Oggi si parla molto di Fluidità… e di genere, ed in effetti cosa c’è di più fluido dell’acqua? Il corso d’acqua (che sia rio, torrente, canale o fiume) ha un genere?
di Giuseppe Testa
In Italia abbiamo fiumi femminili e fiumi maschili, con alcuni in una situazione di incertezza: per esempio, il Bormida o la Bormida? Questo discorso però vale per molti corsi d’acqua (rii, ruscelli, torrenti, fiumi o canali).
La situazione di questo processo è “in itinere”, dopo che la lingua nazionale ha soppiantato i dialetti locali. L’italiano ha dovuto imporsi una sintassi ed una grammatica unica, che ha comportato a volte modifiche al “sesso” dei corsi d’acqua.
In tempi di fluidità non è facile trattare del “sesso” dei corsi d’acqua, in Italia indifferentemente considerati maschili o femminili, o che sono stati cambiati di genere (“LA” Piave, per esempio, oggi è “IL” Piave), oppure considerati e chiamati nelle due accezioni. Trattasi quindi di discorso semiserio, puramente “accademico”, senza volontà dello scrivente di fare politica o partitica, ma che affonda le radici nella storia antica, nella toponomastica ed in una serie di fattori che hanno nel tempo formato queste definizioni. Questo perché un corso d’acqua (rio, canale, fiume o torrente), non può identificare con un genere “reale”, come avviene per gli esseri sessuati, per i quali è abbastanza semplice attribuire il genere maschile o femminile.
Per procedere in questo pantano mi avvalgo degli spunti che mi offre Massimo Fanfani (Storico della lingua italiana, che dal 2004 condirige la rivista “Lingua nostra”).
Il nome dei corsi d’acqua spesso deriva dall’antichità, modificato, rivisto e corretto dai popoli che si sono avvicendati sulle sue sponde. Con la conoscenza cartografica che abbiamo noi oggi è facile “pensare” ad un corso d’acqua unico, dalla sorgente alla foce, e dargli un nome unico. In realtà in antichità ogni popolo dava un suo nome, relativo al territorio di sua pertinenza: se un fiume attraversava 5, 10 o più territori abitati da genti diverse il fiume aveva 5,10 o più nomi, molto diversi tra loro. Oggi il Po, ad esempio, è Po dall’inizio alla fine, in quanto grazie alla cartografia possiamo “vederlo” come una entità completa.
Anticamente molti corsi d’acqua erano ritenuti sacri e quindi ricollegati a divinità fluviali maschili o, più spesso, femminili, oppure a qualche personaggio mitico che avrebbe dato loro il suo nome: nelle diverse civiltà antiche, prevaleva ora l’uno ora l’altra tendenza.
E’ infine probabile che in origine, sulla base delle credenze, dei miti e delle fantasie popolari, ci si orientasse verso un nome femminile quando si vedeva nell’acqua del fiume una fonte di vita e un simbolo di fecondità; al contrario, verso un nome maschile quando si avvertiva come preponderante la potenza e l’impeto del flusso della corrente, flusso che si “scavava” da solo il proprio corso dando un’idea di forza e di maestosità.
Venendo ad oggi, non ci sarà equivoco ogni qualvolta che il nome (generico) del corso d’acqua è arricchito da un aggettivo o un determinante: quindi Flumendosa, Rimaggio, Rionero sono per forza maschili; Acquacheta, Acquabona ecc sono considerati invece femminili. Nel nostro piccolo il (torrente) Pora è IL Pora, l’Aquila è detto L’Aquila (se declinato senza nome comune), oppure IL torrente Aquila.
Come fa notare il già citato Massimo Fanfani della Accademia della Crusca “in latino, fra i nomi dei fiumi italiani prevalgono i maschili, soprattutto quando si considerino i grandi fiumi e specialmente quelli che sfociano in mare: Tagliamento, Adige, Po, Reno, Metauro, Esino, Chienti, Tronto, Sangro, Biferno, Fortore, Ofanto, Basento, Sele, Volturno, Tevere, Arno, ecc.;”
Esistono però fiumi sfocianti in mare che un tempo erano femminili, e che in certi casi lo sono ancora: Piave, Brenta, Marecchia, Pescara, Cecina, Magra. Oltre a questi risultano “femminili” diversi fiumi minori, in particolare affluenti. Ad esempio, fra gli affluenti del Po sono femminili: Dora Riparia, Stura, Dora Baltea, Sesia, Olona, Trebbia, Parma, Enza, ecc.; e fra quelli dell’Arno: Sieve, Greve, Pesa, Elsa, Egola, Era, ecc.
Una regola (con le poche eccezioni che la confermerebbero) potrebbe essere la seguente: tutti i fiumi che terminano in –o e in –i (questi piuttosto rari) sono maschili; quasi tutti quelli che terminano in –a e una parte di quelli che terminano in –e sono invece femminili.
Quando si sono manifestate le spinte al cambio di genere, specie per i nomi dei corsi d’acqua minori (sempre in direzione del maschile), che è oggi è genere prevalente?
Abbiamo così diversi fiumi in –e e in –a, che fino a uno o due secoli addietro erano stabilmente femminili, ormai diventati maschili, o si apprestano a diventarlo, o sono momentaneamente in mezzo al “guado”: tale adeguamento di genere è infatti un fenomeno moderno non ancora assestatosi del tutto e non privo di resistenze.
Ma chi è che ha interesse a cambiare il genere dei corsi d’acqua?
Tutto ciò credo che inizia con la lingua italiana e l’abbandono degli idiomi locali.
Le spinte al cambiamento di genere non partono mai a livello locale ma generalmente a livello nazionale; la necessità risulta infatti regolarizzare e uniformare la lingua piuttosto che accertare e rispettare l’uso popolare.
Per il genere dei nomi geografici, e in particolare per quello dei fiumi che è fra i più incerti, in linea di massima ci si deve regolare sul nome della categoria, ovvero sul nome comune preposto o sottinteso; e quindi, dato che i nomi comuni dei corsi d’acqua sono quasi tutti maschili (fiume, torrente, ruscello, rivo, canale, ecc.), anche i nomi propri dei fiumi (tranne quelli terminanti in –a, per i quali ci può essere uno scarto), vanno al maschile.
Questa semplice regola, fatta a tavolino per mettere ordine, può servire a definire un corso d’acqua di cui non si conosce il genere, ma non tiene conto del fatto che nell’uso comune per i fiumi non si fa quasi mai riferimento al nome generico: ogni fiume è di solito indicato solo col suo nome proprio. La definizione originaria è conservata, laddove questa resiste, nella parlata locale e popolare. Diversi sono i casi che si potrebbero fare: il cambio di genere è riuscito ad imporsi proprio perché lo si è ritenuto “più corretto”, pero ci sono casi in cui l’adeguamento al maschile non è avvenuto, o che è rimasto in bilico: pensiamo al Magra, che oggi risulta trattato generalmente maschile, anche se molti in Toscana continuano a sentirlo femminile.
Per concludere, anche se molto ci sarebbe ancora da dire, notiamo che la radio e la televisione applicano la pratica della mascolinizzazione ogni volta che un corso d’acqua interessa le cronache: durante le recenti inondazioni, ad esempio, nelle cronache televisive non si è sentito quasi altro che il Bormida e il Polcevera.
Ora che vi ho messo questa pulce nell’orecchio, prestateci attenzione quando, per qualche motivo, incontrate un qualsiasi corso d’acqua.
Giuseppe Testa