Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Tempo di ferie con le suggestioni pavesiane e agosto in spiaggia, a partire da Varigotti


Arriva il momento di riposo agostano anche per la nostra testata. L’arrivederci a settembre si può “leggere” con qualche suggestione che risale a Cesare Pavese, che preferiva la collina e il fiume al mare.

di Ezio Marinoni

Eppure, nei suoi ultimi mesi di vita, egli è stato a Varigotti e a Bocca di Magra.

Ben poco sappiamo e abbiamo, se non una foto, della sua brevissima permanenza a Varigotti, nell’estate del 1950. « Varigotti è un luogo che ti tocca il cuore. Difficile restarci troppo a lungo, impossibile non ritornarci ogni tanto », scrive Ernesto Camera in Alba Rossa a Punta Crena (autore anche de L’annegata del Malpasso).

« Varigotti è l’isola che non c’è. In molti sensi. Quando sterzi bruscamente il volante a Capo Noli, cambia il mondo. Le rocce si tuffano dritte in mare e sovrastano la strada fino a perdersi nel cielo. » Davvero un angolo incantato! Non si può che dare ragione a Claudio Primavesi, che ha coniato questa definizione per il blog “Genius Loci”.

Torniamo a Pavese. In quel 1950, dopo l’apoteosi del Premio Strega, ottenuto grazie a La bella estate, lo scrittore vive l’incubo dell’estate in città, che sarà la sua ultima e fatale stagione. Egli si reca dapprima presso i coniugi Ruata, a Varigotti, dove rimane pochi giorni. Si sposta, quindi, a Bocca di Magra, dove brucia il suo estremo e rapido amore, l’ultimo amore impossibile per una ragazza, Pierina (Romilda Bollati di Saint-Pierre, sorella di Giulio Bollati).

Ritorno a Torino in un afoso deserto, ai tempi in cui la città si svuota a causa delle ferie dei dipendenti Fiat, eccetto la presenza dei coniugi Rubino, presso i quali ha conosciuto Connie.

In quella solitudine cittadina, incontra Bona Alterocca, sua futura biografa, il 17 e il 18 agosto (a cena in un locale in riva al Po), alla quale confida di sentirsi all’epilogo della sua parabola esistenziale. Il 23 agosto scrive a lei, per esprimere il proprio desiderio di “silenzio”.

La prossimità della fine è ineludibile: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.

Con le ferie d’agosto imminenti, ripercorriamo qualche passaggio pavesiano sul mare, sulla “feria d’agosto” (non solo titolo di un suo libro), sulla spiaggia e sul clima balneare, a lui non congeniale.

Il racconto lungo, o romanzo breve, La spiaggia (1942) ci riporta all’ineluttabile destino dell’uomo in un’intensa storia d’amore e di amicizia. Mentre lo scriveva, si trovava a Genova a casa di amici. Non è facile pensare ai bagni di mare a Genova, anche oggi, se non in qualche scampolo di spiaggia sottratta all’industrializzazione (che non c’è più) o all’urbanizzazione. Possiamo immaginare il professore su una spiaggia qualsiasi della Liguria, il capo coperto e gli immancabili occhiali, a prendere il sole e a leggere, in un ambiente non a lui confacente. A Genova, pavese ritrova un amico perduto.

Leggiamo a pagina 6: «Da parecchio tempo eravamo intesi con l’amico Doro che sarei stato ospite suo. A Doro volevo un gran bene, e quando lui per sposarsi andò a stare a Genova ci feci una mezza malattia. Quando gli scrissi per rifiutare di assistere alle nozze, ricevetti una risposta asciutta e baldanzosa dove mi spiegava che, se i soldi non devono neanche servire a stabilirsi nella città che piace alla moglie, allora non si capisce più a che cosa devano servire. Poi, un bel giorno, di passaggio a Genova, mi presentai in casa sua e facemmo la pace. Mi riuscì molto simpatica la moglie, una monella che mi disse graziosamente di chiamarla Clelia e ci lasciò soli quel tanto ch’era giusto, e quando alla sera ci ricomparve innanzi per uscire con noi, era diventata un’incantevole signora cui, se non fossi stato io, avrei baciato la mano. Diverse volte in quell’anno capitai a Genova e sempre andavo a trovarli.»

