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Berthe Morisot, pittrice senza complessi. A Torino e Genova, venendo da Nizza, sulla strada della grande notorietà, come Artemisia Gentileschi e Frida Kahlo


Aspettavamo la riproposta della grande pittrice Berthe Morisot (1841-1895), dalla tecnica impressionista che ogni tanto rimanda a quei vuoti di segno che divengono pura luce come nei quadri ben più tardi di Filippo De Pisis.

di Sergio Bevilacqua

Genova Berthe-Morisot autoritratto

Ed è arrivata, in grande abbondanza nel nord-ovest d’Italia, ove le eco francesi sono così presenti. Ciò è accaduto nell’anno internazionalmente dedicato ai 150 anni dalla data cui si attribuisce la nascita dell’Impressionismo in due luoghi: a Torino, città quanto più possibile cartesiana per essere cisalpina, diversa mais pas beaucoup dalla vicina Francia, con “Berthe Morisot. Pittrice impressionista”, dal 16 ottobre 2024 al 9 marzo 2025 alla GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea; e a Genova (Palazzo Ducale dal 12 ottobre 2024 al 23 febbraio 2025, Appartamento del Doge) dove i più sensibili odono ancora le esplosioni della cannoneggiata che i francesi hanno affibbiato alla Superba insuperbita nel 1684.

A inaugurare questa stagione di notorietà popolare della Morisot, non c’è due senza tre: oltre il confine, a Nizza, ibrida di storia tricolore col verde e col blu, si è conclusa da poco “Berthe Morisot. Escales impressionistes” presso il Musée des Beaux-Arts Jules Chéret.

In Italia, si nota il rispetto che Palazzo Ducale di Genova tributa alla più importante pittrice impressionista; e, invece, la familiarità con cui la tratta la G.A.M., Galleria d’Arte Moderna di Torino, assegnandole un matrimonio con l’artista contemporaneo Stefano Arienti e la sua materia provocante. E s’intuisce anche, per differenza, la dimensione più istituzionale che ebbe la mostra di Nizza.

Morisot a Genova

Due in contemporanea in Italia, dunque. Giusto o sbagliato? Più sbagliato che giusto… Ça va sans dir che sia meglio che nessuna, e l’attesa è stata tanta… Però, magari, far valere un poco di programmazione generale? Anche perché poi si rischia di riempire le mostre sincrone con piccole cose, magari di ottimo gusto, ma lasciando poi col fiato corto il folto pubblico che domenica 27 ottobre affollava con lunghe code la biglietteria torinese… Va detto, però, che la mostra scorre bene e che alcune importanti suggestioni arrivano (ne parlo sotto con piacere) anche se si avverte una qualche difficoltà a tenere alta l’attenzione. Peraltro, la G.A.M. della bella Torino ha tanto da dare anche con la sua interessantissima collezione permanente, intima ed elevata, e Torino è città ove essere accolti è davvero gradevole.

Ma veniamo ai due importanti risultati di questa esposizione torinese della Morisot. Il primo risultato riguarda certamente l’evidenza di una pittura femminile che canta la Donna, che NON È la donna per l’uomo, bensì la donna in sé. I molti ritratti femminili in mille pose dalle diverse età e dai molteplici sguardi non sono mai seducenti come in Boldini o Toulouse Lautrec e, se seducono, lo fanno solo con la sincerità dei propri stati, dolci allegri sognanti distratti tristi ma tutti naturali, non costruiti per ottenere una qualche attenzione maschile. Risultato non da poco! Una cifra dell’arte al femminile post-patriarcale ma non sempre disponibile con questa bontà sentimentale, molto molto moderna.

Giovane ragazza

Il secondo risultato che appare ben ottenuto a Torino riguarda i modi della pittura originale di Berthe Morisot, ove colore e forma ballano con linee inespresse quasi, ottenendo un effetto fresco e coraggioso: è di certo l’avallo di Manet che rassicura Berthe, ma non è per questo che lei sposa Eugène, fratello del grande caposcuola… Il tutoraggio di Édouard sulla sua tavolozza è lungimirante e affettuoso, e Berthe cresce pittrice sicura e serena, tanto da generare un suo stile quasi inconfondibile. La mostra di Torino, curata da Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin con prestiti e consulenza del Marmottan di Parigi, ottiene questi due ottimi risultati, che saranno portatori di un sicuro successo di pubblico, ma sui quali anche la critica può trovare appagamento.

Che cosa aggiunge Genova, con la mostra “Impression, Morisot”? Con pochi giorni d’anticipo su Torino, è la prima grande mostra in Italia della Morisot, unica pittrice a esporre il 15 aprile 1874 nello studio del fotografo Felix Nadar, data che ha segnato la nascita dell’Impressionismo.

Sono 86 le opere di Genova, tra dipinti, acqueforti, acquerelli, pastelli, cui si aggiungono documenti fotografici e d’archivio, molti dei quali provenienti dai prestiti inediti degli eredi Morisot. L’artista, come si nota anche a Torino, ha saputo conciliare vita familiare e carriera artistica, e ha intrattenuto fecondi rapporti con grandi artisti dell’epoca come Renoir, Monet, Manet, Degas ma anche con figure di intellettuali quali Mallarmé e Zola. Come già per la grande mostra su Monet di due anni fa a Montecarlo, si deve allo specifico ligure l’evidenziazione degli effetti pittorici dovuti ai soggiorni in Riviera di Berthe tra 1881-1882 e 1888-1889, con l’influenza della luce mediterranea.

La curatrice della mostra è Marianne Mathieu, tra le più rinomate esperte dell’opera di Berthe Morisot e studiosa della storia dell’Impressionismo, protagonista di molte scoperte scientifiche in questo ambito. Mia conoscenza, la Mathieu, per aver curato le grandi mostre su Monet di alcuni anni fa a Palazzo Reale di Milano e quella del 2023 al Grimaldi Forum di Monaco.

Il contesto in cui avvengono oggi le due esposizioni del nord ovest è quello delle celebrazioni ufficiali del 150º anniversario dell’Impressionismo, inclusa nella stagione commemorativa avviata dal Museo d’Orsay di Parigi. E non dimentichiamo quanto è avvenuto ancora più a ovest, la mostra di Nizza dai retaggi liguri e piemontesi anche se francese da un pezzo, conclusa da poco, che è stata un’altra occasione per conoscere meglio la Morisot.

Ci sono i presupposti per far di Berthe Morisot una nuova star femminile dell’arte mondiale, accanto ad Artemisia Gentileschi e Frida Kahlo, una caposcuola di una iconologia-donna in grado di sfidare quella maschile e patriarcale che vorrebbe la donna alla continua ricerca di qualcuno che la renda madre con doppi, tripli e quadrupli sensi. Berthe risponde senza astuzia seduttiva e respinge anche la versione femminile del desiderio maschile, i tanti no che son sì. E così, ci apre il mondo di una donna in pace con se stessa, bella al naturale, tranquilla coi suoi sentimenti, che non teme lo stupro e guarda al mondo non come se vi fosse un orwelliano Grande Fratello bensì una ginecoforica e protettiva Grande Sorella.

E, forse, è già proprio così…

Sergio Bevilacqua


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