linea come essenza.
La sua storia comincia nella Pavia degli anni Trenta, passa attraverso Milano, Roma e Parigi e approda infine ad Albenga, la Città delle torri, dove la sua arte maturò nella forma più luminosa e silenziosa.
BIOGRAFIA COMPLETA DI CHINO BERT al secolo Gian Franco Bertolotti, nasce a Pavia il 4 settembre 1932 da Siro e Luigia Moretti. La famiglia comprendeva un fratello, Mario (1924-1944), e una sorella, Teresa (1930- 2008). Frequenta il liceo scientifico Taramelli di Pavia.
A diciannove anni debutta come disegnatore di moda nella maison Rosandré di via Manzoni a Milano: è il 1951. L’anno successivo presenta dieci modelli alla sfilata di Palazzo Pitti a Firenze. La sua linea “Scatola” piace a pochi ma importanti estimatori come la pittrice Brunetta, Giovanni Battista Giorgini e la giornalista Irene Brin. Capisce di non poter essere il manager di se stesso e inizia a disegnare per altri: quattro anni per Maria Antonelli.
Scoperto da Maria Carita, direttrice a Parigi del più celebre salone di bellezza del mondo, illustra servizi di moda per il quotidiano L’Aurore e per il mensile L’Art et la Mode. Nel 1958, Nino Nutrizio, direttore del quotidiano La Notte, gli affida una pagina settimanale di moda, “Per Voi Signore”.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta collabora con Rina Modelli, Jole Veneziani e Pierre Cardin. Nel 1963 presenta venti modelli a Palazzo Pitti con Mila Schön e Loris Abate. Queste e altre collaborazioni gli valgono il prestigioso Premio Neiman Marcus di New York, una sorta di Oscar della moda. Nel 1965 le Fendi lo chiamano per il debutto sulle passerelle più importanti. Poi il silenzio.
Nel 1967 entra nell’abbazia di Santa Scolastica a Subiaco per il noviziato benedettino; il 15 novembre 1970 pronuncia i voti. Il 7 settembre 1974 è ordinato sacerdote e resta nel convento fino al 1982. Poi per ragioni di salute fu trasferito a Fano, città costiera sul mare Adriatico dove il clima era a lui più favorevole. Nel dicembre 1996 è a Santa Marinella lungo la costa tirrenica, quindi a Civitavecchia, sempre sul Tirreno, a 80 km da Roma. Infine il trasferimento, nel giugno 1999, sulla Riviera ligure, prima ad Alassio e, dal 3 luglio 2000, ad Albenga. Il vescovo di Albenga-Imperia, Mario Oliveri, lo nominò cappellano dell’antica chiesa di Santa Maria in Fontibus situata nel centro stocico a pochi èassi dalla chiesa cattedrale di San Michele Arcangelo.
Oltre alla vita religiosa si dedica alla pittura figurativa, astratta e informale, ispirato dalla bellezza naturale e storica del centro medievale di Albenga, uno dei più belli della Liguria.
Il 20 luglio 2012, alle 4.30 del mattino, Chino Bert muore ad Albenga, stroncato da un malore, a 79 anni.
IL FUNERALE- La cattedrale di San Michele Arcangelo era gremita, colma di fedeli, amici e persone che negli anni avevano incrociato la sua presenza discreta nel centro storico.
La Messa fu presieduta dal vescovo Mario Oliveri, affiancato dall’abate-vescovo benedettino Stanislao Andreaotti.
Durante l’omelia, mons. Oliveri ricordò la misura e la serenità che avevano contraddistinto Don Chino: «Nella fede avevi trovato la tua dimensione, e ad Albenga la tua tranquillità». Al termine della celebrazione aggiunse, con voce profondamente toccata: «Ho l’animo pieno di commozione».
LA SEPOLTURA- Chino Bert riposa nel piccolo cimitero del comune di Alto (Cuneo), nelle Alpi liguri: luogo di grande bellezza naturale, silenzioso, raccolto, quasi sospeso, a un passo dal Cielo. Da lassù il panorama si apre sulle montagne e, più in basso, lascia intravedere la “visione” della sua Albenga, la città che lo aveva accolto e in cui aveva trovato pace. A quel borgo lo legava l’amicizia con l’avvocato milanese Michele Santoro, conosciuto proprio ad Albenga: oggi riposano uno accanto all’altro, uniti anche nell’ultimo tratto del cammino
MILANO, ROMA, PARIGI: GLI ANNI DELLA MODA- Il giovane Gian Franco Bertolotti porta a Milano un modo nuovo di disegnare: essenziale, verticale, architettonico. La maison Rosandré intuisce la novità: nessuna curva superflua, nessuno svolazzo, solo struttura.
