Con l’incedere del tempo segni sempre più marcati hanno solcato il viso di Maria Cordeglio, evidenziando la determinazione, la forza e la dignità con cui è stata capace di affrontare ogni circostanza della sua lunga vita: 103 anni e 8 mesi.
Ha vissuto ogni giorno con responsabilità e impegno, cosciente che, come era solita affermare, ” Ogni opportunità mancata è persa”.
Nel paese natio, Montegrosso Pian Latte, viene ricordata per la serietà e la dedizione al lavoro, di cui ha dato prova già da piccola con l’aiutare i genitori, gli anziani, le sorelle più giovani e l’intera comunità. In casa si accollava le incombenze più gravose per sollevare il padre, tanto impegnato nell’attività pastorale da costringere la famiglia a trascorrere interminabili estati lungo i pascoli delle Navette Liguri, per la pastura delle greggi, la caseificazione, la fienagione, la raccolta e la vendita dei frutti di bosco e delle erbe officinali e aromatiche spontanee. In autunno il rientro al paese e, tra la vendemmia e gli ultimi lavori nei campi, l’amata scuola e la fervida formazione cristiana. Di sera era l’approccio con le incombenze domestiche, la preparazione di conserve e marmellate, il ricamo e la maglia a tenere vicine e solidali generazioni diverse di donne laboriose e serene, grate per il calore umano e il senso di appartenenza respirato.
Il rigore dell’inverno trovava Maria e i suoi cari nei verdi campi di Arzeno e di altri insediamenti del retroterra, al pascolo, nella raccolta delle olive e al servizio padronale. La ragazza curiosa e perspicace si appropriava dei segreti relativi alle pratiche e alle coltivazioni collinari, nonché alla conoscenza e all’uso delle proprietà delle essenze di quei declivi.
Conobbe Silvio e si ritrovò giovane sposa in una grande casa patriarcale a Mendatica, dove il marito collaborava con il padre nella conduzione del Martinetto ad acqua, fucina delle parti metalliche degli attrezzi agricoli e di quelle edili, del luogo. Ben presto i due decisero di iniziare un’attività autonoma. Il bosco, l’orto, la vigna, i campi di grano li videro impegnati non appena liberi dai compiti di allevatori di mucche, in paese e, nei mesi caldi, a Poilarocca, malga alle falde del Fronté, affollata nell’immediato secondo dopoguerra, per l’istallazione ardita di fune metallica capace di trasporto diretto delle merci al capoluogo.
Nacquero Renato e Bruna e si intensificarono gli sforzi di Maria e di Silvio per agevolare un futuro di sicurezza e di benessere agli amati figli.
Intanto molti valligiani sentirono il richiamo della costa, con il paese disertarono anche gli insediamenti alpini e si trasferirono dove la precarietà e la fatica apparivano inferiori. Maria e Silvio resistettero, fedeli all’identità culturale personale, nonostante le velate richieste di Bruna e la vivace ribellione di Renato.
Poilarocca però non risuonò più del vociare dei piccoli, delle chiacchiere degli adulti e delle preghiere degli anziani. A Maria, la donna più a lungo inserita nel posto, toccò il compito di intervenire per alleviare i malesseri dei pochi vicini e qualche volta anche dei capi di bestiame in difficoltà, mettendo a frutto i medicamenti naturali appresi nel suo peregrinare sui pascoli ponentini. Alla sera e nei momenti burrascosi poi le competeva la recita del rosario nella cappella della Madonna della Neve. Alla domenica la preghiera era maggiormente intensa e partecipata e il pranzo aveva un piatto di pasta fresca: tagliatelle di ortica, ravioli di engari, sugeli al brussu.
I figli non resistettero ad una vita tanto isolata e arcaica e ben presto trovarono lavoro in città, dove la ragazza sposò Tommasino e si trasferì a Genova, rimanendo un punto di riferimento per i compaesani, che per studio, salute e lavoro transitavano nella metropoli portuale. Lo spirito libero, creativo e originale di Renato fu indirizzato a fini positivi dalla volitiva moglie Franca, sua accompagnatrice in un percorso di crescita delle naturali doti culinarie, che lo porteranno alla notorietà e al successo riconosciuto e confermato da ambìti premi gastronomici, che superano i confini alpini. Sicuramente in questa via sarà stato sollecitato dalla cura che la madre dimostrava nel ricercare ed armonizzare i profumi e i sapori delle piante spontanee, per offrire piatti irripetibili ai commensali, accolti alla sua tavola dal naturale spirito di ospitalità!
Silvio iniziò a rivelare affaticamento di cuore e la moglie lo sostituì nei compiti più pesanti. Sempre assieme nel lavoro, nelle preoccupazioni e nella gioia delle visite dei figli e dei nipoti, dei parenti e dei tanti amici.
Mariaera parca di sorrisi, misurata nel parlare, controllata nella gestualità, ma generosa e pronta nella vicinanza a chi attraversava momenti difficili. Tutti la ricordiamo al capezzale di malati e moribondi, nella vestizione e nella veglia dei defunti, a far compagnia ai soli. Visse attivamente il concetto di prossimità anche quando rimase vedova e con i figli lontani, sostenuta da una fede profonda, alimentata quotidianamente dal contatto con una natura che la riportava al Creatore, a cui si rivolgeva nei pochi momenti di riposo giornaliero, con giaculatorie, anche dialettali, non
silenziose ma sussurrate per non perdere concentrazione.
La ricordo pregare a voce percettibile sul gradino di casa, di ritorno dall’orto, con il pranzo sul fuoco, mentre pettinava la lunga treccia corvina che poi arrotolava dietro la nuca, o quando sgranava fagioli, preparava calze, cuciva.
Fino ai novant’anni ha lavorato l’orto per offrire a figli e nipoti prodotti sani e genuini, forte delle collaudate esperienze.
Su sua indicazione metto a dimora con successo le zucche sempre il Venerdì Santo e preparo il semenzaio dei finocchi il giorno della Madonna del Carmelo! Non ho però memorizzato il calcolo delle lunazioni, l’epatta e tanti suggerimenti che ha gratuitamente rivolto a tutti. Mi accompagna però il ricordo della sua semplicità, chiarezza e coerenza, della rassegnata accettazione delle prove e del continuo ringraziamento per i doni.
Emidia Lantrua
LE PREGHIERE DEI PASTORI DI MENDATICA E MONTEGROSSO SECONDO I RICORDI DI MARIA CORDEGLIO TRATTE DA UNA TESI DI LAUREA
LA SECONDA PREGHIERA