Poco più avanti, alla pagina 33, ci immergiamo nel clima balneare dell’estate, ma l’autore non ci dice quale spiaggia frequentasse a Genova, lascia tutto in sospeso.

«Clelia mi aveva detto che ogni mattina Doro scappava e s’andava a bagnare nel mare lattiginoso dell’alba. Per questo se ne stava poi così pigro fino a mezzodì, dietro il suo cavalletto.

Qualche volta, mi disse, ci andava anche lei, ma non domani ché aveva troppo sonno. Promisi a Doro che gli avrei fatto compagnia e proprio quella notte non riuscii a dormire. Mi alzai col primo sole e giunsi, per le strade fresche e deserte, sulla spiaggia ancora umida. Era il caso di fermarmi a spiare come l’oro del sole incendiava e stagliava gli alberelli in cima alla montagna, ma sedutomi sulla spiaggia vidi accostarsi una testa nell’acqua ferma, e approdare e uscir fuori stillante il corpo scuro del mio giovanotto. Naturalmente mi venne a parlare, e intanto si stropicciava, magro e corto, con l’asciugamano. Cercai al largo se vedevo la testa di Doro. »

E, infine, a pagine 68, il mare ligure diventa padrone della scena.« Faceva tiepido, quella notte, ch’era un peccato rientrare. Chi sa se Berti mi aspettava ai piedi della scale. Probabilmente s’era andato a sedere sulla spiaggia per assaporare la sua vergogna. »

« — Venga in mare, professore, – disse Berti. – Il mare è grande

Rimane in bocca il sapore di amare baldorie paesane in Piemonte, alle quali si alterna l’oziosa vita di spiaggia in Liguria, prendono corpo, i temi della narrativa pavesiana.

Doro si è sposato, ha lasciato Torino per Genova e da tempo non vede un vecchio amico, il “professore”. In un giorno d’estate, Doro ritorna al suo paese, ma l’amico di un tempo non gli crede: lo accompagna per i luoghi della loro giovinezza, scava sotto quella scorza taciturna ed evasiva, alla ricerca dei segreti più intimi e taciuti. Il professore segue Doro al mare, e continua la sua personale indagine, anche quando incontra la moglie del suo amico, Clelia, donna volubile e troppo affascinante perché quel matrimonio funzioni.

Genova è stata frequentata da un altro grande scrittore piemontese, Guido Gozzano, che dal lido di Albaro, mentre la citta si stava trasformando, scriveva alla Musa Amalia Guglielminetti, ma quesata è tutta un’altra storia, fra amore, passione e letteratura…

In Feria d’agosto (pag. 92/93) si ritrova la descrizione mitizzata del mare da parte di un ragazzo delle colline, delle Langhe pavesiane…

« — E il mare, Pietro, non l’hai veduto? — gli disse Gosto. Allora ci raccontò che era stato a Marsiglia e che là il mare l’aveva davanti alla porta. Guardò la piazza dove cadeva l’ombra della casa e disse: — Come fosse qui in piazza. È movimento giorno e notte. Più che il mercato grosso —. Sputò nel sole e tornò dentro.

Gli chiedemmo com’è fatta la riva del mare, ma non sapeva o non capì quello che noi volevamo. Disse che, sì, l’acqua è verde e sempre mossa e che fa continuamente le schiume, ma dentro non c’era mai stato e non sapeva come sia la terra veduta dal largo. Ci narrò che i bastimenti hanno un colore tra rosso e nero e che nel porto c’è un odore come nelle stazioni. Disse che carica e scarica più carbone un porto in un giorno che non carri d’uva tutte le nostre colline. E i marinai, anche stranieri, sono vestiti come noi e non hanno altra idea che tornarsene a casa. — Costa fatica il mare, – diceva. – Bisogna nascerci scalzi. »

Quando “Trucioli.it” starà per riaprire i battenti, il 4 settembre, chissà se qualcuno si ricorderà della fine di Cesare Pavese, in un albergo di Torino, a due passi da Porta Nuova, dalla quale partono i treni per Savona e per Genova…

Ezio Marinoni

 


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