Il giorno 8 ottobre la Chiesa ricorda San Ugo Canefri (o da Genova), nato a Castellazzo Bormida (un tempo Gamondio), in provincia di Alessandria.
di Ezio Marinoni
Ho scoperto la sua figura per caso, transitando per il piccolo paese dove è nato, di ritorno da un viaggio a Genova. Una sosta la bar, quattro passi sulla piazza principale, la visita alla chiesa di San Carlo; qui mi colpisce la tela che raffigura un santo in atto di far sgorgare una fonte d’acqua. In fondo alla chiesa, su un banchetto in legno, trovo la biografia di San Ugo Canefri, scritta da Giulia Guerci (stampata dalla tipografia E. Canepa di Spinetta Marengo, 2003). Poche pagine, dense di storia e notizie, raccontano una esistenza incredibile.
Ugo appartiene alla nobile famiglia alessandrina dei Canefri, feudatari di Gamondio, Borgoratto, Rovereto, Fresonara e Rocchetta Palafea. Discendenti da un Adolfo Manfredo, citato in un documento del 1005, contribuiscono insieme ad altre famiglie alla fondazione di Alessandria, di cui Pietro Canefri è console nel 1171.
Scrive l’autrice del fascicolo, nell’inquadrare un’epoca storica assai lontana e oggi di difficile comprensione: (pagg. 13 – 15): « Gli anni della giovinezza di Ugo Canefri furono anni di grandi rivolgimenti politici e religiosi. Era in corso una fiera lotta che contrapponeva l’Imperatore di Germania Federico Barbarossa e i Comuni italiani, decisi a difendere la propria indipendenza e il Papato che rivendicava la propria autonomia dal potere imperiale e politico. Erano i tempi delle cruente contrapposizioni tra i Ghibellini che parteggiavano per l’Imperatore e i Guelfi per il Papato e i liberi Comuni. Erano certamente Guelfi i Canestri che avevano partecipato alla fondazione di Alessandria in opposizione al Barbarossa. La città era stata chiamata così in onore del Papa Alessandro III. »
Quando ha circa vent’anni, il giovane Ugo s’imbarca da Genova alla volta di Gerusalemme dove, in veste di cavaliere gerosolimitano, prende parte alla terza Crociata (1189-1192), insieme a Corrado di Monferrato e al Guala Bicchieri console di Vercelli.
Di ritorno da quella esperienza si arruola nei Cavalieri di S. Giovanni, gli antesignani del Sovrano Ordine dei Cavalieri di Malta. Qui si compie la sua metamorfosi, da combattente sul campo a infermiere e uomo che cura. Gli viene affidata la gestione dell’Ospitale (l’appellativo Commenda è più tardivo, risale al XIV secolo) di San Giovanni dove, per circa cinquant’anni, egli si dedica al soccorso e all’assistenza dei pellegrini in partenza o al rientro dalla Terra Santa. Al termine delle sue attività quotidiane, ama ritirarsi in preghiera solitaria in una piccola grotta lungo la collina sovrastante l’Ospitale, vicino a un torrente che sgorga tra Oregina e San Barnaba e sfocia in mare nei pressi dell’antico approdo di Capo d’Arena, intitolato poi a Santa Limbania. In tema di assistenza ospedaliera, lo scorso 11 settembre ho ricordato su Trucioli la figura di Santa Caterina Fieschi: https://trucioli.it/2025/09/11/15-settembre-e-santa-caterina-da-genova-della-famiglia-fieschi-in-sposa-ad-adorno/
La tradizione attribuisce a San Ugo Canefri diversi miracoli legati all’acqua: far scaturire una sorgente da una roccia per permettere alle lavandaie di lavare gli indumenti degli ammalati poveri; tramutare l’acqua in vino; salvare una nave in pericolo di naufragio al largo di Genova. Il più celebre di questi episodi è noto come “Il Miracolo di S. Ugo”: La leggenda narra che, desideroso di accontentare le lavandaie dell’Ospitale che, per pulire i loro panni, erano costrette a percorrere in salita un tragitto lungo e faticoso, fa scaturire da un masso del fossato una sorgente, utile a tutta la popolazione dei paraggi.
