La crisi dell’Italia ha origini lontane.Eppure il dibattito sull’attuale panorama politico ed economico del nostro Paese pare non volersene accorgere.Si dice che la nostra situazione è dipesa dalla politica degli ultimi vent’ anni e, a sinistra, si fa coincidere con l’ingresso di Berlusconi sulla scena l’inizio del declino. Io non credo sia proprio così. Penso che ogni analisi dovrebbe partire più da lontano.
Nel 2011 abbiamo festeggiato i 150 anni dell’Unità d’Italia e il quadro storico che all’epoca fu dipinto soffriva di una ricostruzione alquanto ordinaria e retorica degli avvenimenti del XIX secolo.
Non è vero che il Risorgimento fu una Rivoluzione di Popolo.
Le masse non vennero, in realtà, coinvolte in maniera determinante nell’abbattimento dell’ Ancien Regime, ma fu piuttosto la classe borghese, illuminata quanto bastava per ricostruire l’integrità territoriale dell’Italia e con fatica anche quella politica, ad essere decisiva per la nascita della Nazione.
L’appartenenza ad una collettività organizzata non è mai stata una caratteristica peculiare del nostro Essere Cittadini.
La realtà è che la popolazione italiana, variegata nei suoi costumi e anche nella stessa lingua, non si è mai fusa in un vero unicum.
Questo fatto è già di per se stesso sufficiente per essere catalogato come una delle ragioni della nostra crisi attuale.
Paghiamo a caro prezzo l’assenza di un vero sentimento di unità nazionale – nel senso più nobile del termine – .
Le differenze fra il Nord ed il Sud del Paese non sono mai state colmate.
La nascita stessa della Repubblica sotto questo profilo è significativa: a Sud il Popolo votò monarchia e a Nord votò Repubblica.
Ed ancora prima, con la caduta del Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio 1943, il Paese si trovò fisicamente diviso in due parti: a Nord i Tedeschi e gli irriducibili Fascisti e a Sud gli Alleati.
Ecco io credo che già questo background, per quanto possa essere tacciato di superficialità (inevitabile perché certo non è questa la sede per un trattato di storia) possa però già delineare un quadro complessivo di disagio culturale e economico rimasto insuperato.
E’ un dato certo che le condizioni di vita del Sud siano peggiori di quelle del Nord del Paese e la creazione di istituzioni, come la Cassa per il Mezzogiorno, hanno non solo lasciato irrisolti i problemi, ma semmai acuito la differenza fra il Settentrione ed il Meridione, fino al punto di creare le condizioni per la nascita di un movimento politico (La Lega) che, almeno all’inizio, patrocinava idee che ben potevano essere interpretate in chiave separatista.
La questione meridionale posta da Antonio Gramsci è dunque attuale.
Oggi non abbiamo ancora superato la diatriba fra Repubblica Sociale Italiana e Resistenza rimanendo il Paese spesso impigliato in polemiche sul 25 aprile o altre ricorrenze, che denotano la difficoltà che abbiamo persino di scrivere la nostra Storia.
In Italia c’è ancora chi rimpiange il Fascismo e siamo ben lontani dal dare attuazione (ancora oggi) a non poche parti della nostra Costituzione che, a sinistra, quasi ritengono sia immodificabile (il PD parla di riforme ma poi seriamente non le ha mai coltivate, qualcuno ricorderà la Bicamerale di D’Alema allora DS), mentre il PDL, attorcigliato al suo Leader, non sa cogliere la necessità di riforme in una direzione oggettivamente utile per il Paese, che non sia quella di frenare l’azione della Magistratura, sentita quasi come un corpo estraneo allo Stato e comunque non scevra anch’ essa da colpe: la manifestazione davanti al Palazzo di Giustizia di Milano ha dell’incredibile ed è impensabile in qualunque democrazia occidentale.
Siamo prigionieri della nostra Storia:
– non abbiamo superato le differenze culturali fra la popolazione, che, invece di essere una ricchezza, sono diventate un ostacolo alla vera unità politica del Paese;
– non abbiamo compreso i danni irreversibili cagionati dal Fascismo e non abbiamo percepito che, a livello internazionale, stiamo ancora pagando lo scotto della sconfitta nella II Guerra Mondiale, nonostante le apparenze.
