Un mio amico alcolista mi chiede cosa centrano i monaci con la birra, cioè perché molte birre sono di origine monastica ed alcuni monasteri le producono ancora oggi?
di Giuseppe Testa
Allora per fargli piacere dirò due cose, in modo sintetico e non da specialista di processi chimici, ma da appassionato di Storia. Chi fosse interessato potrà fare qualche approfondimento personale. Le cose nel tempo si evolvono, così come evolvono e cambiano le parole. Qualche volta evolvono e mutano le cose ma le parole restano quelle di una volta (o viceversa).
La birra “originaria” si è evoluta in quella che conosciamo oggi, la parola che la definisce è rimasta la stessa.
Generalmente a partire dal Medioevo nascevano grandi monasteri. Si calcola che taluni di questi ospitavano 2000 (duemila) e più monaci. In più avevano alle dipendenze (quasi in schiavitù) un numero di contadini e lavoratori in genere. Era un bel problema sfamarli tutti, con un cibo a basso costo, facilmente reperibile ma che risultasse sostanzioso. Inoltre c’era il problema dei pellegrini, o dei poveracci che bussavano alla porta: anche questi dovevano essere nutriti.
Per semplificare molto il ragionamento, i monaci avevano a disposizione dei cereali (grani o orzo, ed altri), acqua e gli indispensabili lieviti o fermentanti che iniziassero i fenomeni chimici di lievitazione.
Con lo stesso ragionamento, potremmo dire la stessa formula, si potevano fare due cose: mettendo molta farina, acqua (non tanta) e lievito si facevano i pani (quindi alimenti solidi), mettendo poca farina di cereali (spesso orzo), tanta acqua e l’additivo veniva fuori una specie di zuppa densa, ma sempre liquida, a poco costo ma che serviva a sfamare tutti. Queste era la birra originaria, la nonna di quella che beviamo oggi, molto diversa e meno gradevole, ma nutriente. La sua prerogativa era l’economicità (93% del contenuto è acqua), ai suoi principi nutrienti, e alla scoperta delle proprietà antisettiche del luppolo che ha reso questa bevanda una possibilità di assumere liquidi in maniera salubre anche dove l’acqua era stagnante, paludosa, cosa non rara al tempo.
Quindi la birra che beviamo oggi è ben differente dalla birra/zuppa originaria, che rispondeva alle esigenze di allora. Terminati i grandi pellegrinaggi, modificate le condizioni sociali, andati in crisi i grandi monasteri soppiantati da nuovi movimenti di frati (soprattutto Domenicani e Francescani), non è stato più necessario produrre quel tipo di alimento. La zuppa/birra ha continuato ad essere prodotta in dosi ridotte, ma si è affinata in altro modo. Con il miglioramento delle possibilità di alimentazione, e quindi con cibi più nutrienti e saporiti a disposizione, col tempo la birra/zuppa si è evoluta perdendo l’aspetto di zuppa per diventare quel gustoso alimento (ancora oggi è considerato alimento) ma praticamente una bevanda, che ci fa compagnia nel pasteggiare.
In alcuni degli antichi monasteri è rimasta la tradizione di produrre la birra (però quella moderna), che viene bevuta con parsimonia (forse) dai frati e monaci: una parte viene commercializzata per arrotondare le spese del convento. Oggi molte aziende produttrici, a dire il vero, usano un nome o un logo legato ai monaci, ma sono trovate di marketing in quanto la produzione è assolutamente “laica”. La dicitura birra monastica è consentita e viene usata “vantando” procedimenti artigianali e legate a antichi processi e ricette, a volte anche centenari, “ereditati” dai monaci.
Però nel nostro inconscio siamo ancora condizionati all’idea originaria dei monaci/frati produttori di birra, cosa che ci da l’idea di bontà e genuinità, ed i pubblicitari lo sanno.
Se ancor oggi in tutti i monasteri e conventi si producesse ancora birra (moderna), avremo forse meno crisi di vocazioni!
Giuseppe Testa