Nel 1952 presenta dieci modelli a Palazzo Pitti: figure scolpite, asciutte, già moderne. Collabora con Taroni, Terragni, Agnona, contribuendo alla trasformazione della moda italiana.
A Roma vive la stagione del cinema d’oro e dell’alta moda.
A Parigi, la consacrazione: la stampa lo definisce l’italien essentiel, lo stilista che scolpisce sottraendo. Lavora con Mila Schön, con le Fendi, con i primi numeri di Uomo Vogue.
LA SVOLTA SPIRITUALE- Nel 1967 interrompe tutto e sceglie il silenzio. Entra a Santa Scolastica e inizia un cammino interiore rigoroso. Il 15 novembre 1970 diventa frate; il 7 settembre 1974 sacerdote. La linea che prima vestiva i corpi diventa segno di preghiera. Il rigore si trasforma in spiritualità.
ALBENGA: IL LUOGO DELLA MATURITÀ- Nel 1999 arriva in Liguria. Dal 2000 è cappellano di Santa Maria in Fontibus, nel cuore del centro storico di Albenga che gli offre ciò che aveva sempre cercato: misura, silenzio, luce.
La Città delle torri diventa il suo paesaggio interiore.

LO STILE PITTORICO DI CHINO BERT- La pittura di Chino Bert è l’esito di una vita che unisce moda, spiritualità e silenzio.
La linea come struttura del mondo- Silhouettes, verticalità nette, essenzialità pura.
Il colore meditato- Blu profondi, ocra, rossi velati, neri assoluti: un colore che rivela, non impone.
Figure senza tempo- Nessuna scenografia: solo presenze interiori.
Il sacro come condizione umana- Gesti minimi, pudore, inclinazioni leggere.
L’arte come silenzio- La pittura di Don Chino Bert nasceva da una disciplina interiore costruita negli anni, da un ascolto costante della forma e della luce. Era un artista che toglieva più di quanto aggiungesse: la sua mano si muoveva con un rigore che veniva dalla moda, ma soprattutto da una visione spirituale del mondo. Ogni quadro era una scelta, mai un esercizio.
Quando dipingeva non cercava l’effetto, né la scena: cercava la verità minima delle cose. Il colore era meditato come una preghiera: blu che sembravano raccogliere silenzi, rossi che tenevano un respiro, neri che aprivano una profondità inattesa. Le figure erano sospese, sottili, come se nascessero dalla luce più che dalla materia.
Non dipingeva ciò che vedeva, ma ciò che intuiva: un gesto, una piega, una presenza che sfiorava la tela. Era un’arte in cui il vuoto contava quanto il pieno, in cui il silenzio diventava struttura.
Molti osservatori hanno definito la sua pittura “intima”, ma il termine è riduttivo: in realtà era una pittura interiore, capace di contenere una forma di spiritualità laica e insieme profondissima.
Guardando i suoi quadri si percepisce una calma che non è immobilità, ma ascolto. Ogni figura sembra avanzare piano, come se sapesse che la luce non va inseguita: va attesa.
CHINO AD ALBENGA- Una presenza discreta. Gentile, misurato, sempre presente senza mai imporsi.
Albenga come studio a cielo aperto. «Albenga è già un quadro», ripeteva nel suo atelier al civico 28 di via Medaglie d’oro. Torri, pietra, luce, mattoni: tutto diventava pittura.
La presenza di Chino Bert ad Albenga era una presenza che non aveva bisogno di parole. Lo si vedeva camminare piano tra via Medaglie d’Oro, via Bernardo Ricci, piazza San Michele e via Gian Maria Oddo, sempre con lo stesso passo misurato, lo sguardo rivolto verso l’alto o verso un dettaglio di pietra. Molti ricordano la sua abitudine di soffermarsi davanti alle torri al tramonto, quando la luce s’inclinava e i mattoni cambiavano colore. Non annotava nulla, non fotografava: guardava. Era un modo di trattenere la realtà, di trasformarla lentamente in pittura.
Albenga lo aveva adottato con naturalezza. I commercianti lo salutavano con rispetto, i fedeli lo cercavano per una parola discreta, gli anziani del centro storico lo percepivano come una figura amica. Don Chino non aveva bisogno di raccontarsi: era la sua gentilezza a parlare. La sua voce era sempre bassa, controllata, quasi timida; ma il suo sguardo era vivace, curioso e profondamente attento.
Per lui Albenga non era solo il luogo dove esercitava il ministero, ma un orizzonte umano. Diceva che la città “respira storia”: lo affascinavano le stratificazioni, le pietre che cambiavano luce, i vicoli che trattengono il silenzio.
E quelle impressioni, raccolte giorno dopo giorno, diventavano pittura: verticalità come le torri, silenzi come le piazze al mattino presto, colori profondi come il rosso bruno dei palazzi antichi.
