Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Cosa insegna la storia dell’Autostrada dei Fiori. Servono le opere faraoniche che danneggiano il territorio? Si recuperi una dimensione di vita più umana


Si potrebbe scrivere un libro sull’autostrada Savona-Ventimiglia, opera indispensabile ma con il rovescio della medaglia …

di Giuseppe Testa

Alla fine degli anni ’60 primi ’70 si sono svolti i lavori di costruzione della tratta Savona-Ventimiglia dell’ autostrada dei Fiori, a doppia carreggiata ed a due corsie per senso di marcia. E’ stata aperta al traffico il 6 novembre 1971. In sede progettuale era prevista a tre corsie per ogni senso di marcia. La dirigenza dell’Iri, che allora controllava queste grandi opere, decise che due erano sufficienti. Fu un errore grandissimo, che paghiamo oggi e pagheremo in seguito, visto anche il grande uso della stessa fatto dal trasporto merci su gomma.
Negli anni Settanta, la costruzione dell’autostrada ha contribuito a velocizzare e a razionalizzare il traffico parallelo alla costa, consentendo alla circolazione extra urbana a lunga percorrenza di scorrere veloce, senza intasare i numerosi centri urbani del litorale, di per sé già sovraccarichi di mezzi.

Quest’opera grandiosa, capace di attraversare in piano la Liguria, superando le barriere naturali che l’hanno sempre isolata, con gallerie e lunghissimi viadotti, suscita ancora l’ammirazione di chi la percorre, specialmente dello straniero. All’estero si preferisce costruire con altri concetti, tra cui il primo è quello della economicità dei costi di costruzione. Basta proseguire infatti oltre il confine francese per notare come lo stesso tracciato è concepito a continui saliscendi (senza viadotti), riducendo al minimo le gallerie (aggirando le asperità), con una via di fuga laterale a fine discesa e con l’invito ad usare sempre il freno motore.

Questo si traduce in maggiore consumo di carburante e freni, ed un minor costo costruttivo e di conseguenza del pedaggio. L’autostrada ha reso accessibile, soprattutto agli abitanti del Piemonte e della Lombardia, un territorio che prima era piuttosto isolato, con conseguenze positive e negative.

Fra le positive c’è l’avvio, e poi lo sviluppo, dell’attività turistica di massa. Fra le negative, è che il tracciato risulta comunque una ferita ad un territorio fragile: sono, per esempio, numerose le falde acquifere perse o modificate. Sono evidenti a tutti le frequenti situazioni di collasso della circolazione stradale, gli intasamenti, le decine di chilometri di coda che si creano nei fine settimana, nei periodi primaverili o estivi, durante i ponti vacanzieri. Questo si sarebbe potuto evitare con una maggiore lungimiranza, e cioè in fase di realizzazione prevedere la terza corsia per ogni senso di marcia, senza parlare della necessaria corsia di emergenza. Mentre allora il lavoro extra che sarebbe servito (viadotti e gallerie più larghe) poteva essere accettabile, oggi è praticamente impossibile pensare di realizzare questa miglioria: bisognerebbe allargare le gallerie (vorrebbe dire chiudere per mesi al traffico) e soprattutto ridimensionare i viadotti per la nuova larghezza e conseguente aumento delle portate (converrebbe allora rifarla ex novo).

Secondo molti urbanisti le corsie di accelerazione e decelerazioni, una tra le cause degli intasamenti, sono troppo corte: se fossero molto più lunghe smaltirebbero meglio gli accessi/uscite. Questo comporterebbe gli stessi problemi costruttivi di cui prima. Probabilmente il boom di automezzi, tir e spostamenti umani non era prevedibile all’atto della progettazione.

Le piste di cantiere realizzate in occasione della costruzione di quest’opera colossale hanno causato modifiche e pesanti sconvolgimenti di assetti territoriali che per secoli erano rimasti immutati. Per cominciare, sono state create colline artificiali con i milioni di metri cubi estratti dalle gallerie. Caso emblematico, a Valleggia (Quiliano), molto materiale è stato depositato su una zona archeologica, vicino a San Pietro in Carpignano, di fatto pregiudicando scavi futuri. Inoltre per il raggiungimento dei cantieri, spesso ubicati in siti isolati, è stato necessario aprire piste per il transito di macchine operatrici. Se consideriamo l’elevato numero di gallerie, da raggiungere da entrambi i fori, o i numerosi piloni dei viadotti (sono parecchie decine solo per il ponte che scavalca il torrente Pora), possiamo intuire che sono diverse decine i chilometri di strade fatti per essere piste e per asservire questo immenso cantiere. Molte di queste strade di cantiere sono state, a lavori ultimati, usate per integrare la viabilità esistente; è il caso del collegamento diretto Feglino-Orco, che ha completato il tratto fatto per consentire ai mezzi l’accesso al traforo in corso d’opera; oppure il rifacimento della via dei “ponti romani di Quiliano”, che collega tuttora il comune capoluogo a Cadibona.