Infatti, anche con la nascita della Repubblica, la nostra posizione strategica con l’avvento della Guerra Fredda, preceduta dalla mancanza di una Norimberga italiana (l’amnistia Togliatti fu un offesa per i morti per la Libertà per mano del Fascismo), non ci ha consentito di crescere da soli.
Coccolati ad Ovest dagli Stati Uniti e sostenuti ad Est, grazie al PCI, siamo sempre stati tenuti in piedi dagli Altri.
Il boom economico degli anni 60 fu solo un illusione e caratterizzato da un frettoloso abbandono della cultura contadina e da una disordinata crescita urbanistica e industriale con danni all’ambiente talvolta irreversibili.
Non siamo stati capaci di sfruttare le incredibili risorse artistiche e naturali delle quali disponiamo né di conservarle adeguatamente.
All’inizio degli anni 70, i celati tentativi di colpo di Stato, mai portati a termine, l’avvento del terrorismo rosso e nero, la definitiva affermazione della mafia e di qualunque organizzazione criminale con la loro stretta connessione con la politica, hanno iniziato a far regredire il Paese.
Ma noi non ce ne siamo accorti.
Non sono bastati i Pertini, i Nenni, gli Einaudi, i Berlinguer, che, pur nelle differenze che esistevano fra di loro erano tutti animati dal fine comune del bene della Nazione, e non sono stati sostituiti da altri alla loro stessa altezza né abbiamo avuto la lungimiranza di infondere cultura e fiducia alle future generazioni abbarbicate oggi ai nuovi mezzi tecnologici di comunicazione, che assorbono oggi loro, peraltro debole, volontà di ribellione che sia finalizzata ad un mutamento positivo dello status quo.
Sempre in mezzo ai due grandi blocchi non abbiamo sviluppato una reale autonoma azione politica né a livello nazionale né meno che mai a livello internazionale.
La Caduta del Muro di Berlino, alla fine, ha determinato la definitiva distruzione del Muro di Sostegno ad Ovest e di quello ad Est che pure ci sorreggevano.
In questo modo siamo crollati: il sistema non è riuscito a restare in piedi e quasi d’incanto, come se fosse stato aperto una specie di Vaso di Pandora, è venuto fuori tutto il Marcio che ha caratterizzato la storia degli ultimi venti anni, a partire da Mani Pulite, senza considerare le impunite stragi di Stato (Stazione di Bologna su tutte) e senza dimenticare, a titolo esemplificativo, la nascita della P2.
Gli Altri non ci hanno più aiutato perché non eravamo più utili ad una Guerra Fredda finita, per fortuna, senza spargimento di sangue.
Purtroppo non riusciamo mai ad imparare la lezione.
Abbiamo sempre bisogno di eroi (l’ultimo è un comico) e non comprendiamo che il Mondo intorno a Noi è radicalmente cambiato.
C’è bisogno di gente normale che faccia cose normali, ma pare che in giro non ve ne sia neanche l’ombra.
Persino nei rapporti privati e personali abbiamo abdicato ad ogni forma anche minima di rispetto per noi e per gli altri.
Intolleranti verso gli stranieri, spesso ostili all’Europa, abbiamo pure il coraggio di definirci ancora cristiani.
Tutti hanno la ricetta per salvare il Paese, tutti amano mettersi in mostra (persino Monti è caduto nel tranello), ma nel frattempo la Nazione sta morendo.
Né la Chiesa può sottrarsi alla responsabilità di non aver saputo frenare la disgregazione sociale del Paese non seguendo, fra l’ altro, a fondo l’ onda riformatrice del Concilio Vaticano II.
Il tentativo dei paesi poveri di risollevarsi è ancora molto lontano dal dare i frutti sperati da quella parte di Umanità sempre soggiogata da una Europa che fatica ad imboccare in maniera convinta il percorso dell’unità politica, alla quale pure ambisce fin dalla fine del secondo conflitto mondiale, ma noi siamo oramai in una inevitabile fase di regressione rispetto anche a quei paesi.
Ci manca un Rafael Correa, come oggi, ha l’Ecuador.
Forse lo storico Federico Chabod aveva ragione quando sosteneva che la Resistenza fu un grande momento di reale unità fra gli Italiani, ma oggi la classe (parola a me sembrata sempre piuttosto odiosa) degli Intellettuali capaci di farci risorgere, come quella del XIX secolo, non esiste.
La nostra Parola sembra non valere più niente dopo la vicenda dei marò.
La crisi dell’Italia ha origini lontane.
Giovanni Sanna