Albenga era per lui una scuola di luce e di misura. Un paesaggio spirituale prima ancora che urbano
ALBENGA: LA CITTÀ DELLE TORRI E DELLA LUCE- Un centro storico unico. La Cattedrale di San Michele, il Battistero paleocristiano, le torri medievali, i palazzi nobiliari.
La pietra come memoria. Diceva: «La pietra non invecchia: cambia solo luce».
La luce radente. Morbida, concentrata, mai aggressiva: la stessa che ritorna nei suoi quadri.
Il mare vicino. A due passi dalle torri: «Il mare insegna il limite».
Albenga non fu per lui un luogo esterno: fu una voce.
LE MOSTRE DI CHINO BERT AD ALBENGA furono precedute da un significativo incontro con il pittore Giuseppe Ferrando, avvenuto nel 2000 al chiostro Ester Siccardi in viale Martiri della Libertà ad Albenga, dove Ferrando esponeva alcune opere. Da quel dialogo nacque, nel 2007, la collaborazione di Chino con l’associazione Torchio e Pennello, presieduta da Manuela Ferrando.
2006 – Personale in via Cavour
2009 – Grande personale Inedite ispirazioni a Palazzo Oddo
2014 – Albenga ricorda i suoi pittori del ’900
2016 – Omaggio a Chino Bert: il frate artista, la più completa retrospettiva
Percorso espositivo albenganese: via Cavour → Palazzo Oddo → via Roma → Museo Navale.

LA TRILOGIA DI CHINO BERT- La pittura di Chino Bert non ha parlato soltanto ai critici d’arte, ma anche a diversi poeti che hanno trovato nelle sue tele una sorgente di ispirazione silenziosa. Le sue figure verticali, i colori meditativi e i gesti minimi hanno generato letture in versi, intime e profonde.
Tra questi poeti figura anche Zeno V. Bolciani, voce dell’ermetico-moderno di soglia e critico letterario, che ha dedicato a tre opere dell’artista una trilogia poetica con relativi commenti critici. È un omaggio in versi alla misura, alla spiritualità e alla luce che abitavano la pittura di Don Chino.
Donna con rose
Luce sottile
si apre
tra rosse forme
che salgono
un volto nasce
nel bianco lieve
si posa il tempo
sul tratto fermo
oltre il silenzio.
Commento critico
“Donna con rose” illumina una presenza che affiora lentamente dal colore. La luce diventa gesto, le forme ascendono come un respiro quieto. Il volto che emerge dal bianco è una rivelazione silenziosa.

Bouquet al tramonto
Oro che sale
nel rosso vivo
si forma lento
tra luce e cenni
un ramo tace
nel caldo fondo
si apre il fiore
nel cielo breve
che resta immobile.
Commento critico
“Bouquet al tramonto” è un dialogo con la luce. L’oro che sale nel rosso non racconta il tramonto del cielo, ma quello dell’anima. Il ramo che tace concentra lo sguardo, il fiore che si apre nel cielo breve arresta il tempo.
Femminilità
Oro che vive
nel rosso pieno
si apre lieve
tra linee attente
un lume sale
nel ramo d’ombra
si tiene il gesto
nel caldo fondo
come una voce.
Commento critico

“Femminilità” è un ritratto interiore, fatto di piccole epifanie luminose. Il gesto trattenuto diventa voce silenziosa. La luce si apre nell’ombra con pudore.
L’eredità che Chino Bert lascia ad Albenga e alla cultura artistica ligure è duplice e luminosa. Nella moda rimane la precisione della linea, il rigore delle forme, la visione architettonica del corpo che contribuì a definire un nuovo stile italiano negli anni Cinquanta e Sessanta. Nella pittura resta una grammatica di silenzi: figure essenziali, gesti minimi, colori meditativi che non imitano il reale ma lo trascendono.
Albenga conserva ancora la sua impronta: nelle pietre che amava osservare, nella luce che chiamava “misurata”, nei volti che attraversano il centro storico e ricordano la sua gentilezza. È un’eredità fatta di rigore e mitezza, di ascolto e misura, di arte come forma alta di spiritualità.
Un patrimonio che continua a parlare, anche a distanza di anni, e che restituisce alla città — e a chi lo ha conosciuto — la presenza discreta di un uomo che trasformò la sua vita in un segno di luce.
Raccontare Gian Franco Bertolotti, alias Chino Bert, “lo stilista di Dio”, significa restituire l’immagine di un uomo in tre forme: persona, religioso e artista.
Identità distinte ma unite da una sola misura: la linea.
Una figura che potremmo definire, con rispetto, uno e trino, capace di tenere insieme creatività, fede e silenzio.
La sua presenza ad Albenga continua.
Le sue opere parlano ancora.
Vincenzo Bolia
