La seconda decade di gennaio ha costituito un momento di grave criticità per il sistema ferroviario italiano, colpito da una serie di guasti che hanno determinato conseguenze a catena dal nord al sud del Paese.
di Massimo Ferrari*
Basta un piccolo intoppo per produrre conseguenze a catena, cui i tecnici – molti dei quali sono giovani che lavorano da remoto, senza conoscere il territorio – non sono in grado di porre rimedio in tempi utili. Governo e opposizione litigano su tutto pur di non esaminare seriamente le cause che rischiano di portarci al collasso.
Adesso, in un momento di relativa tregua (già, ma quanto potrà durare?), si può tentare di trarre qualche conclusione. Premetto di non essere stato interessato direttamente dai disservizi. Negli ultimi dieci giorni ha preso quattro treni, tutti puntualissimi; da Milano a Sanremo la mattina del 10 (il giorno successivo, sabato 11, ci sarebbe stata la tregenda del guasto a Lambrate) e da Sanremo a Milano la sera di lunedì 13. Poi ancora per partecipare ad una cerimonia a Chiasso venerdì 17. Non credo, quindi, di essere influenzato da risentimenti personali.
Come al solito si è scatenata la polemica politica. Le opposizioni hanno chiesto a gran voce le dimissioni del Ministro delle Infrastrutture. Personaggio che non brilla certo per pacatezza di giudizio e per competenze in materia. Ma, in questi casi, si può davvero ricondurre la debacle del servizio a responsabilità politiche, per di più individuali? I partiti della maggioranza hanno risposto facendo quadrato attorno al Ministro ed imputando ai ritardi cumulati nelle passate gestioni le ragioni dell’attuale crisi. Comodo escamotage cui ricorrono tutti i governi in carica, anche quando sono trascorsi ormai anni dall’insediamento della compagine. La colpa è sempre di chi ci ha preceduti.
La responsabilità consisterebbe nello stanziare denari per il Ponte sullo Stretto – opera da molti giudicata non solo inutile, ma anche dannosa – anziché concentrarsi sulla gestione corrente. Salvo poi lamentare la mancanza di fondi per l’Alta Velocità in Calabria (opera che servirebbe proprio per avvicinarsi allo Stretto) da parte di quelle stesse forze che individuano nel Ponte la causa di tutti i mali. Ancora una volta, da una parte e dall’altra, si usano strumentalmente argomenti, magari non privi di fondamento, per colpire gli avversari politici, senza badare alla sostanza dei problemi.
Orbene, se c’è un tema che, in questo momento, non si dovrebbe sollevare è proprio la mancanza di investimenti. Sono attualmente aperti circa 1.200 cantieri ferroviari in tutte le regioni italiane (incluse le neglette Sicilia e Sardegna), con un aumento di circa il 25 per cento negli ultimi anni. Merito del governo in carica? No, semplicemente perché questa ingente mole di lavori deriva dai fondi resi disponibili dal PNRR, ottenuti dall’Unione Europea nel momento più duro della pandemia. Semmai il problema è un altro: l’eccessivo numero di cantieri aperti ed i tempi stretti imposti dalle scadenze del Piano sono probabilmente la causa principale degli attuali disservizi, sia per le numerosissime interruzioni programmate, sia per gli inevitabili imprevisti che questa corsa contro il tempo impone.
Un governo ed un’opposizione responsabili avrebbero semmai dovuto chiedere una deroga all’Unione, allungando un poco i tempi di realizzazione. Invece, bisogna dimostrare – costi quel che costi – di essere in grado di spendere i soldi del PNRR nei tempi indicati, anche a costo di forzare le procedure (ma senza snellire la burocrazia superflua!) e di concentrarsi su interventi non strettamente prioritari. Quasi una sfida all’orgoglio nazionale, non priva di non trascurabili rischi.
Così il governo preferisce gridare al complotto, individuando in alcuni episodi anomali possibili sabotaggi. Cosa non del tutto da escludere, ben inteso, visto che non mancano gruppi antagonisti che da anni individuano nella rete ferroviaria – e nell’Alta Velocità in particolare – un obiettivo da colpire. Il caso della Valsusa (che non è stato un fenomeno puramente locale) potrebbe aver fatto scuola ed aver allevato, nell’arco ormai di trent’anni, una frangia, estremamente minoritaria ma non del tutto trascurabile, che si è diffusa anche in altre regioni della penisola.
