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A 46 anni dall’omicidio del giudice Terranova e del maresciallo Mancuso. Le collusioni fra mafia, politica, affari e istituzioni


Da l’altroparlante-pensiero informato/ Cesare Terranova fu uno dei magistrati siciliani più intransigenti contro la mafia.

Fu giudice istruttore a Palermo dal 1958, dove portò avanti indagini storiche. Istruì il cosiddetto “processo dei 117” contro gli esponenti mafiosi palermitani, tra cui Angelo La Barbera e la famiglia mafiosa di Corleone, guidata da Luciano Leggio, più spesso indicato come Liggio. Come osserva il sindacato di polizia COISP, Terranova era “il giudice che aveva ‘scoperto’ i Corleonesi”, essendo stato “il primo a mandare a processo, per associazione a delinquere, la famigerata cosca di Corleone”Purtroppo quei processi degli anni ’60 si conclusero con quasi tutte assoluzioni: nel 1968 la Corte d’Assise di Catanzaro inflisse pene lievissime e nel 1969 a Bari furono assolti la maggior parte degli imputati. In parte di quella “bancarotta giudiziaria” fu disattesa l’equiparazione formale tra mafia e associazione a delinquere, all’epoca ostacolata dai giudici stessi. Tuttavia, nel 1970 la Corte d’Appello di Bari ribaltò una sentenza e condannò Leggio all’ergastolo per l’omicidio di Michele Navarra, un risultato in parte dovuto all’inarrestabile impegno di Terranova.

Parallelamente alla carriera in magistratura, Terranova fece politica come deputato indipendente nelle liste del PCI dal 1972 al 1979. Nella VI legislatura fu segretario della Commissione parlamentare Antimafia, insieme a Pio La Torre. In questa veste elaborò la famosa relazione di minoranza del 1976, che denunciava le complicità tra mafia e pezzi di potere ignorate dal rapporto di maggioranza DC. Fu proprio quella relazione, scrive Bolzoni, a fornire “il sapere straordinario” alla base del reato di mafia e della legge sul sequestro dei beni del 1982. In ogni sua attività Terranova denunciò apertamente le collusioni fra criminalità organizzata e istituzioni: come parlamentare colpì il “sacco edilizio” di Palermo e le connivenze tra mafia e politica, rendendo manifesto il suo coraggio civico.

Lenin Mancuso, il maresciallo al fianco di Terranova

Lenin Mancuso era un maresciallo della Polizia di Stato assegnato alla tutela del giudice Terranova ma fu molto di più, sino a diventarne il principale collaboratore. Fu il suo uomo di fiducia e collaborò strettamente con lui nelle indagini, come ad esempio nel caso del Mostro di Marsalatriplice rapimento e omicidio del 1971, durante l’incarico di Terranova a Marsala. Mancuso attendeva ogni mattina il giudice a bordo della sua Fiat 131 per portarlo in Tribunale. Il 25 settembre 1979, poco dopo che Terranova aveva chiesto di diventare capo dell’Ufficio istruzione di Palermo, anche Lenin Mancuso fu colpito in pieno dal fuoco dei sicari. La motivazione ufficiale della Medaglia d’Oro al Valor Civile conferita a Mancuso ne sottolinea il sacrificio: “prescelto, in virtù delle sue non comuni qualità… assolveva il proprio compito con sprezzo del pericolo e profondo senso del dovere… trucidato (…) in un vile agguato”. Oggi a Lenin Mancuso sono dedicate vie a Palermo, in zona Boccadifalco, e nei comuni di Belmonte Mezzagno e Santarcangelo di Romagna. Suo figlio Carmine Mancuso, ex poliziotto diventato poi un politico impegnato contro la mafia, ha dedicato la sua vita a tenere viva la memoria del padre e qualla di Cesare Terranova. L’immagine del maresciallo che cade al fianco del giudice è rimasta impressa nella memoria collettiva come esempio estremo di dedizione civile. A Lenin Mancuso e Cesare Terranova, dopo una querelle con gli abitanti dei condomini che si affacciano sul luogo del loro omicidio che non vollero la targa commemorativa nei loro palazzi, è stato realizzato, sul fronte dell’istituto scolastico prospiciente, un murale che li vede insieme.

L’agguato del 25 settembre 1979

La mattina del 25 settembre 1979 Terranova guidava la sua Fiat 131 in una traversa sotto casa, con Mancuso seduto accanto, pronto ad accompagnarlo in Tribunale. Improvvisamente l’auto trovò la via sbarrata da una transenna: alcuni killer sbucarono da un angolo affiancando il veicolo e aprirono il fuoco con una carabina Winchester e numerose pistole. Terranova, nel panico del terribile momento, tentò di invertire la marcia per sfuggire alla sparatoria, mentre Mancuso reagì impugnando la sua Beretta di ordinanza. Fu una strage: entrambi furono colpiti da decine di proiettili. I killer riservarono a Terranova il colpo di grazia, sparandogli alla nuca a bruciapelo. Lenin Mancuso rimase ferito gravemente e spirò poche ore dopo in ospedale. Le foto scattate da Letizia Battaglia su quella scena, in particolare quella del cadavere del giudice nell’abitacolo, diventarono immagini simboliche della lotta alla mafia, facendo ancora più risaltare l’eroico sacrificio dei due uomini dello Stato.

