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Scuole aperte fino a sera: palliativo senza visione complessiva. Analogia con Savona e Imperia. Che idea di società vogliamo costruire?


Scuole aperte fino a sera: palliativo senza visione complessiva. L’analogia con Savona e Imperia. Qui, in territori segnati da declino demografico, spopolamento scolastico, aumento del disagio giovanile e impoverimento culturale, le scuole fanno fatica a restare aperte persino nelle ore canoniche, figuriamoci nelle fasce serali.

di Franco Calcagno, dirigente scolastico

Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara

In Emilia-Romagna sono stati stanziati 18 milioni di euro per tenere aperte le scuole fino a sera, con l’intento dichiarato di arginare fragilità, disagio giovanile, ansie diffuse. È un’azione che apparentemente colma un vuoto educativo e sociale. Ma resta, in fondo, un’iniziativa parziale, priva di una visione strategica complessiva. Una risposta sintomatica e non strutturale, che si limita ad allungare il tempo scolastico senza ridefinirne la funzione educativa.

E se guardiamo alla Liguria, alle province di Savona e Imperia, il confronto diventa ancora più significativo. Mancano docenti stabili, mancano risorse, manca un presidio forte dello Stato. Eppure, paradossalmente, sono proprio questi i territori dove si registrano segnali preoccupanti di dispersione implicita, fragilità educativa e isolamento sociale.

In queste aree, il rischio non è solo che le scuole chiudano presto: è che si svuotino di significato. Che restino aperte “formalmente”, ma senza progetto, senza direzione, senza funzione. In questo contesto, l’idea di tenere le scuole aperte fino a sera, senza una reale strategia di rilancio educativo, suona quasi beffarda.

La scuola è oggi l’ultimo presidio pubblico nei territori fragili: un’istituzione fondamentale, l’ultimo baluardo educativo e culturale verso un momento di disgregazione sociale. Ma per esserlo davvero, non basta tenere le aule illuminate. Serve costruire percorsi significativi, ridare centralità al ruolo docente, ricollegare scuola, famiglie e territori in un patto educativo autentico. Serve una progettazione lunga, condivisa, sostenibile.

Né l’Emilia con i suoi 18 milioni, né Savona o Imperia con le loro criticità, stanno rispondendo alla vera domanda di fondo: che idea di società vogliamo costruire?

Viviamo in una fase storica in cui i nostri ragazzi e ragazze sono vittime inconsapevoli di un modello culturale e sociale che predica il collettivo ma pratica l’individualismo più feroce. Un modello che ha sostituito il pensiero sociale con il pensiero economico: efficienza, produttività, benessere come status, ricchezza per pochi, disequilibri per tutti. È qui che nascono le ansie, il senso di vuoto, le fragilità. Non si curano con “più scuola” nel senso quantitativo, ma con una scuola diversa, più giusta, più autentica, più radicata nei bisogni reali.

Savona, Imperia, l’Emilia, il Nord, il Sud: il problema non è geografico. È politico, culturale, educativo. Senza il coraggio di ripensare il modello complessivo, nessun orario prolungato basterà a guarire ciò che è malato nella struttura. La scuola, per essere ancora il cuore pulsante della democrazia, deve essere sostenuta sì, ma soprattutto ascoltata, liberata e re-immaginata. Non solo aperta.

Cellulari a scuola: oltre il divieto, serve una responsabilità collettiva.

Il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha emanato la Circolare n. 3392 del 16 giugno 2025, estendendo il divieto dell’uso degli smartphone durante l’orario scolastico alle scuole secondarie di secondo grado. Una misura che richiama le disposizioni già attive nel primo ciclo d’istruzione dalla Nota n. 5274 del 11 luglio 2024 .

La circolare stabilisce che “non è consentito l’utilizzo del telefono cellulare durante lo svolgimento dell’attività didattica e, più in generale, in orario scolastico”, con compagno di eccezioni per gli studenti con PEI/PDP, esigenze personali motivate o per l’uso in ambiti tecnico scientifici, informatici o di telecomunicazioni .

Il documento impone alle scuole di aggiornare i propri regolamenti d’istituto e il patto di corresponsabilità educativa, prevedendo sanzioni disciplinari per chi infrange le norme, lasciando all’autonomia scolastica la scelta delle modalità organizzative per garantire il rispetto delle regole.

Perché serve un approccio ampio e coerente- Il divieto scolastico può funzionare solo se è parte di un cambiamento culturale più esteso. Se l’uso del cellulare resta socialmente tollerato – a tavola, al cinema, alle riunioni –, rischia di essere percepito come una regola isolata e poco credibile.

La strategia utilizzata per contrastare il tabagismo è un ottimo modello: divieti supportati da campagne, cambiamento normativo, sensibilizzazione e contributo di tutti gli attori sociali. Analogamente, per rendere il digitale uno strumento sano e non un’abitudine neutra, serve un’alleanza educativa tra scuola, famiglia, istituzioni, media e imprese.

Le evidenze scientifiche a supporto- L’azione del Ministero è motivata da solide basi scientifiche: Studi OCSE del 2024 confermano l’impatto negativo di smartphone e social media sul rendimento scolastico. L’OMS segnala crescenti forme di dipendenza digitale tra gli adolescenti. L’ISS evidenzia che oltre il 25 % degli adolescenti manifesta “uso problematico” dello smartphone, con ricadute su sonno, concentrazione, relazioni e rendimento.

Il ministro Valditara ha affermato che “il divieto appare ormai improcrastinabile alla luce degli effetti negativi … sulla salute e il benessere degli adolescenti”. L’estensione del divieto con la Circolare n. 3392 del 16 giugno 2025 è un passo decisivo. Ma per trasformarlo in un reale valore educativo serve un impegno condiviso: una rete sociale che dia l’esempio, testi chiari, formazione e alleanze. Solo così la scuola potrà fare la sua parte non come ultima difesa, ma come cuore motore di una cultura digitale responsabile.

Franco Calcagno


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