Ai tempi di Napoleone, il nostro territorio era stato suddiviso in “dipartimenti” e “cantoni”. Ormea era capoluogo di uno dei cantoni del dipartimento di Montenotte, a capo del quale era stato inviato il Prefetto Chabrol.
di Gianfranco Benzo

Aveva sentito parlare di un grande bosco da cui poter ricavare legno per la costruzione di imbarcazioni e volle visitarlo. All’inizio del 1800 i velieri mercantili e le navi da guerra venivano ancora costruiti in legno. Gli avevano parlato di una immensa foresta di larici e abeti situata alle sorgenti del Tanaro contenente quasi un milione di alberi. Stime più “accurate” parlarono invece di 324.000 o “forse il doppio” tra larici e abeti. Gli assicurarono che degli alberi con sei piedi di diametro erano stati acquistati sul posto per 40 soldi; che talvolta si era tentato, tagliandoli a tronconi, di farli passare attraverso la gola (delle Fascette) durante le piene, e che in questo modo effettivamente qualche troncone era passato. Particolari che ne eccitarono particolarmente la sua curiosità.
Nel corso di una escursione decise di risalire la Valle del Tanaro, al di sopra di Ormea, per visitare Upega e la foresta delle Navette, sfuggiti in qualche modo sino ad allora alla vista degli uomini. Dopo varie peripezie, dopo aver superato passaggi nei quali era costretto ad appendersi a rami d’albero e ad arbusti per non scivolare in fondo ai precipizi, arrivò al villaggio di Upega ed al gran bosco che voleva perlustrare. Si trovò ai piedi di una foresta allora estesa per una lunghezza di 13 chilometri ed una larghezza minima di 1,6 chilometri. Circa la metà della superficie faceva parte del dipartimento di Montenotte, il suo. L’altra metà apparteneva a quello delle Alpi Marittime. Il villaggio di Upega dipendeva dal comune di Tenda, nell’altro lato del crinale principale, nella Val Roja.
Scrive lo stesso Chabrol che alcuni ingegneri dei” Ponti e strade” furono incaricati di studiare un progetto di strada per lo sfruttamento di questa foresta, e nel contempo ad alcuni ingegneri navali fu affidato il compito di censire la quantità e la qualità del legname che essa poteva fornire, che molte di tali piante erano adatte a fare alberature lunghe 23 metri e con un diametro ridotto di 80 centimetri. Dai calcoli del Capitano Boucher del Genio Marittimo era inoltre emerso che l’alberatura di sei vascelli di linea e sei fregate, proveniente dall’alta Val Tanaro e resa ai cantieri navali di Genova, sarebbe costata 216.200 franchi; se proveniente da Venezia 448.344 franchi; se proveniente dalla Toscana 399.360 franchi; se proveniente dalla Russia (pino nordico) ben 1.162.265 franchi!
Davanti all’evidenza dei numeri lo Chabrol sollecitò con insistenza la costruzione di una strada. Il progetto definitivo venne inviato nell’ottobre 1812, oltre duecento anni fa. La strada doveva iniziare nella foresta a circa cento metri sopra Upega, sulla riva destra del Torrente Corvo per proseguire sulla riva destra del Negrone fino alla gola chiamata l’Imbuto o Imbuttau, dove per il noto fenomeno carsico il corso d’acqua spesso scompare, e riappare alcune centinaia di metri a valle. Il passaggio si sarebbe superato tenendo la strada in forte pendenza sulla riva destra, con la costruzione di uno sbarramento all’uscita della gola in caso di difficoltà eccessive. Si sarebbe così reso navigabile il torrente nell’attraversamento dell’orrido. La larghezza della strada era prevista di quattro metri. Sempre in destra orografica e pressapoco con la stessa pendenza del corso d’acqua, avrebbe attraversato il Tanarello con un ponte di nove metri e raggiunto il ponte di Nava con un percorso di 14,380 chilometri. Il costo non avrebbe superato i 480.000 franchi.
Lo Chabrol credeva tantissimo nell’utilizzo del bosco delle Navette. Quasi presagendo per Napoleone l’ormai prossima Waterloo, ed il nuovo corso dell’Europa scrisse: “Questo progetto è talmente importante per una potenza dotata di porti, rade, spiagge e di un lungo sviluppo costiero, che prima o poi verrà realizzato. Qualche società privata potrebbe intraprendere la costruzione per proprio conto, sicura di trarne dei notevoli profitti.”
Uno sconsiderato, ma fortunatamente limitato taglio del bosco venne effettuato intorno al 1870, la strada si realizzò però a metà del secolo successivo, sulla riva del Negrone e del Tanaro opposta a quella ipotizzata. Fu possibile dopo il trattato di pace del 10 febbraio 1947, con l’approvazione delle clausole riguardanti le rettifiche di territorio che trasferivano alla Francia l’alta Val Roja. Vennero lasciati all’Italia la frazione brigasca di Realdo (accorpata al Comune di Triora), gli abitati di Piaggia, Upega e Carnino anch’essi già compresi nell’ area comunale di Briga Marittima (La Brigue), e il bosco delle Navette, appartenente al Comune di Tenda. Dal 7 ottobre 1947 Piaggia, Upega, Carnino e le Navette furono unite nel comune di Briga Alta.
