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Lettera/Il titolo di Cavaliere? Io metterei una tassa per dare la biada al cavallo


Caro direttore di Trucioli.it, leggo spesso che qualcuno viene insignito del titolo di Cavaliere.
Complimenti, ci mancherebbe. Ma senza cavallo, diciamolo, il titolo sembra un pó zoppo.
Perché allora non pensare a una piccola tassa simbolica per i neo-cavalieri, qualche euro all’anno da destinare a un fondo speciale per… “dare la biada a un cavallo”?
Almeno il titolo avrebbe anche la sua parte concreta.
Un saluto cordiale.
Un lettore ironico

LA RISPOSTA-
La sua proposta fa sorridere, ma il titolo di Cavaliere resta motivo di legittima soddisfazione per chi lo riceve: è un riconoscimento al lavoro, all’impegno, alla serietà.
Chi non l’ha ricevuto può ironizzare, con quella punta d’invidia che ricorda la favola di Esopo: la volpe, incapace di raggiungere i grappoli d’uva, preferì definirli acerbi.
Così accade anche con le onorificenze: chi le ottiene se le gode, chi non le ha si consola con una battuta.
Come la volpe e l’uva, chi non arriva al traguardo si consola con l’ironia.
Ma chi è Cavaliere ha grappoli d’uva maturi da assaporare (ma con moderazione).

POESIA

INVIDIA
Si vive
nel vuoto

si guarda
nell’altro

male nascosto
nel fondo

non l’assenza
ma il segno
altrui.

Il testo coglie l’invidia come condizione impersonale: “si vive / nel vuoto”. Il sentimento nasce non da un bisogno reale, ma dal confronto con l’altro: “si guarda / nell’altro”. È lo sguardo che genera il male, invisibile e profondo: “male nascosto / nel fondo”. La chiusura precisa il nucleo del dolore: non l’assenza in sé, ma il segno tangibile che distingue l’altro. In questo caso il riferimento può essere un titolo, un riconoscimento pubblico – come il grado di Cavaliere (N.d.R) – che diventa simbolo di superiorità e motivo di veleno. “Segno” concentra così sia l’evidenza esteriore dell’onore ricevuto, sia la ferita interiore di chi ne è privo. La struttura compatta (2-2-2-3), con pause nette e versi ridotti all’essenziale, amplifica l’eco muta di un sentimento che corrode in silenzio.
Zeno V. Bolciani

 


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