A Savona l’8 e 9 settembre 1943 l’autoaffondamento della flotta per non consegnarsi ai tedeschi. Il gesto del Comandante Enrico Roni semina un germe di democrazia e Resistenza.
di Ezio Marinoni

Il Tenente Colonnello Enrico Roni, Comandante del porto di Savona, è il grande protagonista delle vicende successive all’armistizio dell’8 settembre 1943. In condizioni molto difficili (tecniche, logistiche e anche morali), il Comandante Roni, insieme agli ufficiali della Capitaneria e con il totale appoggio degli equipaggi, mette in atto l’autoaffondamento delle imbarcazioni civili nel porto di Savona, pur di non farle cadere in mano tedesca.
Il Comandante savonese, come gran parte delle forze armate italiane in quel momento, è privo di ordini e conosce soltanto, attraverso la radio inglese, le istruzioni impartite dall’Ammiraglio britannico Cunningham: i tedeschi non devono impadronirsi della flotta italiana.
“Tutte le navi militari o mercantili che siano in condizioni di partire, lascino i porti e si dirigano su Malta; le altre si autoaffondino sul posto.“
La situazione è tutt’altro che semplice: a Savona è presente un ufficiale di collegamento della Marina tedesca, inviato in loco dopo la caduta di Mussolini e del regime fascista, a seguito della seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943.
La sera del 8 settembre e la mattina seguente l’ufficiale di collegamento tedesco si presenta alla Capitaneria di Porto per il rilascio dell’autorizzazione alla partenza delle motozzattere tedesche ancorate nel porto, che devono dirigersi verso la Francia occupata dai nazisti.
Roni temporeggia, con sagacia e abilità; cogliendo un momento favorevole, rilascia il permesso, per avere mano libera nel porto, facendo partire gran parte delle forze tedesche dal retroterra. Alle 18.45 del 9 settembre le ostruzioni del porto vengo aperte e quindici imbarcazioni tedesche, motozzattere e motovedette, partono verso ponente.
Il Comandante Roni, nel frattempo, riesce a contattare il Comando Marina di Genova e viene informato della prossima occupazione tedesca del porto; riceve, al contempo, l’ordine di distruggere gli archivi, gli apparecchi radio, far partire per località a sud di Livorno le navi in condizioni di muoversi e autoaffondare sul posto le altre, regolandosi secondo le circostanze.
Alle sette e un quarto, consapevole dei gravi rischi personali che sta correndo, di fronte a una possibile rappresaglia dei tedeschi, impartisce gli ordini di partenza delle unità italiane in grado di navigare e l’autoaffondamento delle altre navi.
Sei sono le unità che riescono a prendere il largo e dieci quelle che si autoaffondano.
Alle 20 i tedeschi piantonano, guidati dall’ufficiale di collegamento, senza occupare gli uffici, l’ingresso alla Capitaneria sulla via Aurelia, mentre Roni riesce a impartire le sue ultime disposizioni. Con questa operazione, condotta con tenacia e rara perizia dal comandante italiano, i tedeschi non potranno utilizzare le navi e le banchine dinanzi alle quali le navi affondate ostruiscono il fondo.
Ed è soltanto verso il mezzogiorno del 9 settembre che le truppe tedesche occupano la Capitaneria e il loro comandante riconosce a Roni l’abilità delle azioni messe in atto: “Se avessi avuto in porto le mie motozzattere, voi non sareste riusciti a far affondare neppure una nave.”
Ancora decenni dopo quel gesto, l’Ammiraglio Enrico Roni, ripete che «dopotutto il 9 settembre del 1943 non ho fatto altro che il mio dovere. Ho ricevuto degli ordini, li ho eseguiti e li ho fatti eseguire».
In realtà, non è andata proprio così: quell’ufficiale schivo riesce a fare ciò che molti, in quei giorni tragici e convulsi di inizio settembre 1943, non hanno fatto: impedisce che le navi ormeggiate nel porto di Savona finiscano in mano ai tedeschi. Mentre i comandi militari si squagliano come neve al sole, a rischio della propria vita Roni effettua una scelta di campo: ha deciso di stare dalla parte dell’Italia antifascista.