A margine della concessione di utilizzo del bosco delle Navette, nel 1949 la F.lli Feltrinelli Spa succedette alla Ditta Brino Carlo nella costruzione della strada carrozzabile Ponte di Nava – Viozene – Upega (dove arrivò nell’agosto 1951). Il socio di maggioranza della “Fratelli Feltrinelli Industria e Commercio dei Legnami S.p.a.” era l’Accademia dei Lincei. L’altro socio era Giangiacomo Feltrinelli, che nel 1954 fondò la nota casa editrice. La più importante Accademia Italiana era entrata in possesso della società per un lascito di Antonio Feltrinelli, sopravvissuto ai suoi tre fratelli, entrato in contrasto con la vedova di Carlo senior, padre di Giangiacomo.
Nel 1949 la Feltrinelli, che istituì a Ponte di Nava i propri uffici di zona chiese, ed ottenne dal comune di Ormea la concessione decennale a titolo gratuito per installare nell’allora campo sportivo di Borganza, una segheria idonea ad occupare una trentina di operai per 8-10 anni.
La Feltrinelli possedeva dagli anni trenta una segheria a Caoria, una frazione di Canal San Bovo in provincia di Trento. Negli anni 1954-56 una novantina di boschieri provenienti da comuni della Valle di Primiero e dal bellunese vennero inviati a Upega come boscaioli o teleferisti. Generalmente arrivavano il 25 aprile di ogni anno e ritornavano a casa dopo sette mesi, per la Madonna di dicembre. Ad Upega arrivò anche Cesarone Bettega con un mitico camion Alfa Romeo. Aveva il compito di caricare i tronchi meno pregiati e portarli a Bolzano. Venivano macinati e trasformati in masonite, materiale utilizzato anche per le carrozzerie delle automobili. Per l’esbosco vennero utilizzate due teleferiche, una del tipo “Valtellina” molto usata dagli anni trenta agli anni settanta nelle vallate prive di strade; l’altra chiamata “l’aeroplano” era stata costruita per recuperare i larici tagliati da due squadre particolari e passava sotto l’altra.
Nel 1957 la concessione era ormai prossima alla scadenza e la Feltrinelli si apprestava a chiudere il “cantiere Upega“. Sospese l’attività lavorativa. Il comune di Ormea stava per entrare in possesso del capannone, ormai svuotato, della segheria. Per continuare a mantenere occupazione lo propose a varie ditte: Impresa Realini, Penna, Olivetti, Carrara & Matta, Piaggio & C., Cartiera di Ormea, Fiat. Ricevette solo dichiarazioni di disinteresse. Il capannone venne demolito ed il suolo ritornò ad essere destinato a campo sportivo.

Le “Navette”. Sono un bel bosco di oltre 3.000 ettari. La maggior superficie ricade nel territorio amministrativo di Briga Alta nell’alto bacino del Negrone, tra 1.300 e 2.200 metri di altitudine Si tratta di proprietà pubbliche delle Amministrazioni comunali di Carpasio, Pornassio, Montegrosso P.L., Cosio d’ Arroscia e Mendatica. Il comune francese di Tenda ne ha mantenuto una cospicua proprietà: oltre 1.730 ettari, compresi 400 ettari di superficie a pascolo. Vi si notano tre diverse associazioni forestali, dal bosco a pino silvestre dominante con il larice e l’abete subordinati, al bosco misto di larice ed abete bianco, al lariceto chiuso o rado. Non può essere considerata una foresta originaria. Reca profonda traccia dell’azione dell’uomo. Il sottobosco è stato utilizzato da tempo remoto per trarne foraggio o per il pascolamento. Ora in ampie aree di sottobosco sta prendendo piede il rododendro e impedisce ai semi del larice di penetrare nel terreno e germogliare. Pur essendo una specie pioniera, coll’espandersi dell’abete il larice non resiste alla concorrenza se non nelle zone più elevate, peraltro già raggiunte. Sale anche l’abete, fenomeno che può spiegarsi con il mutamento delle condizioni atmosferiche e con la selezione avvenuta in secoli e millenni di competizione.
Rischiamo di perdere il lariceto nelle Navette? Il bel bosco di larici si trasformerà in qualcos’altro, magari meno pregiato dal punto di vista paesaggistico ed economico? Sicuramente, se non si interverrà! Anche per considerazioni ecologiche di carattere più generale. Più in generale è ormai arcinoto che il controllo e la fissazione dell’anidride carbonica sono azioni fondamentali per prevenire i cambiamenti climatici. A tal fine i boschi sono fondamentali. La biomassa di un bosco, anche di quello delle Navette, è costituita dalla parte che emerge dal suolo (foglie, rami e tronchi) e di quanto c’è sotto la superficie terrestre negli apparati radicali. Se il bosco è antico la sua biomassa, sopra e sotto il suolo, si stabilizza. Significa che nel complesso costituito da vegetali, da humus e da animali emette tanta anidride carbonica quanta ne assorbe nel processo di fotosintesi clorofilliana.
Se il bosco viene coltivato – e ciò si fa abbattendo le piante più vecchie per consentire a quelle più giovani di svilupparsi – aumenta la resa in legno, ovvero la quantità di carbonio che viene sottratta all’atmosfera e fissata dagli alberi nel corso della loro crescita. Inoltre l’apparato radicale delle piante tagliate rimane normalmente nel terreno ed il carbonio ivi contenuto non rientra nell’atmosfera per periodi ultrasecolari. L’areale del Larice trova sulle Alpi Liguri ed in particolare nelle Navette le posizioni europee più meridionali. E’ di conforto poter osservare la presenza di un gran bosco di legni pregiati in prossimità di aree altamente urbanizzate, industrializzate e consumatrici come la Pianura Padana, la Costa Azzurra e la Riviera Ligure. Tutto sommato l’isolamento e le situazioni storiche ne hanno favorito l’opera di conservazione che ora tocca all’uomo continuare.
Gianfranco Benzo