Dei suoi miracoli, così scrive la Guerci (pagg. 21 – 22):
« In un giorno di mare tempestoso Ugo vede una nave sbattuta violentemente dalle onde e prossima a sfasciarsi sugli scogli. Entra nell’acqua fino al ginocchio e prega perché le onde la risparmino: essa si ferma a breve distanza dalle rocce contro cui era diretta. In un’estate particolarmente calda e siccitosa la sorgente d’acqua che alimentava le attività della Commenda era quasi esaurita. In particolare difficoltà erano le lavandaie che dovevano alvare i panni agli infermi. Per ispirazione divina il Santo percosse con un bastone il pendio della collina soprastante e ne scaturì acqua che scese ad alimentare la Commenda. Questa sorgente, detta “acqua di S. Ugo” era attiva ancora recentemente, fino a quando i lavori di ristrutturazione urbana convogliarono altrove l’acqua. Scomparve la piccola edicola sovrastante la fonte, ma la lapide in essa esistente ora si trova nella chiesa di S. Giovanni di Pré.»
Il miracolo di San Ugo è rappresentato, inoltre, da un settecentesco quadro di Lorenzo De Ferrari, del 1730, esposto sopra un altare laterale nella chiesa Superiore di San Giovanni di Pré. Se l’edificio inferiore merita menzione per la magica atmosfera (cappelle di S. Brigida e di S. Margherita), non da meno è il tempio superiore, ultima testimonianza di una chiesa interamente costruita in pietra nera di promontorio, proveniente dalla cava di S. Benigno… Due luoghi dell’anima dove, con un poco di fantasia, si possono ancora ascoltare lo scalpitio dei cavalieri, i lamenti dei malati, lo sferragliare dei Crociati, le arringhe dell’Embriaco e le preghiere di San Ugo.
Poco dopo la morte, avvenuta nel 1233, la causa di canonizzazione viene istruita dall’Arcivescovo di Genova Ottone Ghilini (Alessandria, seconda metà del XII secolo – Genova, 30 ottobre 1239), per incarico di Papa Gregorio IX (Anagni, 1170 circa – Roma, 22 agosto 1241).
Le risultanze del processo canonico sulle virtù o miracoli del santo costituiscono la fonte più certa delle notizie su Ugo Canefri. Giacomo Bosio (cavaliere ospitaliere di origine mlanese: Chivasso, 1544 – Roma, 2 febbraio 1627), nella seconda edizione della Historia della Religione et Ill.ma Militia di S. Giovanni Gerosolimitano, pubblicata postuma a Roma nel 1629, ha scritto:
« S. Ugone era di corpo piccolo e magro; vestiva pelli, portava sopra le nude carni il cilizio, e dormiva sopra una tavola, abbasso all’ospedale, in quella parte che guardava la marina. In questi ed altri esercizi si occupava egli servendo a’ poveri con carità grandissima, dando egli con amor grande le cose necessarie, e talora anche con profondissima umiltà lavando loro i piedi con le proprie mani, e andava a seppellire i morti. Era Frate dello Spedale di Genova, portando la croce esteriormente nel petto, come interiormente l’avea scolpita nel cuore. Cingevasi una cintura di erro sulle carni; digiunava tutto l’anno in cibi quadragesimali, e per trattare più aspramente il corpo suo, non mangiava cosa alcuna cotta, in quaresima. Quando diceva l’uffizio, mostrava gran fervore; e quando stava a udire la Messa, fu più volte sollevato da terra, in modo tale che mentre era ancor vivo era onorato da tutti e universalmente tenuto per Santo. »
Il suo corpo riposa nella chiesa della Commenda di Genova, o di San Giovanni di Pré.
Per dovere di informazione e per gli amanti dei misteri irrisolvibili, in rete si trova anche una biografia del santo in cui si attribuisce la “costruzione” della sua figura a un noto falsario alessandrino del Settecento, il Conte Cesare Nicola Canefri.
Castellazzo Bormida, il suo paese di origine, ha dato i natali ad altri due santi della Chiesa cattolica: San Paolo della Croce e San Gregorio Maria Grassi, ma queste sono altre storie.
Ezio Marinoni