In alcuni siti, le piste sono state semplicemente abbandonate e si è ripristinato il precedente aspetto; in altri l’abbandono è stato parziale, per poter essere riutilizzate nel caso di necessità.

Ultimi sguardi sulla frazione Borsana Siamo negli anni ’60, e si lavora al tracciato dell’autostrada. Una intera frazione è costretta ad abbandonare le proprie case, e sarà trasferita in nuovi alloggi nella vicina Vezzi. La zona è a rischio, visto che il tracciato “taglia” il versante e ci potrebbero essere problemi di instabilità. La parete viene fissata con tiranti e ricoperta da colate di cemento, ben visibili ai viaggiatori. Sopra, in sommità, la vegetazione ha ricoperto il borghetto, oramai diruto… Borsana è oggi il nome di una area di servizio.

A Feglino, per la posa di un pilone, è stata demolita la cappella di San Sebastiano. La stessa sorte sarebbe toccata alla cappella di San Bernardo a Perti e alla chiesa di San Lazzaro, se non si fosse riusciti a modificare il progetto, spostando leggermente il tracciato, che ora le lambisce. Durante gli scavi dei numerosi piloni alle spalle di San Lazzaro, sono emerse numerose sepolture, relative al lungo periodo in cui la chiesetta fungeva appunto da “lazzaretto”. Mi risulta che queste siano state rimosse senza nessun tipo di indagine archeologica. Nel territorio di Vezzi, la tranquilla frazione di Borsana è stata evacuata e la popolazione trasferita in abitazioni moderne. Lo sbancamento del piede della collina sottostante, infatti, ha reso la zona potenzialmente franosa, e sono stati fatti diversi interventi (micropali, tiranti e colate di cemento), atti soprattutto a proteggere l’autostrada. Altri abitati, come Ranzi di Pietra, da tranquillo abitato del primo entroterra si è trovato a diventare un luogo rumoroso e inquinato. Anche Valleggia, specialmente la frazione Tiassano, si sono trovate lambite da questa opera necessaria ma invadente ed inquinante, ma il caso limite è quello di Feglino dove l’autostrada passa sopra il paese! Tutti si domandano come sia stato possibile accettare quel progetto. Per ultimo, un problema che da poco si sta presentando in tutta la sua drammaticità: la manutenzione dei viadotti e delle gallerie. Recenti drammatici episodi hanno dimostrato che sono problemi irrimandabili.

ALCUNE CONSIDERAZIONI

È stato sempre difficile e faticoso giungere, attraversare o muoversi in Liguria e nel Finalese in particolare, a causa dell’orografia e in passato anche per ragioni politico-militari. Le valli perpendicolari alla costa, lunghe e strette, sono state le vie più naturali ed invitanti per gli spostamenti ed i commerci, mentre sulla costa è stato conveniente il movimento di merci o di persone via mare. A parte la Julia Augusta, la prima (quasi) litoranea carrozzabile (non è quantificabile il volume di merci o di persone che la trafficasse, che comunque doveva essere limitato; la sua importanza era soprattutto per il servizio postale, assicurato e celere tutto l’anno), e la Strada Beretta, la prima carrozzabile transalpina, che hanno avuto vita abbastanza breve o brevissima, è stato l’uomo contemporaneo a superare quest'”isolamento” con opere impegnative (nel XIX secolo con l’apertura della “Littoranea” e della ferrovia) e gigantesche (nel XX secolo con l’autostrada), che, però, hanno ferito un territorio di per sé fragile.

Si è di colpo interrotto il millenario rapporto economico-sociale-culturale fra mare-monti-Langhe-pianura Padana, a vantaggio di un modo di muoversi parallelo alla costa. Oltre a ciò, queste opere moderne e necessarie hanno permesso e permettono di arrivare a molte più persone ed automezzi di quanti l’ecosistema possa sopportare, creando situazioni a volte insostenibili dal punto di vista ambientale.

Cosa fare per il futuro? Milioni di posteggi? Altre opere faraoniche che danneggerebbero ulteriormente il territorio? Limitare l’afflusso turistico? Personalmente, non sono propenso a nuove colossali soluzioni. Credo che l’unica possibilità concreta per noi residenti sia il recupero di una dimensione di vita più umana, fatta di capacità e voglia di camminare, di utilizzare biciclette (naturalmente per chi può farlo), con un uso più limitato dei mezzi a motore. Questo vale soprattutto per gli abitanti dei fondovalle. Non è sempre ipotizzabile che chi risieda ad esempio, nel primo entroterra, in luoghi elevati sul livello del mare, possa usare la bicicletta o muoversi a piedi. Per quello che riguarda turisti e visitatori sarebbe consigliabile educare ad una mobilità con trasporti pubblici (treni e corriere), servizi che sono stati quasi abbandonati nel tempo a favore dei mezzi a motore privati. Naturalmente questi servizi andrebbero migliorati.

Giuseppe Testa

Foto archivio C. Sterla. Ad eccezione di due tutte riguardano la Val Pora

 

 

 


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G. Testa

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