Uno dei possibili rimedi prefigurati dal Ministro delle Infrastrutture consisterebbe nella riduzione del numero di treni in circolazione, che ormai hanno raggiunto i diecimila al giorno – storicamente si attestavano attorno a quota ottomila – con frequenze, su certe relazioni, superiori a quelle che si registrano in Francia o in Germania. Ma, premesso che ciò risponde alla crescita della domanda registrata negli ultimi anni e che gran parte degli investimenti del PNRR sono proprio finalizzati ad accrescere in sicurezza la capacità delle linee, quali convogli si intenderebbero sopprimere?
Forse i meno frequentati, per esempio quelli che corrono nelle ore serali e notturne, che tuttavia impattano poco sulla congestione della rete, mentre è nelle ore di punta che si registrano le maggiori criticità, proprio quando, però, i treni sono più affollati (e remunerativi)? Un’altra ricetta ventilata in questi giorni, sarebbe quella di tornare a composizioni accoppiate. Per fare un possibile esempio, far partire da Roma un Frecciarossa in duplice composizione, che, giunto a Bologna, si dividerebbe in due segmenti, uno diretto a Venezia, l’altro a Verona. Ipotesi, senza dubbio perseguibile, non fosse che l’Anfisa – ossessionata dalla sicurezza ad ogni costo – vede con sfavore queste soluzioni, senza contare il rischio di moltiplicare i ritardi: se la sezione di Verona viaggiasse rallentata, a Bologna anche il ramo di Venezia dovrebbe attenderla prima di proseguire per Roma.
Alcuni docenti universitari, più concretamente, hanno puntato il dito sulla saturazione dei nodi, invocando nuovi Passanti (in una nazione in cui sono stati necessari quasi trent’anni per risolvere l’attraversamento di Firenze, tuttora non completato!). Oppure, nel breve periodo, sfruttando tutte le stazioni cittadine, per alleggerire la saturazione dei terminali più trafficati. Cosa già difficile da realizzare a Milano, dirottando una parte dei treni a Porta Garibaldi o Rogoredo, pur in presenza di una discreta alternativa in fatto di metropolitana. Ma ce lo immaginiamo cosa succederebbe a Roma, fermando certe corse a Tiburtina o all’Ostiense, e veicolando centinaia di passeggeri nella sotterranea, tra frequenze inaffidabili e borseggiatori onnipresenti? O a Genova, limitando le corse da Milano e Torino a Principe, per poi dover cercare la metropolitana in direzione di Brignole?
Una possibile soluzione palliativa, a dire il vero molto poco gettonata, consisterebbe, invece, nell’individuare itinerari alternativi. Se ne potrebbero censire diversi, tuttora percorribili e in buono stato. Per esempio, nel cuore della Pianura Padana, tra Bologna e Torino (o Genova), senza passare per Milano, ma seguendo l’itinerario, ora decisamente sottoutilizzato, via Piacenza – Voghera – Alessandria. Talvolta, anche percorsi secondari potrebbero tornare utili. Fino agli anni Ottanta, partiva da Milano Porta Genova un treno per Savona via Mortara, Acqui Terme, Cairo Montenotte. Non era certo un mostro di velocità, ma non sarebbe tornato in auge durante i lavori che bloccano nei fine settimana la linea del Ponente, costringendo i malcapitati viaggiatori a penosi trasbordi sui bus tra Principe e Cogoleto? Senza pensare a quel che ci aspetta la prossima estate con la chiusura per oltre un mese proprio della linea Milano – Genova.
Purtroppo l’ing. Mauro Moretti, attorno al 2010, è riuscito nell’impresa di andreottiana memoria di risanare (in parte) i conti delle Ferrovie dello Stato, al prezzo, però, di ingessare la rete, chiudendo stazioni, tagliando i binari di precedenza a quant’altro. Così adesso basta un piccolo intoppo per produrre conseguenze a catena, cui i tecnici – molti dei quali sono giovani che lavorano da remoto, senza conoscere il territorio – non sono in grado di porre rimedio in tempi utili.
Ci sarebbe ancora tempo per introdurre qualche ragionevole miglioria in vista di una stagione estiva che si preannuncia satura di problemi. La linea internazionale del Sempione ancora una volta sarà chiusa per settimane, meno comunque dei tre mesi di interruzione che si prospettano per la Milano – Lecco – Sondrio, coi bus sostitutivi incolonnati lungo la sponda orientale del Lario. Invece, si preferisce attendere il prossimo disguido, per dare colpa al Governo, all’opposizione, ai sabotatori o semplicemente alla jella.
(Matteo Salvini preferisce però un termine più schietto). Tutto pur di non esaminare seriamente le cause che rischiano di portarci al collasso.
Massimo Ferrari
Presidente UTP/Assoutenti