Il contesto politico e giudiziario della Sicilia negli anni ’70

Negli anni ’70 la Sicilia era segnata da un forte intreccio tra mafia, politica locale e affari. A Palermo esplose il cosiddetto “sacco edilizio” degli anni ’60, dove la criminalità organizzata controllava vaste commesse pubbliche grazie al sostegno di esponenti politici come il sindaco Salvo Lima e l’assessore ai Lavori Pubblici Vito Ciancimino. In quegli anni si consumò la Prima guerra di mafia e si registrarono numerosi omicidi eccellenti di poliziotti e funzionari. Già negli anni ’70 magistrati come Cesare Terranova capirono che occorrevano norme più forti: la relazione parlamentare antimafia del 1976 redatta da Terranova e Pio La Torre gettò le basi per il reato di associazione mafiosa (art. 416-bis) e per la confisca dei beni, legge approvata nel 1982. In questo clima di crescenti tensioni, la mafia di Corleone guidata da Luciano Liggio prima e Totò Riina poi, stava guadagnando potere, imponendosi con omicidi brutali. I magistrati che denunciarono questi rapporti tra mafia e politica si esponevano dunque a rischi gravissimi.

L’iter investigativo e processuale

L’indagine sul duplice omicidio fu affidata alla Procura di Reggio Calabria, su richiesta della Cassazione, e portò subito a un processo: unico imputato come mandante fu individuato il boss Luciano Leggio, sulla base di testimonianze tra cui quella della vedova di Terranova. Tuttavia, il 2 febbraio 1983 la Corte d’Assise di Reggio Calabria assolse Leggio per insufficienza di prove, sentenza confermata in appello e in Cassazione. Il caso sembrava destinato a restare irrisolto, finché nel 1984 il pentito Tommaso Buscetta dichiarò ai magistrati che l’agguato era stato deciso dalla “Commissione” di Cosa Nostra di Palermo. Questa pista portò all’archiviazione formale del procedimento nel 1990, per mancanza di riscontri concreti, avendo indagato i capimafia Michele Greco, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia, Nino Geraci.

L’inchiesta riprese vigore oltre un decennio dopo. Nel 1997 nuovi collaboratori, Gaspare Mutolo e Francesco Di Carlo, rivelarono che il mandante era proprio Liggio, al tempo deceduto, e indicarono i sicari materialmente coinvolti, tra cui Giuseppe Gambino, Vincenzo Puccio, Giuseppe Madonia e Leoluca Bagarella. Sulla base di queste nuove rivelazioni, la Corte d’Assise di Reggio Calabria nel 2000 condannò con l’ergastolo gli imputati riconosciuti colpevoli ossia Riina, Provenzano, Brusca, Calò, Geraci, Madonia, Bagarella e Puccio, come mandanti ed esecutori. La sentenza divenne definitiva con la conferma in Cassazione nel 2004. L’omicidio ebbe alla fine i suoi colpevoli riconosciuti solo venticinque anni dopo: la Cupola mafiosa di Palermo.

Ricordi, commemorazioni e testimonianze

I nomi di Cesare Terranova e Lenin Mancuso restano ancora oggi scolpiti nella memoria collettiva antimafia. La tragica data del 25 settembre viene ricordata ogni anno con cerimonie ufficiali: per esempio il sindacato di polizia COISP celebra questi caduti definendoli “eroi della lotta alla mafia. Numerosi intitolazioni onorifiche ne perpetuano il ricordo. A Terranova è stata dedicata la Medaglia d’Oro al Valor Civile, motivata come “alto Magistrato, sempre distintosi per particolare fermezza e rigore morale… sacrificava la vita al servizio dello Stato”, e a Palermo esiste una via a lui intitolata. Allo stesso modo Mancuso ricevette la Medaglia d’Oro al Valor Civile per il suo “profondo senso del dovere” e la sua fedeltà al compito di guardia del corpo, testo che ricorda come sia stato “proditoriamente trucidato… mentre svolgeva la propria missione”.

In occasione del 45° anniversario della strage, nel 2024, è stato proiettato il film “Il giudice e il boss” per la regia di Pasquale Scimeca che racconta la vita e il valore di Terranova, definito “il giudice che per primo sfidò i Corleonesi”. Le testimonianze dei familiari e dei colleghi, dalla vedova del giudice alle forze dell’ordine, continuano a onorarne la memoria come esempio di incrollabile dedizione e coraggio. Il sacrificio di Terranova e Mancuso è considerato un pilastro della resistenza antimafia in Italia, e la loro storia è ormai parte della coscienza civile: il loro impegno ha aperto una strada che altri magistrati, come Falcone e Borsellino, hanno poi proseguito.

Roberto Greco


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