A raccontare questo episodio poco noto della storia italiana e dei primordi della Resistenza – sulla base dei documenti lasciati da Enrico Roni e delle informazioni ottenute tramite il Comando Generale delle Capitanerie di Porto – è stata la giornalista e scrittrice Donatella Alfonso, con il libro Affondate le navi. 9 settembre 1943, la scelta del Comandante Roni salva il porto di Savona, Edizioni All Around.
Un racconto avvincente, che prende le mosse dai fatti concitati che avvengono fra 8 e 9 settembre 1943 a Savona.
La decisione di affondare la flotta, per non farla cadere in mani tedesche, il comandante delle Capitaneria di Porto la prende subito, senza aspettare l’ambiguo proclama di Badoglio («Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower… Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza»).
La dichiarazione di Andrew Cunningham, Ammiraglio di Sua Maestà britannica da Radio Londra, riporta quanto stabilito nel cosiddetto “armistizio corto” firmato a Cassibile il 3 settembre. A quelle indicazioni Roni si attiene, senza dubbi e sfruttando il fattore tempo.
La notte del 8 settembre l’ufficiale la trascorre insonne («Fuori la notte era calmissima. Ma non altrettanto calmo ero io – racconterà nel resoconto di quei giorni – Sentivo il peso delle gravissime responsabilità che avrei dovuto affrontare»): alle prime luci dell’alba e quasi nel momento in cui le forze tedesche si presentano al porto di Savona per prenderne possesso, riesce a far partire le navi in grado di navigare, dando l’ordine di autoaffondare le altre, distruggendo nello stesso tempo impianti, documenti e archivi, dando uno smacco alla Marina tedesca e alla Germania.
Dopo quei giorni drammatici, Roni rinuncia alla divisa per non aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Fino al termine della guerra sarà insegnante all’Istituto Nautico; il 26 aprile 1945 il C.L.N. savonese gli chiede di riprendere il suo posto e lui torna in servizio, affiancando l’impegno nel corpo delle Capitanerie alla passione per la storia, in particolare del Risorgimento.
La vicenda raccontata da Donatella Alfonso (che dedica un capitolo del libro alla storia del Corpo delle Capitanerie di Porto dalla fondazione, nel 1865, all’ultima guerra mondiale) è un tributo a Roni e a tutti i militari italiani che hanno svolto un ruolo di primo piano nella riconquistata libertà del Paese, all’indomani della caduta del regime fascista.
Il 19 novembre 2010 il Comune di Savona, in collaborazione con la Capitaneria di Porto, ha intitolato una delle piazzette venutesi a creare a seguito della ristrutturazione della zona della “vecchia darsena”, nel centro cittadino, alla memoria del Tenente Generale di Porto Enrico Roni.
Nato a Livorno nel 1899, allievo dei corsi dell’Accademia Navale, è transitato nei ruoli delle Capitanerie dopo la prima guerra mondiale. Comandante del porto di Savona nei mesi precedenti l’armistizio, nei giorni 8 e 9 settembre 1943 la sua condotta è determinante per la piena applicazione delle clausole armistiziali a Savona, rendendo possibili sia l’allontanamento verso i porti dell’Italia del sud delle navi in condizione di effettuare una lunga navigazione, sia l’autoaffondamento in banchina del restante naviglio militare, evitandone la requisizione da parte dell’occupante tedesco e bloccando l’operatività dell’approdo per diversi mesi. Grazie a lui, Savona diventa uno dei soli quattro porti italiani in cui la catena di comando militare non si interrompe in alcun modo in quel difficile frangente.
Dopo la guerra, Enrico Roni diventerà Direttore Marittimo a Catania e a Genova. Dopo la cessazione dal servizio effettivo, ritorna con la famiglia a Savona, ormai sua città d’adozione, dove si spegne nel 1992.
Ezio Marinoni